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Autori: Raffaella Navari
Data: 20 ottobre 2009

L´avventura di due ticinesi alla scoperta della Terra del Sol Levante

Giappone

"E se andassimo in Giappone?" Questa frase, che ha concluso una discussione sul luogo in cui trascorrere le vacanze, è stata l'inizio dell'avventura mia e di mio cugino Gianluca. Che, è giusto dirlo subito, non si sarebbe mai concretizzata senza l'aiuto della nostra amica Akko Lafranchi. I suoi consigli sono stati preziosi per pianificare le tappe del nostro viaggio e grazie ad alcune sue telefonate sono stati risolti i problemi incontrati nella prenotazione degli alberghi via Internet. Dopo aver compulsato guide, navigato per ore in Internet, sottoposto Akko a vari interrogatori e importunato via e-mail un paio di suoi amici in Giappone, siamo arrivati a elaborare il seguente piano di viaggio: cinque notti a Tokyo, due notti a Takayama, due notti a Hiroshima, quattro notti a Kyoto e l'ultima notte ancora a Tokyo, prevedendo escursioni a Nikko, Shirakawa-go, l'isola di Miyajima, Himeji e Nara.
Il 4 luglio, con grande curiosità, ci siamo imbarcati su un aereo in direzione di Tokyo.

TOKYO

14 ore di volo non hanno prosciugato le nostre energie: la mattina di domenica, raggiunto l'albergo, situato molto vicino alla stazione di Shinagawa, abbiamo posato i bagagli e siamo immediatamente partiti alla scoperta della città.

La prima cosa di cui ci siamo resi conto (in realtà ci avevano avvisati) è che luglio non è il periodo migliore per un viaggio in Giappone, perché l'afa è veramente oppressiva. Per fortuna sono diffusissimi in tutti gli angoli del paese i distributori automatici di bibite, che evitano la disidratazione e consentono di assaggiare l'amarissimo tè verde in bottiglia e altre bibite sconosciute in Europa, come diverse Coca-cola e Fanta aromatizzate ai gusti più strani.
I giapponesi cercano di difendersi dal caldo tramite innumerevoli agguerriti condizionatori posti strategicamente negli alberghi, nei ristoranti, nei negozi e sui vagoni della metropolitana. Non so come ci riescano, ma i loro getti ti raggiungono sempre, in qualunque posizione tu ti trovi, come lo sguardo della Gioconda. Tra un condizionatore e l'altro gli uomini si difendono agitando ventagli e detergendosi il sudore con una salvietta di spugna, che alcuni levano dalla tasca al momento opportuno e altri tengono pronta attorno al collo. Le signore, elegantemente, evitano di sudare riparandosi dal sole con l'ombrello, lo stesso ombrello che qualche minuto prima le aveva protette dalla capricciosa pioggia estiva. Le marche più prestigiose approfittano di queste usanze: nei grandi magazzini si possono trovare salviette Burberry, Dolce&Gabbana o Ferragamo; ombrelli Miu Miu, Chanel o Armani, di stoffa impermeabile all'acqua e ai raggi UVA e UVB, abbelliti da vezzosi pizzi.
L'ombrello da sole ha una discreta diffusione anche perché, contrariamente a quanto avviene in Occidente, le donne giapponesi - fanno eccezione le più giovani - aborrono il sole. Maniche lunghe, guanti e vistosi cappelli servono a preservare la pelle nivea. Se tutto ciò non è sufficiente, vengono in aiuto delle linee di bellezza che garantiscono il candore più puro: "Dior Snow" è una di queste, comprensibilmente non in vendita sui mercati europeo e americano.

Una seconda difficoltà, non legata al clima, riguarda i toponimi. Raggiungere un indirizzo preciso equivale a risolvere un rompicapo. Come nella Roma antica, le vie, tranne le principali, sono prive di nome. I quartieri (ku) sono divisi in rioni, a loro volta divisi in settori più piccoli (chome), che sono infine divisi in isolati (banchi). Chome e banchi sono numerati. Volete fare acquisti in uno dei più grandi magazzini di Ginza? Ecco l'indirizzo di Mitsukoshi: 4-6-16 Ginza, Chūō-ku. Cioè: quartiere di Chūō-ku, rione di Ginza, chome 4, banchi 6, edificio numero 16. Se non vi sembra così complicato, forse date per scontato che i nomi di chome e banchi siano scritti in caratteri latini e che la numerazione degli edifici segua sempre lo stesso criterio... Per orientarsi risultano molto utili le piantine (alcune volte solo in giapponese, altre anche in inglese) collocate vicino agli incroci, che indicano la posizione esatta dell'osservatore e i luoghi d'interesse della zona circostante. Trovare musei, grandi magazzini e altri edifici importanti non pone particolari problemi; negli altri casi la soluzione migliore è fermare un passante e domandare. Non tutti parlano inglese, ma in ogni caso si prodigheranno per aiutarvi.

