Vai al contenuto principale Vai alla ricerca

Archivio Argomenti

Autori: Mattia Bertoldi
Data: 03 settembre 2015

La squadra delle Strutture carcerarie ticinesi ha conquistato a Berna il titolo svizzero

Camerateria anche sul campo da calcio

Da oltre 20 anni François Orchide è responsabile della selezione cantonale di calcio composta dai dipendenti delle Strutture carcerarie. Tra incontri, partite e tornei internazionali, ci racconta l’importanza di un’attività sportiva per consolidare i legami all’interno della squadra e conoscere meglio i colleghi svizzeri

Signor Orchide, ogni anno il torneo delle Strutture carcerarie svizzere ha luogo in un cantone diverso. Come funziona?
“È molto semplice. Ogni cantone iscrive la propria squadra, in cui possono militare solo i dipendenti degli stabilimenti penali presenti sul territorio. Non solo agenti di custodia, quindi, ma anche chi ad esempio lavora in amministrazione. Per motivi di servizio (e considerati gli effettivi ridotti), giochiamo a 7 e non a 11. Il cantone che ospita il torneo introduce poi le proprie regole per quanto riguarda fuorigioco, retropassaggi al portiere e così via. Le partite durano di norme due tempi da venti minuti l’uno”.

Sono rappresentati tutti i cantoni?
“Sfortunatamente no, perché non è sempre facile per le singole strutture assemblare annualmente una squadra di calcio. Quelli più costanti sono i cantoni Zurigo, Argovia, Berna, Ginevra e Ticino. Noi siamo abbastanza fortunati, perché da alcuni anni disponiamo di una rosa giovane e motivata che anche quest’anno è riuscita a imporsi, conquistando il titolo”.

L’anno scorso il Ticino ha ospitato il torneo, organizzato per l’occasione proprio sul campo di Sonvico - a pochi passi da La Stampa. Che ricordo ha di quell’esperienza?
“Un gran bel ricordo, anche se organizzare un evento del genere prevede un gran dispendio di energie e di tempo: trovare un campo adatto, cercare gli sponsor, organizzare il pernottamento per tutti gli ospiti... Il lavoro è tanto, e se qualcuno vuole mettersi a disposizione per aiutare a sbrigare tutte queste operazioni logistiche è il benvenuto! Alla fine, comunque, ce l’abbiamo fatta, e per la prima volta abbiamo introdotto squadre provenienti dalla vicina Italia con compagini provenienti da Firenze, Torino, Novara, Genova e Milano. Da nazionale il torneo è diventato internazionale, cosa che ha permesso a tutti di stringere nuovi legami coi colleghi d’oltre confine”.

Del tipo?
“Be’, di recente siamo stati invitati a Cagliari, dove abbiamo partecipato a un triangolare con le squadre locali della polizia penitenziaria e dell’aeronautica. Per noi è stata l’occasione non solo di rappresentare il Ticino fuori dal nostro Paese, ma anche di visitare le strutture carcerare del capoluogo sardo. È una specie di tradizione: ogni volta che ci spostiamo per giocare, organizziamo delle visite ai penitenziari locali”.

Perché è così importante osservare come si lavora al di fuori del nostro Cantone?
“Serve soprattutto ai giovani, perché dà loro l’opportunità di osservare altre realtà � dalle più tradizionali come quella del canton Argovia (con un carcere ancora basato su un sistema panottico) alle più moderne, vedi l’esempio di Zurigo. In occasione di ogni trasferta, quindi, cerchiamo di analizzare con occhio critico che cosa succede al di là del Gottardo o del confine italiano”.

Cosa avete per esempio carpito dall’esperienza in Sardegna?
“Be’, oggettivamente le strutture carcerarie in Italia sono più vetuste delle nostre, ma l’importanza data allo sport e alla vita extraprofessionale dai singoli corpi di polizia o dell’esercito è esemplare: non a caso, molti atleti olimpici italiani portano la divisa nella vita di tutti i giorni. A pochi passi dal penitenziario di Cagliari, per esempio, c’è un palazzo riservato ai dipendenti del penitenziario che è provvisto di palestra, ristorante e dormitori. Servizi molto utili, per chi lavora 24 ore su 24”.

Quali punti di contatto ci sono tra il lavoro all’interno di una struttura carceraria e l’attività sportiva?
“Lo spirito di camerateria e quell’affiatamento che facilita il lavoro all’interno di un gruppo. Due fattori che cerchiamo di sviluppare anche in ambiti extracalcistici: passeggiate, tornei di bowling, giornate dedicate allo sci”.

Qual è stato il momento più emozionante della sua carriera di responsabile della squadra delle Strutture carcerarie ticinesi?
“L’anno scorso abbiamo formato una squadra a livello svizzero e partecipato ai Campionati europei di Klagenfurt, in Austria. La cosa che più mi ha stupito è l’organizzazione quasi professionistica delle selezioni degli altri Paesi: autobus con i loghi delle squadre, divise ufficiali, torpedoni di tifosi al seguito. Prima delle partite siamo entrati in campo reggendo il vessillo rossocrociato, abbiamo cantato l’inno e ci siamo esibiti in uno stadio da 40 mila posti, fieri di rappresentare il nostro Paese. Un’esperienza veramente eccezionale”.