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Autori: Milko Del Bove
Data: 03 dicembre 2005

"Sia noto dunque a tutti che gli uomini della valle di Uri, la comunità della valle di Svitto e quella degli uomini in Untervaldo, considerando la malizia dei tempi e allo scopo di meglio difendere e integralmente conservare sé ed i loro beni ..."

In margine al primo di agosto

Cosa c'entrano i contadini di Unterwalden con gli eroi omerici e con il primo imperatore della Cina?

Il primo giorno d'agosto commemoriamo la sottoscrizione di un patto che, 715 anni or sono, diede forma sulle sponde di un lago alpino al primo embrione di quella che sarebbe diventata la Confederazione elvetica. Le finalità semplici e immediate dell'antico trattato ("... confermare, nelle debite forme, i patti della sicurezza e della pace") hanno assunto nei secoli caratteri piú complessi e articolati, e oggi la Svizzera è ben altro che un gruppo di comunità locali unite dalla paura di aggressioni esterne.

Si dice spesso che per comprendere meglio e apprezzare qualcosa occorra conoscerne la storia: queste righe vogliono essere l'invito, tra il serio e lo scherzoso, a un viaggio alla scoperta di luoghi e persone che condivisero i valori su cui la Svizzera è costruita, che per un motivo o per l'altro potremmo riconoscere come parte della nostra storia personale; non sarà questione di legami genetici imposti solo dal caso e quindi non "meritati", ma di un'affinità di pensiero dettata dalla libera scelta, dalla comune volontà, che ci rende in qualche modo ideali fratelli, o figli, o nipoti di quei popoli lontani nello spazio e nel tempo.


Confederiamoci

Il viaggio inizia sulle coste orientali del Mediterraneo, nelle città fenicie di Tiro, Sidone, Byblos. I Fenici erano gente industriosa che costruí la propria civiltà sul commercio e sul guadagno. Avevano sviluppato una rete mercantile estesa a tutto il bacino mediterraneo grazie a una serie di innovazioni tecniche che diede un forte impulso alla navigazione marina: furono i primi a circumnavigare l'Africa e si ipotizza che alcuni navigatori giunsero fino in America del sud. Per tenere i conti dei loro guadagni avevano sviluppato un pratico sistema di contabilità e per rendere piú semplice la comunicazione, indispensabile quando si commercia con numerose popolazioni straniere e con altrettanto numerose città sorelle, avevano messo a punto un alfabeto fonetico - cioè basato non piú su simboli ma su suoni - tanto funzionale che nel principio e nella forma di molte lettere sopravvive ancora ai giorni nostri .

Qualche analogia con la nostra Confederazione la si ritrova anche nei princípi che regolavano la loro società. Non esisteva uno Stato dal potere centralizzato, una nazione fenicia (lo stesso termine fenici non fu mai usato da loro, è un'invenzione omerica) ma numerose città indipendenti, con proprie leggi e propri sovrani, legate però fra loro da una cultura comune e da una comune volontà di mantenere rapporti cordiali grazie ai quali ci si potevano scambiare merci in pace e ci si aiutava a vicenda in caso di scontri con altri popoli. Non che i Fenici fossero santi: le loro divinità erano cosí crudeli da diventare modelli per i démoni delle culture successive, e le battaglie che nonostante la buona volontà prima o poi si scatenavano lasciavano il segno, un gran brutto segno .

Secondo il mito era fenicio il capostipite dei greci, Cadmo, che partí dalla sua città natale in Asia alla ricerca della sorella Europa, rapita e puntualmente sedotta da Zeus, e fondò la città di Tebe in Grecia. Lei diede il nome al nostro continente, lui fu il primo europeo .

Un piccolo passo avanti (pochi secoli appena) e arriviamo alla Grecia antica - quella dell'età arcaica e classica - a sua volta formata da un certo numero di città-stato ciascuna gestita in autonomia rispetto alle altre e con la comune cultura ellenica come unico legante. L'entità stessa della città era per i greci importante a tal punto da avere la priorità sull'individuo; lo si nota nelle parole: la polis (la città) è la radice, il cuore del polites (il cittadino), che da essa deriva e ad essa è subordinato.