L'intera area metropolitana di Tokyo conta circa 12'800'000 abitanti su una superficie di 2'187 km2. Secondo le Nazioni Unite, l'agglomerazione urbana di Tokyo è la più grande al mondo e raggiunge i 35.7 milioni di abitanti; quella di New York-Newark, che è la seconda, 19 milioni. Come visitando New York ci si concentra su Manhattan, nel corso della nostra permanenza a Tokyo abbiamo cercato di toccare i principali quartieri dell'area centrale, spostandoci in parte sulla Yamanote Line, in parte con la metropolitana e tanto a piedi. Ecco un piccolo riassunto.

Ginza
Quartiere moderno ed elegante, è l'equivalente della Fifth Avenue di New York; tutte le più importanti marche di lusso fanno a gara per costruire il building più innovativo, più originale, più stupefacente: Ginza Chanel Building, Armani Ginza Tower, Bulgari Ginza Tower, Maison Hermès, Louis Vuitton Matsuya Ginza,... Chi non ha una sede a Ginza, non esiste.

Akihabara
Tutto ciò che esiste, da qualsiasi parte del mondo provenga, a Tokyo lo si può trovare e comprare. Se cercate un articolo legato all'elettronica, che si tratti di un condizionatore da tavolo, di un massaggiatore elettrico per le spalle o dell'ultimo modello di macchina fotografica, i negozi e i grandi magazzini di Akihabara fanno per voi. Tranne che per certi articoli (ad esempio gli iPod) però i prezzi non sono di molto inferiori a quelli praticati in Svizzera. Ad Akihabara potrete senz'altro imbattervi anche nella riproduzione in plastica del vostro personaggio preferito dei manga o di quel robot dei cartoni animati che guardavate da piccoli. Nello stesso quartiere si trovano infatti anche innumerevoli venditori di manga e di articoli connessi, e poi ancora librerie e negozi di articoli sportivi, in particolare per il surf.

Ueno
All'interno di questo parco si trovano alcuni fra i più importanti musei di Tokyo (al lunedì sono tutti chiusi), tra cui il Tokyo National Museum, che vale senz'altro una visita per avere una panoramica dell'arte giapponese a partire dal neolitico fino a oggi.
Il Parco Ueno è anche un punto di ritrovo per i senzatetto di Tokyo. Schivi e dignitosi, qui parcheggiano i loro carrelli, aprono le loro casette di cartone e fanno bucato nello stagno al centro del parco.

Asakusa
Il cuore del quartiere, formato da molteplici viuzze, è il tempio Senso-ji, circondato da un ampio mercato dove è possibile comprare, oltre ad oggetti legati al culto, ventagli con sopra scritto "Tokyo I love You", kimoni di poliestere e persino Jika-tabi (si tratta di un incrocio tra un paio di stivali e un paio di tabi, le calze con l'alluce separato; sono calzature da lavoro e capita ancora di vedere operai che li indossano). Il tempio è uno dei luoghi di Tokyo più frequentati da turisti (giapponesi e occidentali), perciò non stupisce che la zona pulluli di venditori, di risciò e di ristoranti.
Volete comprare delle tazze da tè in un famoso negozio di ceramiche? Ecco l'indirizzo di Dengama: 1-4-3, Nishiasakusa, Taito-ku (all'incrocio tra Asakusa-Dori e Kappabashi-Dori, sulla sinistra, se avete alle spalle il Parco Ueno). Kappabashi-Dori è la strada delle stoviglie e degli utensili da cucina, dove si può trovare tutto ciò che in qualche modo è legato alla preparazione e al servizio del cibo, comprese le riproduzioni in plastica delle pietanze, così diffuse nelle vetrine dei ristoranti giapponesi. All'occhio occidentale risultano pacchiane, ma si rivelano estremamente utili quando il menu e i camerieri parlano solo giapponese: dopo inutili tentativi di comunicazione, tutto si risolve semplicemente indicando il piatto scelto.

Tsukiji
Tsukiji è conosciuto per il mercato del pesce, il più grande del mondo. È possibile visitarlo e assistere alle aste del pesce, ma è una curiosità riservata ai più mattinieri: la prima asta si tiene verso le 5:30 circa. Accanto al mercato si stende un dedalo di viuzze, sovrastate da un guazzabuglio di fili elettrici, sulle quali si affacciano innumerevoli minuscoli ristorantini, riforniti di pesce freschissimo, che servono un ottimo sushi.

