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Autori: Chiara Marciani
Data: 08 marzo 2011

Il diritto di voto alle donne, una pecora nera per quella Svizzera da sempre esempio di democrazia

40 anni, solamente!

Erano i primi anni settanta, quando le donne con il passaporto rosso a croce bianca conquistarono il diritto di voto. E se entrambe le camere del Parlamento federale diedero il via libera nel 1958, la popolazione del Paese impiegò altri 13 anni per accettare la proposta.

Stati Uniti, Australia, Finlandia, Islanda, Estonia, Polonia, Russia, Kirghizistan, Albania, Armenia, Mongolia, Turkmenistan, Tailandia, Cuba, Sri Lanka, Filippine, Francia, Cina, Italia, Corsa Rica, Ghana, Perù, Etiopia, Mali e Singapore. Sono solamente alcune delle nazioni che hanno preceduto, decennio più decennio meno, la scelta della Svizzera occorsa il 7 febbraio 1971, volta all'accettazione del suffragio femminile. La battaglia per la pari opportunità fra uomo e donna nei diritti politici, è stato un lungo cammino che la Svizzera iniziò a livello legislativo il 1° febbraio 1959, 50 anni dopo che il primo Paese europeo accettò l'iniziativa: la Finlandia. Un primo progetto di pari opportunità fu infatti portato a votazione popolare quel giorno, ma venne respinto con il 66,9 %. La donna, sopperì al sistema costituzionale Svizzero e dovette ancora una volta attendere all'entrata il marito votante, magari tenendo per mano il guinzaglio del cane di famiglia.
Non bisogna però dimenticare, che alcuni cantoni elvetici avevano concesso questo diritto ben prima dell'accettazione federale: il Canton Vaud e Neuchâtel proprio nel 1959, Ginevra l'anno successivo e Basilea, nel 1966. Il Consiglio di Stato e il Gran Consiglio ticinese portarono l'oggetto a votazione popolare per ben 4 volte, l'ultima nel 1969, anno in cui venne accettata. Solamente l'Appenzello ha una storia a sé, in quanto la sua Landsgemeinde non accettò il decreto federale nel 1971. Un rifiuto che durò fino al 1990, anno in cui il Tribunale federale obbligò il Cantone ad aderire al principio di uguaglianza politica fra i sessi. Gli argomenti principali dei contestatari all'emancipazione politica della donna, si basavano su un'ideologia arcaica. Il mondo femminile veniva visto come un'oasi di sensibilità, colma d'amore e di sacrificio per gli altri, la cui entrata in politica avrebbe sicuramente contaminato e immancabilmente distrutto. La donna, era in questo senso destinata a compiti più nobili che lottare a parole e fatti nei partiti politici. In realtà, la vera argomentazione dei contrari al suffragio femminile, era la minaccia che si profilasse un'occasione concreta che permettesse alla donna di venir meno a quegli obblighi da sempre associati al suo ruolo: la crescita dei figli e la cura della casa. Una visione molto diffusa e che non ne escludeva alcune donne.

