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Autori: Cristina Gorla
Autori: Joerg De Bernardi
Data: 09 giugno 2011

Intervista al Delegato cantonale responsabile di curare i rapporti tra il Ticino e la Confederazione

I 100 giorni di Jörg De Bernardi

Un iniziale bilancio sui primi 100 giorni di lavoro del Delegato del cantone per i rapporti confederali a Berna. Impressioni, risultati e aspettative di chi lavora per il Ticino.

Signor De Bernardi lei si divide tra il Ticino e la capitale, anche se la maggior parte del tempo lo trascorre appunto a Berna. Per meglio comprendere la sua posizione potrebbe descriverci la sua funzione? Di cosa si occupa?

Sono una specie di antenna, se mi concede di rispondere con una metafora, che capta segnali e ne emette. E' un dispositivo che allarga la cerchia di chi è in contatto, di chi parla e di chi ascolta. Ed è proprio questo il mio compito: facilitare e catalizzare i contatti tra la Berna federale e Bellinzona.

Questa funzione si declina in tre dimensioni: la tutela degli interessi del Cantone, la promozione della presenza di ticinesi in seno all'Amministrazione federale e la cura dell'immagine del Ticino.

La prima di queste - la tutela degli interessi - è sicuramente l'attività principale del mio operato. La parola chiave è "anticipare". Bisogna saper identificare con tempestività sviluppi importanti a livello federale, definire le posizioni del Cantone con largo anticipo e cercare di intervenire negli incarti ancora nel loro stato embrionale, quando sono a un livello tecnico e malleabile. Se si arriva al punto di dover picchiare i pugni sul tavolo e far leva politica, non è un buon segno: significa che questo lavoro d'anticipo non è stato svolto, o non ha dato gli esiti sperati.

Mi affretto a sottolineare che questo è un compito che non può essere portato avanti in solitaria, ma richiede una stretta collaborazione. Quale funzionario, dipendo direttamente dal Consiglio di Stato, che fissa le priorità e gli orientamenti della nostra attività esterna, ed è da lui che ricevo le mie istruzioni. Le colleghe e i colleghi della Amministrazione cantonale hanno la conoscenza dei dossier: senza il loro sostegno non potrei operare con credibilità. A Berna, infine, collaboro in maniera molto proficua con la Deputazione ticinese alle Camere federali che mi rende partecipe con generosità alle proprie attività e riflessioni.

Il secondo asse della mia attività - la promozione della presenza di ticinesi in seno all'Amministrazione federale - si rivela essere un compito di tutto rispetto: il Ticino e la Berna federale sono separati da ostacoli geografici, linguistici e culturali che rendono necessario un lavoro d'informazione e di promozione da certosini sia al di qua che al di là del Gottardo.

La cura dell'immagine del nostro Cantone, infine, è a mio avviso, intimamente legata alle prime due attività: sono convinto che l'immagine del nostro Cantone dipende direttamente dalla qualità delle idee che sapremo portare all'attenzione dei nostri amici confederati. Queste idee esistono. Possiamo fare ancora di più per proiettarci senza falsi timori anche a livello nazionale.

Dopo 100 giorni di lavoro quale Delegato del Cantone per i rapporti confederali, ritiene che il bilancio finora sia positivo? I primi obiettivi sono stati raggiunti o sono comunque pronti per esserlo in breve tempo? Quali sono le priorità?

Sono sorpreso in positivo dell'accoglienza ricevuta sia a Bellinzona che a Berna. Sono stato accolto con curiosità, disponibilità e, in certi casi, direi quasi con sollievo. Noto che su una serie di tematiche e incarti il bisogno di un approccio più coordinato, di largo respiro e a più livelli (dal tecnico al politico) era molto sentito. Constato dunque un reale e sostanziale bisogno per una figura come la mia, almeno in seno all'Amministrazione cantonale.

Sono io stesso molto curioso di scoprire se con un buon lavoro questo approccio più coordinato e tattico porterà anche a risultati concreti, non solo di processo, ma anche di sostanza. Non sarei qui se non credessi che può e deve essere possibile. Ma è anche ipotizzabile che l'equilibrio politico in Svizzera sia talmente raffinato e bilanciato da assorbire senza flessione ogni tentativo di lobbying come quello che il nostro Cantone può promuovere. Il nostro lobbying comunque non può essere comparato a quello che può svolgere un privato. Vi sono limiti direi quasi naturali, dettati dal fatto di essere un attore istituzionale, che deve saper conciliare interessi spesso divergenti già al suo interno, ma anche rispettare procedure e tempistiche.

Il Ticino ha voluto con il suo incarico creare un ponte con Berna. Solitamente una buona relazione è basata su uno scambio reciproco, cosa si aspetta, a suo modo di vedere, Berna dal Ticino e viceversa?

"Ticino" e "Berna" sono i nomi che per abitudine e comodità diamo a due realtà in sé molto complesse, realtà che sono legate tra di loro da fitte relazioni a livello territoriale, politico, economico, finanziario, sociale e culturale. Non sono pertanto sicuro se l'immagine del ponte - che suggerisce la presenza di due realtà nettamente distinte e divise da un ostacolo naturale - sia adeguata. E' però vero che l'immagine del ponte suggerisce una congiunzione, la necessità di avvicinare dei punti, e questo è sicuramente il mio compito. Io volentieri comparo la mia funzione a quella di un catalizzatore, dunque un agente che favorisce contatti, sviluppi e incontri.

Ma per tornare alla domanda, rispondo in tre punti: primo, non dobbiamo esitare a tutelare i nostri interessi e a portare avanti le nostre rivendicazioni, e farlo con vigore, tenacia e furbizia, senza falso ritegno. Tutti i Cantoni e molti altri attori lo fanno, e - posso assicurarglielo - molto bene.

Dobbiamo però - ed è il secondo elemento di risposta - tutelare i nostri interessi in maniera intelligente, e questo significa in primo luogo agire non solo con riferimento alla realtà cantonale, ma tenendo conto del contesto nazionale. Le nostre proposte e le nostre rivendicazioni si inseriscono in effetti nel contesto di un campo di forza molto più ampio, teso dagli interessi variegati dei molti attori che a Berna cercano di far sentire la loro voce.
La possibilità di tessere alleanze e ripartirsi i compiti sono precluse a chi si limita a portare le proprie rivendicazioni a livello federale in maniera puntuale, senza cognizione del contesto nel quale vengono ricevute.

Direi infine che il Ticino è ben più che uno dei ventisei Cantoni. Rappresenta una delle quattro realtà linguistico-culturali della Svizzera e in quanto tale ha una responsabilità particolare nel far sentire la sua voce anche a livello nazionale. Il Ticino ha una sensibilità particolare e qualità che altri Cantoni non hanno ed è dunque chiamato a contribuire attivamente e in prima fila al dibattito nazionale.

Quali sono quindi le prossime tappe fondamentali da raggiungere per consolidare questo ponte con Palazzo Federale?

Le basi sono gettate, e credo che siano buone. Adesso bisogna darsi olio di gomito. Sono i caffè bevuti nella Berna federale, le telefonate eseguite, gli eventi organizzati, i rapporti inviati, le candidature promosse, i progetti avviati che contano - un lavoro meticoloso, spesso tecnico, poco spettacolare, da svolgere con perseveranza. Non vi sono né scorciatoie né bacchette magiche. Tra poco meno di due anni, quando il mio attuale incarico volgerà al termine, sarà ora di stilare un bilancio. Sarà allora che si potrà decidere sul seguito da dare all'esperienza.