Odaiba
Odaiba è un'isola che si trova al centro della baia di Tokyo, collegata alla terraferma da vari ponti, il più famoso dei quali, percorso anche da una monorotaia, è il Rainbow Bridge. Qui hanno sede il Museum of Maritime science e il National Museum Of Emerging Science And Innovation, ma le attrazioni sono soprattutto alcuni grandi centri commerciali. È particolare percorrere i corridoi stellati e le piazzette decorate con statue e fontane all'interno del Venus Fort, la cui scenografia vuole ricordare una cittadina italiana al tramonto.
La passione dei giapponesi per l'occidente risulta in tutta la sua evidenza nel Partire Tokyo Bay Wedding Village. Ci siamo imbattuti in esso per caso e, attratti dalla scritta all'entrata, ci siamo addentrati lungo una stradina costeggiata da basse casette. In ognuna trova spazio un'attività diversa: dalle bomboniere agli abiti da sposa, dagli anelli alla torta nuziale, tutto ciò che è connesso al matrimonio si trova in vendita. La stradina sbuca in una piazzetta decorata da una fontana; da qui, aprendo un cancello in ferro battuto e salendo qualche gradino, si finisce sul sagrato fiorito di una leziosa chiesetta. Stili francesi, italiani e tedeschi sono stati mescolati in una sorta di esperanto architettonico dai colori pastello. È un mondo a parte, studiato per dare l'impressione di vivere, almeno per un giorno, in un mondo da favola. La realtà però non è molto lontana, ed è sempre ricordata dai grattacieli che incombono sul centro.

Roppongi
Gli edifici più rimarchevoli di Roppongi sono Roppongi Hill e la Tokyo Tower. Il primo è un moderno centro commerciale e di servizi, molto frequentato, nel quale trova posto anche un museo; la seconda è la copia, più brutta ma più grande, della Tour Eiffel, pitturata di bianco e di rosso. La sua mole non desta una particolare impressione, perché non è inserita in un contesto che le dia particolare risalto.

Shibuya
Gli incroci di Tokyo sono dei luoghi affascinanti, perfetti per osservare la gente, e Shibuya Crossing è probabilmente l'incrocio più famoso, immortalato anche dal cinema. Mentre le auto sfilano ordinatamente, la gente man mano si assiepa sul bordo dei marciapiedi, da tutti i lati dell'incrocio. Uomini incravattati discutono al telefono o sfogliano manga, studenti in divisa scherzano fra loro, giovani con i capelli tinti inviano messaggini, ragazze dal trucco perfetto ridono coprendosi la bocca con la mano, donne accaldate si rinfrescano agitando il ventaglio. Qualcuno sorregge la bicicletta, qualche ragazzo ha lo skatebord sottobraccio. Appena scatta il verde, la gente si riversa nell'incrocio, attraversato dalle strisce pedonali anche in diagonale. Nel giro di pochi secondi, tutti quanti si ritrovano al centro, si sfiorano, e poi proseguono per il loro destino.
Shibuya è pieno di energia e di vitalità; è animato di giorno e di notte e attrae soprattutto i giovani, che frequentano i suoi negozi e i suoi locali alla moda.