Buona parte della Svizzera, terra di trazione e di tradizioni, restò così attaccata a un ruolo stigmatizzato della donna ancora per molto tempo e quando altri Paesi, soprattutto quelli colpiti dalla guerra, già dimostravano nel concreto quanto il ruolo femminile non era solamente relegato alle mura di casa. Ripercorrendo i fatti, si nota come la Germania consentì l'uguaglianza al voto nel 1918, l'Austria nel 1919, Italia e Francia rispettivamente nel 1944 e nel 1945. L'emancipazione femminile è quindi stato un processo pieno di accelerazioni e stagnazioni, per nulla vicino a un'evoluzione lineare che spesso si é portati a pensare dei fatti storici. Per quanto riguarda la Confederazione, fu nel 1893 che l'Associazione svizzera delle lavoratrici rivendicò per la prima volta il diritto di voto delle donne. A partire dagli anni 20, le grandi associazioni femministe del Paese cominciarono sempre più a ingaggiarsi a favore di un benessere sociale generale. Insistendo soprattutto sul fatto che la rappresentazione classica del dovere femminile, non preclude (ma anzi include) le donne nell'esercizio di un'influenza politica pari a quella degli uomini. Il culmine di questo movimento venne raggiunto nel 1929 con la presentazione di una petizione, ma il clima conservatore dovuto alla crisi economica di quegli anni fu poco favorevole alle rivendicazioni femministe. Solamente verso la fine degli anni 60 il movimento riemerse, sotto la veste di "nuovo femminismo", così definito dagli specialisti e conosciuto sotto il nome di Frauenbefreiungsbewegung (FBB) nella Svizzera tedesca, Mouvement de libération des femmes (MLF) in romandia e Movimento Femminista Ticinese (MFT) alle nostre latitudini. Questi gruppi assunsero una nuova strategia e ideologia politica, che li metterà in opposizione con quella sinistra a cui fino ad all'ora avevano sempre aderito e alla quale rimproveravano una struttura patriarcale; elemento che la stessa sinistra criticava alla società borghese dell'epoca.

Ma siccome la società non ha un carattere determinato e gli individui che la compongono, dunque la società stessa, hanno la libertà di operare delle scelte (questo almeno per quanto riguarda una democrazia nel suo ideale), arrivò la svolta. Il 7 febbraio di 40 anni fa, la Svizzera decise di organizzarsi equamente nel sistema politico del paese. Nel secondo tentativo di votazione popolare a livello federale, principio cardine di quella democrazia diretta tanto decantata alla Svizzera, i cittadini si proposero a favore del suffragio femminile con il 65,7 % di voti. La Svizzera raggiunse così quella modernità tanto attesa, dove la visione maschilista della famiglia e della società lascia spazio all'affermazione dei diritti dei singoli individui. Una vittoria a cui, piano piano, se ne aggiunsero altre. A partire da quella storica decisione, la composizione delle camere del Parlamento subì una graduale evoluzione nella rappresentanza femminile. Nel 1971 il Consiglio degli Stati era composto da 1 donna e 45 uomini; nel 2010 da 36 uomini e 9 donne, arrivando così ad una percentuale femminile del 19,9 %. Il Consiglio nazionale invece, se nel 71 contava 10 presenze femminili contro 190 maschili, nel 2010 può contare 60 rappresentati donne contro 140 rappresentati uomini, arrivando così al 30 % di donne al suo interno . Bisognerà attendere il 1984 per avere la prima presenza femminile nel Consiglio federale, grazie alla zurighese Elisabeth Kopp, e il 1999 per avere la prima Presidente svizzera di tutta la storia, Ruth Dreifuss.

Questi ultimi anni, hanno riservato alle donne confederate una bella rivincita sul passato. Il sesso debole è infatti riuscito a conquistare tutte le più alte cariche dello Stato nel corso della legislazione 2009/2010 (Pascale Bruder Wyss quale Presidente del Consiglio nazioanle, Erika Forster-Vannini quale Presidente del Consiglio degli Stati e Doris Leutard quale Presidente del Consiglio federale). Nel 2011, oltre a presiedere nuovamente la carica di Presidente della nazione con la ginevrina Micheline Calmy-Rey, le donne hanno ottenuto per la prima volta nella storia la maggioranza nel Governo federale, grazie alla presenza di Doris Leuthard, Eveline Widmer-Schlumpf, Simonetta Sommaruga e Corina Casanova.

Una lunga marcia quella delle donne svizzere per i diritti politici, la quale potrebbe rilanciare quella per i diritti economici, che in questo 2011 resta un traguardo ancora da conquistare.

Per chi vuole approfondire il soggetto, alcuni collegamenti interessanti qui di seguito:
- Sito della Cancelleria federale
- Sito dell'Associazione archivi riuniti delle donne Ticino
Sito del Parlamento Svizzero