Chiunque abbia letto l'Iliade o l'Odissea ricorda che esistevano sovrani e re, ma a ben guardare ci si accorge che erano spesso poco piú che pastori o porcai (tale era Odisseo) ai quali ci si affidava per dirimere le vertenze fra i cittadini o per difendere il villaggio dagli attacchi; con il passare del tempo e il crescere delle grandi città il potere legislativo - e spesso anche quello esecutivo - passò in mano a un gruppo di persone elette o a tutto il popolo (cosí ad Atene a partire dal VI secolo a. C.): era nata la democrazia. Fra le varie città greche si stabilirono di volta in volta trattati e alleanze, ma non vi fu mai una confederazione capace di portare a un'unità politica: questo è uno dei motivi che causarono il declino di quella civiltà quando fu confrontata prima alle conquiste di Alessandro Magno, poi all'avvento di Roma.

Ancora una nota sui greci: in anticipo di molti secoli su Guglielmo Tell, erano affascinati dall'arco (a quei tempi niente balestra: la inventeranno i cinesi secoli dopo) e dalle mele. Chi non ricorda l'arco che solo Odisseo sapeva tendere? E poi Achille ucciso da una freccia nell'unico suo punto vulnerabile, le amazzoni abilissime con l'arco, l'arco di Eros, quello di Artemide cacciatrice e quello di Eracle (per la cronaca, una divinità fenicia) ereditato da Filottete che lo usò per uccidere Paride; e ancora: le mele d'oro delle Esperidi rubate da Eracle e quella donata a Venere che provocò l'assedio di Troia, le tre mele d'oro che allettarono Atalanta (rappresentata con arco e frecce) e la costrinsero al matrimonio ...
Poi furono l'arco di Legolas e le mele di Pipino.


"Non chiedetevi cosa lo Stato può fare per voi, ma ..."

Con l'impero romano le cose cambiano radicalmente; Roma è una città-stato, anzi una città-impero: Roma è l'impero. A un certo punto della sua storia recupera l'ideale egizio del sovrano-dio nella persona del suo imperatore, il divino Cesare. Ora è il cittadino (il cives) ad assumere una posizione di prevalenza sulla città (la civitas); l'individualità dei singoli subentra al senso della collettività e al gruppo. La gloria di Roma, capitale dell'impero e per mille anni centro del mondo, si riflette su ciascuno dei suoi cittadini e da ultimo sul suo sovrano, che rappresenta la massima espressione dell'egocentrismo di un popolo (da intendersi non necessariamente in senso negativo). È un'utopia che ci portiamo appresso ancora nel XXI secolo in questa società votata al culto di sé e all'esaltazione dell'individualismo; singolarmente o in entità collettive, la tentazione di identificarci con il centro del mondo non perde il suo fascino, e se nei piú forti si confonde con la megalomania, nei piú piccoli e deboli assume un'illusoria funzione di autodifesa. Confrontato il modello greco con quello romano e scartate le utopie in favore della concretezza, si è tentati di dire che la verità sta nel mezzo. E anche questo è un carattere tipicamente elvetico.


Lo Stato di diritto

I secoli oscuri dell'età di mezzo non si ricordano solo per le crociate, la caccia alle streghe e la generale avversione per l'acqua (usata solo per dissetarsi e solo in mancanza d'altro): si avvertono segnali di rinnovamento della società europea nel formarsi di entità politiche originali quali gli Stati nazionali, nella comparsa delle carte costituzionali e nel costituirsi di un corpus legislativo comprendente il diritto pubblico e quello privato; elementi questi che serviranno da basi per l'avvento degli Stati moderni.