Una sera, a Shibuya, ci siamo lasciati attrarre da un bel ristorante dall'apparenza fusion. Siccome il menu era solo in giapponese, abbiamo domandato di portarci il piatto più richiesto dai clienti del locale. La cameriera ci ha gentilmente spiegato che la specialità erano gli okonomiyaki e ci ha detto che ne avrebbe portati due diversi, uno con la pasta e l'altro con il riso, per poterli assaggiare. Noi eravamo sistemati davanti al bancone, ciò che ci ha permesso di assistere alla preparazione dei nostri okonomiyaki. La base è una sorta di crèpe o di pancake, su cui vanno man mano a posarsi pasta, verdure, riso, gamberetti, germogli di soia e tanto indefinibile altro, legato da svariate salse. I singoli ingredienti e poi l'insieme sono cotti alla piastra, sapientemente rivoltati dal cuoco con delle palette d'acciaio. Quando, strato dopo strato, l'okonomiyaki ha raggiunto l'altezza di vari centimetri, un ultimo ribaltamento lo deposita sopra due uova. Quando la cottura è terminata, il cameriere consegna l'okonomiyaki, decorato da dei leggeri fiocchi che, mossi dal calore, danno al piatto un'apparenza vivente. A prima vista assomiglia a una lasagna; assaggiandolo i gusti e le consistenze si mescolano a formare un bizzarro amalgama, che però non si può affatto definire cattivo.
L'okonomiyaki è un piatto diffuso in tutto il giappone e ne esistono innumerevoli versioni, a base di carne o di pesce, più o meno elaborate. Due sono le varianti principali, l'una tipica di Hiroshima, l'altra di Osaka: nella prima viene preparata la base, formata da un semplice impasto di farina acqua e latte, e tutti gli ingredienti vi sono posti sopra; nella seconda tutto è mescolato insieme e poi cotto in una sorta di omlette. L'okonomiyaki è insaporito dalla sua tipica salsa (marrone, piuttosto densa e dal sapore dolciastro), da maionese o da altre salse ancora, e a volte (come nel nostro caso) decorato con fiocchi di tonno essiccato (katsuobushi). In molti locali sono i clienti stessi a preparare l'okonomiyaki al tavolo, una sorta di "cook-it-yourself" con ingredienti a piacere.
È singolare il contrasto tra questo piatto, creato dall'unione degli ingredienti più eterogenei, e la sobrietà di altre preparazioni. La cucina giapponese è estremamente ricca e differenziata, molto più di quanto lascerebbero supporre i ristoranti giapponesi presenti in Europa.

Harajuku
Come non pensare al fenomeno Cosplay? Appena fuori dalla stazione della metropolitana, sul Jingu-Bashi, il ponte che collega Omotesando al Yoyogi Park, c'è il punto di ritrovo di tutti i personaggi che la cultura pop ha prodotto in oriente. Fumetti, cartoni animati, videogiochi, film e telefilm sono fonti inesauribili per i fan (ragazze soprattutto, ma anche ragazzi), che impersonano i loro personaggi preferiti in una gara verso il travestimento perfetto. Perché rassegnarsi a vivere tutti i giorni della settimana come un modesto studente o come una semplice impiegata, se, almeno alla domenica, si può diventare Naruto Uzumaki oppure una maga di Fairy Tail?
Davanti alla stazione di Harajuku si apre la piccola Takeshita Street, punto di riferimento per tutti i giovani alla ricerca di capi d'abbigliamento e di accessori originali e a buon mercato.
Parallelo a Takeshita Street corre Omotesando, forse il viale più glamour di Tokyo. Lungo i suoi lati, ombreggiati da alberi, si susseguono architetture ardite ed eleganti (un esempio su tutti è il palazzo di Prada, immaginato da Herzog e De Meuron). La folla, che, in una sorta di "struscio" in versione giapponese, percorre il viale, si lascia ammaliare dalle ultime creazioni di moda, messe in mostra dietro vetrine luccicanti.

Shinjuku
Questo straordinario quartiere è diviso in due parti, che si toccano senza mescolarsi: a ovest si stende un'area amministrativa e di uffici, a est Kabukicho, il quartiere a luci rosse di Tokyo. Se da un lato il colore è dato solo dalle automobili e dalle nuvole riflesse nel vetro dei grattacieli, dall'altro trabocca dalle insegne, affastellate l'una sull'altra, da dove spesso ammiccano giovani ragazze. Per le strade bighellonano giovani vestiti soprattutto di nero, la camicia aperta a mostrare massicce collane, con i capelli biondi cotonati e delle lunghissime scarpe a punta. È incredibile come, spostandosi solo di un centinaio di metri, si passi da un'atmosfera algida, nella quale si muovono frettolosi impiegati, a un guazzabuglio di pachinko, ristoranti, cinema a luci rosse, hotel, pianobar.
Passeggiando per Shinjuku non si può non rimanere impressionati dall'imponente sede del Tokyo Metropolitan Government Building, opera di Kenzo Tange ma che potrebbe essere stata immaginata da Fritz Lang, terminata nel 1991 e costata qualcosa come 157 miliardi di yen.
La parte est di Shinjuku sfugge, almeno parzialmente, all'ordine e alla pulizia che altrove hanno raggiunto un livello ossessivo: in tutta la città è praticamente impossibile vedere per terra un pezzetto di carta, un chewing-gum o un mozzicone di sigaretta. Contribuisce certamente a ciò il fatto che per strada generalmente non si può fumare (mentre nei bar e nei ristoranti lo si può tranquillamente fare). I fumatori trovano qua e là delle piccole oasi, segnalate da un cartello - le scritte sono in giapponese, ma i disegni costituiscono delle inequivocabili minacce verso chi trasgredisce - accanto a un posacenere; talvolta c'è persino una panchina. Anche a Shinjuku la gente è sufficientemente compita per non buttare rifiuti per terra, però si prende la libertà di fumare per strada.

NIKKŌ

Da Tokyo in circa due ore si può raggiungere Nikkō, sede di un complesso di santuari patrimonio dell'umanità. Il complesso si trova a una certa distanza dalla stazione, ma è ben collegato da una linea di autobus turistici. Un unico biglietto consente l'accesso al tempio buddista di RinnMō-ji e ai santuari scintoisti di Tōshō-gū e Futurasan-jinja. Il luogo è frequentatissimo: davanti al RinnMō-ji e al Tōshō-gū sono state addirittura costruite delle piccole tribune destinate ad accogliere i gruppi in visita perché possano ordinatamente mettersi in posa per una foto di gruppo. Nonostante la folla, il luogo è impressionante.
Abbiamo iniziato la nostra visita passeggiando per il piccolo, ma studiatissimo, Shoyen, un giardino costruito durante il periodo Edo. In seguito, dopo aver visitato la sala del tesoro del Rinnō-ji, dove sono conservati oggetti del tempio, antichi e -almeno ai nostri occhi- bizzarri come un dente di narvalo, ci siamo diretti verso la sala principale del tempio. Prima dell'entrata si trova un alto pilastro, chiamato Sōrintō, che cela al suo interno 1000 testi sacri. Nel tempio si trovano le tre statue di Buddha realizzate in legno più grandi del Giappone.
Proseguendo la nostra visita, ci siamo diretti verso il Tōshō-gū, al quale si accede salendo una lunghissima scalinata che termina passando sotto un enorme torii di pietra. Il complesso del tempio è molto grande e conta numerosi edifici, di legno ma decorati con una preziosità e un'accuratezza tali da renderli magnificenti.
All'interno dell'area patrimonio dell'umanità si trova anche il tempio Taiyūin-byō, forse il più affascinante del complesso, discosto e tranquillo, immerso nei boschi. Per tornare verso il punto di partenza, bisogna uscire dal perimetro del tempio varcando una porticina aperta nella staccionata che lo circonda. Qui, sul sentiero, andando a destra si torna alla realtà moderna; andando a sinistra ci si addentra nel bosco, calpestando le stesse pietre, in verità piuttosto sconnesse, calpestate da migliaia di persone che nei secoli hanno cercato la pace interiore. Il sentiero, dopo una mezz'ora di cammino, conduce a un altro piccolo tempio, situato nei pressi di una cascatella.
Altre celebri attrazioni di Nikkō sono il suo ponte, Shin-kiō, sacro e dipinto di rosso, e il sentiero Gamman-ga-fuchi Abyss (per arrivarci occorre costeggiare il fiume per circa un quarto d'ora, partendo dal ponte): il sentiero è costeggiato da innumerevoli statue di jizo (protettore dei bambini e dei viandanti) ognuna addobbata con una sorta di bavaglio e una cuffietta rossi. Il rosso è il colore dominante in tutto ciò che ha un valore sacro; per avere spiegazioni vi consiglio di visitare questo esauriente sito (in inglese), dove è possibile trovare informazioni su molti aspetti dell'arte, della cultura e della religione giapponesi.

TAKAYAMA

Dopo una settimana nella metropoli, abbiamo deciso di fare tappa in una città "di provincia", dalla dimensione e dai ritmi più umani: Takayama, situata nel distretto di Hida. Ancora circondata dalla campagna, appare piuttosto sonnolenta, ma si anima durante i fine settimana, quando pullman di turisti arrivano da tutto il Giappone per visitare la città vecchia e le sue antiche case di legno. Oggi al loro interno trovano posto negozi di sakè, negozi di souvenir, piccoli ristoranti. Per avere un'idea di quale aspetto avessero in origine, è possibile visitare alcune case-museo, risalenti al periodo Edo e appartenute a dei mercanti.
È piacevole passeggiare sulla collina a est della città, in parte residenziale e in parte agricola (esiste un percorso turistico segnalato - abbastanza - bene), visitando i santuari che vi si trovano. Se dovesse venirvi in mente di vedere anche le rovine del castello di Takayama, sappiate che esso si trovava proprio in cima alla collina, ma non ne è rimasto assolutamente nulla. Solo un cartello riporta il perimetro del castello e ne racconta la storia. Vi troverete in uno spiazzo deserto, e la vostra delusione sarà ampliata dalla folta vegetazione che lo circonda e preclude la vista.
Da Takayama è possibile, con degli autobus di linea, raggiungere Shirakawa-go, nota per le sue tipiche case, costruite nello stile gasshō-zukuri (che significa "mani in preghiera"). Il nome deriva dal fatto che i tetti, di paglia, sono a doppia falda e molto spioventi, per sopportare le abbondanti nevicate dei rigidi inverni della regione. Risaie, orti e giardini fioriti fanno da cornice alle case di legno, rendendo il paesaggio molto gradevole e fotogenico.