Le nostre leggi hanno due genitori: l'impero romano e le tribú germaniche. Del diritto romano (civile) rimangono ampie tracce nel diritto privato e nel diritto canonico che la Chiesa elaborò nei secoli in cui si era fatta depositaria del sapere (fra la caduta dell'impero e la rinascita dell'Europa); molto rimane anche del diritto germanico, in tutte le legislazioni europee e in molte nel mondo. Ma il fondamento degli Stati moderni è rappresentato dalle carte costitutive, la prima delle quali, la Magna Charta sancí nel 1215 i diritti degli inglesi contro il potere del sovrano subordinandone l'autorità alla volontà del popolo; subito dopo arrivarono i confederati con il Patto federale del Rütli, nel 1291. I francesi ci misero qualche anno in piú: nel 1789 sottoscrissero la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino , e subito dopo risolsero tutte le pendenze con la corona dandoci un taglio netto. Qualcosa di simile avevano fatto gli statunitensi nel 1776 con la Dichiarazione d'indipendenza spinti da altri motivi (pare preferissero il whisky al té inglese - e come biasimarli?).

Anche oggi come nei bei tempi andati ci sono cittadini e cittadini. Se nelle civiltà piú remote sembra che le donne godessero di una certa indipendenza - era il caso nelle città fenicie, a Creta e nella Grecia micenea - all'epoca dei barbari achei alle donne fu imposta una rigida limitazione delle libertà: ancora nel periodo alessandrino erano costrette a coprirsi il capo con un velo, non potevano mostrarsi a estranei né in pubblico da sole e vivevano segregate in locali a loro riservati ; a Sparta il trattamento riservato alle donne era migliore, ma ci si rifaceva su bambini e schiavi. Ringraziando gli dèi oggi le cose sono cambiate: ci siamo presi il tempo necesario per riflettere bene sul da farsi ma alla fine anche le donne si sono viste riconoscere i diritti che spettano loro. Era il 1971: alla buon'ora! ;


Seimila chilometri di Röstigraben

La leggenda narra che il primo imperatore della Cina unificata volle rendersi immortale compiendo due imprese altrettanto grandi: ordinò la messa al rogo di tutti i testi scritti prima del suo avvento e la costruzione di una muraglia senza fine, un'opera ciclopica che quando fu sospesa misurava 6'350 km. Con queste azioni contrapposte, la prima distruttiva e la seconda creatrice, l'imperatore Qin Shi Huang intese cancellare la memoria di tutto ciò che lo aveva preceduto e allo stesso tempo lasciare un segno imperituro della sua esistenza, che sarebbe sopravvissuto alla stessa Cina . Il suo ultimo viaggio fu accompagnato da un esercito di migliaia di guerrieri in terracotta, a grandezza naturale.

Si direbbe che in Svizzera la costruzione di muri sia uno sport nazionale, benché lo si pratichi con traguardi molto meno ambiziosi dell'imperatore Qin; infatti, i nostrani Röstigraben servono non a difenderci dall'esterno (sebbene qualcuno ci abbia anche provato) ma a creare divisioni al nostro interno. La storia ci dice che i muri non hanno mai portato bene, da quello cinese che si rivelò un sistema difensivo alquanto debole a quello piú recente di Berlino oggi riciclato in souvenir per i turisti. D'altra parte, quello svizzero è un comportamento quasi scontato se consideriamo che in uno degli Stati piú piccoli del mondo convivono quattro entità culturali diverse con quattro lingue e ventisei legislazioni, e dove assieme a cantoni a vocazione prevalentemente agricola troviamo cantoni con una dominante industriale o finanziaria. Consoliamoci al pensiero che anche questo come tutti gli sport alla fine non è che un gioco e che la storia passata della Confederazione fa ben sperare sul futuro del nostro comune cammino: dopotutto, non potremo vantare gli oltre duemila anni della Cina unita, ma anche i settecento della nostra Confederazione sono un bel risultato, e senza nemmeno un pezzettino di Grande muraglia ad aiutarci.
In una cosa siamo debitori dei cinesi: dell'invenzione dei fuochi artificiali.