A Tokyo, Kyoto e Hiroshima abbiamo scelto di fermarci in semplici hotel, appartenenti a catene diffuse su tutto il territorio del Giappone. La formula che offrono è molto interessante per chiunque si sposti per pochi giorni e desideri una stanza pulita, accogliente e dotata di confort, senza però spendere eccessivamente. L'unico neo sono le dimensioni di stanza e bagno, ridotte ai minimi termini, anche se nei pochi metri quadrati c'è tutto, pigiama e pantofole compresi.
A Takayama invece abbiamo optato per il ryokan, la tradizionale forma di accoglienza giapponese. Una volta trovata la casa giusta abbiamo fatto scorrere la porta e siamo entrati, trovandoci in un luogo a metà fra un'anticamera e la reception di un albergo. Ci ha accolti una gentile signora, invitandoci a toglierci le scarpe e ad infilarci delle pantofole, sistemate su dei ripiani e a disposizione degli ospiti. Dopo le formalità di rito, ci ha accompagnati nella nostra stanza, che avevamo scelto "japaneese style". Al centro c'erano un tavolino basso e alcuni cuscini, di lato un armadio contenente i futon e un ripiano sul quale erano posate, accuratamente piegate, due yukata. Il decoro della stanza si limitava a ciò. Il pavimento, coperto da tatami, può essere calpestato solo scalzi. Al momento di dormire occorre stendere per terra un primo futon, simile a un materassino, un secondo futon, leggermente più grande del primo e più soffice, e poi il lenzuolo. A dipendenza della stagione, ci si ripara dal freddo anche con una sorta di piumone. La sistemazione appare terribilmente simile a quella di un campeggio, eppure posso dire che ci si dorme bene. Forse anche perché le due notti a Takayama sono state le più fresche, tregua al caldo da altoforno che ci ha accompagnato durante tutto il resto del viaggio.
Nel ryokan che abbiamo scelto era tradizionale anche il bagno. Dopo essersi detersi sotto la doccia, ci si immerge in una grande vasca riempita di acqua caldissima (anche troppo), dove ci si può rilassare e allungare lasciando sciogliere i muscoli.
Abbiamo molto apprezzato i pasti che la padrona del ryokan ci ha servito: due cene e due colazioni, di cui una "japaneese style". Qualche riserva c'è per la colazione: mangiare pesce secco e alghe secche, miso soup e riso appena svegli è piuttosto stravagante per il gusto italiano, abituato a consumare al mattino cibi più dolci. La colazione giapponese sarà anche digeribile e nutriente, però preferisco cappuccino e cornetto. Le cene invece hanno costituito una gradevolissima sorpresa e ci hanno permesso di assaggiare anche l'Hida Beef, meno conosciuto ma altrettanto buono (secondo alcuni addirittura migliore) del più noto Kobe Beef.

HIROSHIMA

Dopo due giorni a Takayama abbiamo lasciato le montagne e ci siamo spostati nuovamente verso il mare, in direzione sud, raggiungendo Hiroshima.
Visitando la città il primo luogo verso cui ci si dirige è il Parco della pace, allestito a ricordo della tragedia immane che il 6 agosto 1945 si è abbattuta sulla città e sui suoi abitanti. Come monito per tutte le generazioni rimane l'A-Bomb Dome, lo scheletro dell'unico edificio rimasto in piedi nel centro di Hiroshima, una volta sede dell'Industrial Promotional Hall.
Nel parco brucia la fiamma della pace, che non verrà spenta fino a quando non sarà stata distrutta l'ultima arma nucleare. La fiamma è stata portata qui dall'isola di Miyajima.
Nell'806 il monaco buddista Kobo Daishi si ritirò per cento giorni a meditare sul Monte Misen, dove fondò un tempio. Ancora oggi la brace del suo fuoco è accesa e un gruppo di monaci veglia affinché non si spenga mai.
Il Museo della Pace va senz'altro visitato. Le testimonianze che contiene, sottoforma di foto, oggetti, filmati, sono impressionanti. Si può muovere una critica ai pannelli esplicativi, troppo numerosi e ripetitivi. Inoltre, la traduzione in inglese è scritta con caratteri tanto piccoli da essere leggibili solo da molto vicino, ciò che obbliga a farsi spazio tra la gente per arrivare in prima fila davanti ai pannelli.
Visitando il museo se ne ricava un'impressione di grande fierezza, ma anche di consapevolezza del popolo giapponese. Dalle foto e dalle descrizioni emerge lo sforzo richiesto ai giapponesi per entrare a pieno titolo fra le nazioni moderne e forti, sforzo sopportato da tutti con orgoglio, fino a cadere nelle derive causate dal nazionalismo estremo. E fino a provocare l'esasperazione americana, diventando le cavie delle armi nucleari. Perché Hiroshima e non un'altra città? Al di là di considerazioni strategiche e ideologiche (Hiroshima era sede di una importante guarnigione militare e non vi erano campi di prigionia con americani reclusi) una condizione essenziale ha condannato la città: mentre altri possibili obiettivi erano coperti dalle nuvole, il 6 agosto 1944 a Hiroshima era una splendida giornata.

Partendo da Hiroshima vale la pena di fare un'escursione sull'isola di Miyjima (il suo vero nome è Itsuku-shima), raggiungibile con una breve tratta in treno e una decina di minuti di traghetto (che appartiene alle JR Lines e quindi gratuito per chi è in possesso del JR Pass). Avvicinandosi all'isola si passa accanto al tori più famoso del giappone, dipinto di rosso, che sembra galleggiare sull'acqua. Miyajima è un'isola sacra e in passato potevano accedervi solo i monaci, che raggiungevano il santuario di Itsukushima, costruito sulla spiaggia, passando in barca sotto il tori.
Non lontano dal santuario parte la funivia che arriva poco sotto la cima del Monte Misen. Se arrivate fin qui e il cielo è limpido, vi consiglio di affrontare la salita, di circa una mezz'ora, verso la vetta. La vostra fatica sarà ricompensata da una vista stupenda.

HIMEJI

Il programma, dopo Hiroshima, prevedeva Kyoto. Siccome la tratta ferroviaria tra le due città passa per Himeji, ne abbiamo approfittato per visitare il castello, uno dei più belli del Giappone. Dalla stazione il castello è raggiungibile facilmente in circa un quarto d'ora, camminando in direzione nord su una larga strada. La sua sagoma, aggraziata ed imponente al tempo stesso, si lascia ammirare già da lontano.

KYOTO

Visitando Kyoto abbiamo privilegiato la zona di Higashiyama, che abbiamo percorso unendo due passeggiate consigliate dalle guide che avevamo con noi, cioè Giappone, della Lonely Planet e Giappone dalla Mondadori.
I notissimi Padiglione dorato (Kinkaku-ji) e Padiglione d'argento (Ginkaku-ji), i raccolti giardini zen (celatissimo il Taizō-in, situato in un angolo nascosto del complesso di Myōshin-ji: senza l'aiuto di un premuroso passante non lo avremmo mai trovato), le mille statue del tempio Sanjunsangen-do, il vicolo animato che sale verso il Kiyomuzu-dera, dal caratteristico tetto di paglia a protezione dell'enorme sala, la pace del Shoren-in e dei suoi giardini, le gradinate dell'Eikan-do... Kyoto è talmente ricca di templi, giardini, angoli incantevoli e stradine intriganti che non si può riassumere in un breve scritto. Ogni passo è una scoperta.
Sarà perché era estate e abbiamo potuto godere dei baretti e ristorantini situati lungo il fiume, sarà perché siamo capitati a Kyoto durante il Gion Matsuri, comunque l'impressione che abbiamo ricevuto della città è stata molto piacevole: una città dove è possibile rilassarsi, dove i ritmi della vita lasciano spazio ai piaceri.
Il Gion Matsuri, secondo il volantino distribuito per strada nelle sere di festa, "is a traditional festival which has been held at Yasaka Shrine for more than 1100 years in eastern Kyoto. The festival was first held in 869, when a plague swept the country, people believed it was a curse of Gozu Tenno. Sixty-six pikes representing the provinces of the time were erected at Shinsen-en Garden, south of where Nijo castle now stands. The Gion gods were celebrated and portable shrines were paraded through the streets as the people prayed for an abatement of the pestilence. This is the origin of the Gion Goryo, a ceremony for the dead". I vari avvenimenti del Gion Matsuri si susseguono nel corso del mese di luglio, per culminare nella lentissima parata del 17, durante la quale sfilano davanti alla folla più di 30 carri, tirati a forza di braccia, mentre i suonatori producono una musica ipnotica fatta di colpi di tamburo e di tintinnii.
Lo scrittore e studioso Alex Kerr, nel suo libro Il Giappone e la gloria si lamenta perché la festa di Gion Matsuri sta perdendo il suo carattere originale. La festa religiosa coinvolgeva tutto il quartiere e i suoi abitanti, che nel corso dell'anno preparavano le decorazioni dei carri per la grandiosa parata finale. Kerr descrive la comparsa di bancarelle nelle strade secondarie attorno al percorso della parata. Se nel 1993, anno della prima edizione del libro di Kerr, le bancarelle iniziavano a diffondersi, nel 2009 hanno invaso il centro di Kyoto. Vendono soprattutto prodotti alimentari e sono prese d'assalto da una fiumana di persone che approfittando della sera e del poco di fresco che porta escono di casa e si godono la festa. Giovani e anziani, vestiti all'occidentale o indossando yukata e geta, passeggiano ordinatamente piluccando frutta candita, addentando yakitori e sorseggiando birra.

NARA

Nara dista circa un'ora e mezza di treno da Kyoto; i suoi luoghi principali (patrimonio dell'umanità) possono essere agevolmente visitati in una giornata e si trovano quasi tutti all'interno del Nara-koen, un grande parco a est della città, raggiungibile tranquillamente a piedi dalla stazione JR Nara. I due siti forse più famosi sono il Todai-ji e il Kasuga Taisha. Il primo è un imponente tempio buddista (è il più vasto edificio di legno al mondo), che contiene una statua di Buddha grande in proporzione. Il secondo è invece un santuario scintoista, immerso fra gli alberi; i sentieri che vi conducono sono costeggiati da innumerevoli lanterne di pietra: man mano che ci si avvicina ad esso diventano sempre più numerose e si assiepano l'una all'altra, creando un paesaggio fantastico.

Concludere dicendo che il Giappone è un paese affascinante può sembrare ovvio, ma onestamente non ho trovato un aggettivo migliore per riassumere i sentimenti contrastanti vissuti durante il viaggio, lo stupore provato e i ricordi che mi ha lasciato.

Chi conosce il Giappone sa che le mete che abbiamo toccato non sono particolarmente originali, ma avevamo solo 17 giorni di tempo e una scelta in ogni caso andava fatta. Così ci siamo fidati delle impressioni di altri che ci hanno preceduto. Quando visita un paese per la prima volta, il turista cerca di selezionare "il meglio": i posti più belli e più rappresentativi della natura e della cultura locali. Durante questa ricerca talvolta ci si imbatte nella mistificazione e mercificazione dei luoghi, ma personalmente non ritengo sia troppo negativo. In fondo pensare che i siti più turisticamente sfruttati posseggano un'identità e una valenza degradate è simile a considerare nonluoghi i centri commerciali...

L'unico neo, rilevato dalla mia ottica da turista, è la scarsa attenzione del Giappone e dei giapponesi per il proprio paesaggio. Come scrive Kerr nel suo già citato libro, è difficile rispondere alla domanda "dove si può andare per sfuggire ai cartelloni, alle linee elettriche e al cemento?". Purtroppo "il Giappone è l'unico paese avanzato del mondo che non metta nel sottosuolo le linee elettriche in paesi e città". Kerr presenta una possibile spiegazione per questo fenomeno, ripresa da un architetto giapponese: una delle cause risiederebbe "nella capacità dei giapponesi di restringere il loro punto focale. È stato questo a portare alla creazione di un haiku in cui il poeta esclude tutto l'universo per concentrarsi su una sola rana che salta in uno stagno. Purtroppo, nel caso del paesaggio la stessa abilità fa sì che i giapponesi si concentrino su un grazioso fazzoletto di riso in erba senza accorgersi degli impianti industriali che lo circondano".

È una delle tante contraddizioni che, dopotutto, rendono così interessante il Giappone.

LINK UTILI
- Japan National Tourism Organization (http://www.jnto.go.jp/): sito Internet ufficiale del turismo giapponese. Da qui è possibile accedere ai siti turistici delle singole località del paese.
- Japan Rail Group (http://www.japanrail.com/index.html): sito Internet delle ferrovie giapponesi, con informazioni per l'acquisto di abbonamenti e orari dei treni.
- Kids Web Japan (http://web-japan.org/kidsweb/index.html): sito Internet con moltissime informazioni sul Giappone, destinato ai bambini ma molto simpatico e utile anche per gli adulti.