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Autori: Fabrizio Saldarini
Autori: Leyla Manzoni
Autori: Sandra Rossi
Data: 02 luglio 2008

Intervista di Sandra Rossi a Leyla Manzoni e Fabrizio Saldarini.

Con Swisscoy in Kosovo

Il 17 febbraio 2008 il Kosovo, ex provincia serba, ha proclamato unilateralmente la sua indipendenza; il 27 febbraio la Confederazione ha riconosciuto il nuovo Stato e, un mese dopo, la consigliera federale Micheline Calmy-Rey ha inaugurato l'ambasciata svizzera a Pristina.
In Svizzera vivono 170'000 kosovari, 40'000 dei quali possiedono la doppia nazionalità.
La Svizzera partecipa alla Forza multinazionale di pace dislocata in Kosovo (Kosovo Force: Kfor) incaricata di pacificare la regione e di renderla più sicura. Il contingente di soldati, tutti volontari, partito nell'ottobre del 1999, chiamato Swisscoy, contrazione di Swiss Company, è stato il primo a operare fuori dai confini nazionali, sempre subordinato al Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport, ma integrato in una struttura internazionale: la Nato.
Sui 147 militi della prima compagnia attiva in Kosovo sette erano svizzeri italiani, di cui cinque ticinesi. Nel corso delle varie missioni la presenza dei ticinesi è sempre stata costante.
Il consigliere di Stato Luigi Pedrazzini, con alcuni colleghi capi dei dipartimenti militari cantonali, ha visitato la Swisscoy l'11 agosto 2005.
Il 5 marzo 2008 il Consiglio nazionale, su proposta del Consiglio federale, ha prorogato fino alla fine del 2011 il mandato del contingente militare elvetico (95 voti favorevoli, 78 contrari e 9 astenuti); l'11 giugno 2008 anche il Consiglio degli Stati ha deciso senza opposizione di prolungare la missione Swisscoy.
Leyla Manzoni è stata in Kosovo con il primo contingente nel 1999 e vi è ritornata nel 2006; Fabrizio Saldarini vi è stato con il 17esimo contingente, da ottobre 2007 a aprile 2008.

Perché ha deciso di arruolarsi nella Swisscoy?

Leyla Manzoni: nel 1999 ho trascorso un mese in Albania, all'aeroporto di Tirana, con le guardie dei forti svizzere incaricate di garantire la sicurezza dei trasporti umanitari. Questa prima esperienza all'estero è stata molto positiva tanto che, al mio rientro, mi sono annunciata per far parte del primo contingente Swisscoy. Mi attirava inoltre la possibilità di contribuire a proteggere persone, convogli e cantieri in Kosovo, in un ambiente cosÌ differente da quello abituale e a contatto con militari provenienti da diversi paesi.
Sono partita una seconda volta nel 2006 (14esimo contingente) perché mi interessava vedere come era cambiata la situazione dopo sette anni. Ho trovato un paese in piena ricostruzione, molte infrastrutture esistenti sono state rifatte, soprattutto le strade, sono stati costruiti nuovi ponti, scuole e case. Anche l'atteggiamento della popolazione verso la Kfor non era quello schivo, riservato e distante che ricordavo, ma più aperto e, in parecchie occasioni, la gente ha cercato il contatto diretto con noi.

Fabrizio Saldarini: alla fine della scuola reclute, nel dicembre del 2006, ero alla ricerca di un posto di lavoro quale impiegato di commercio. Vista la situazione del mercato del lavoro l'impresa non si è rivelata delle più facili e ho trovato solo un'occupazione a termine, tre mesi, presso un'assicurazione. All'inizio di gennaio del 2007, su consiglio di un mio aiutante di stato maggiore alla scuola quadri, ho spedito il modulo di iscrizione a Swisscoy. È stata una decisione presa sul momento, senza però farmi grandi illusioni perché pensavo di avere scarse probabilità di essere assunto a causa del tedesco, che conoscevo ma che non parlavo ancora fluidamente. Tre settimane dopo venivo convocato per due incontri: il primo a fine febbraio a Rüti (ZH), dove ho passato la visita medica e un test d'inglese; il secondo a metà aprile a Stans-Oberdorf, sede di SWISSINT, il Centro di competenza per tutti gli impieghi di promovimento della pace all'estero dell'Esercito svizzero. Lì, dopo la presentazione del Centro e della missione Swisscoy, ho avuto colloqui personali e individuali con i capi e superato test psicologici e d'inglese. Alla fine di maggio la mia candidatura veniva accettata e ricevevo l'ordine di presentarmi alla caserma di Stans-Oberdorf all'inizio di agosto per assolvere i due mesi di addestramento.

Prima l'addestramento ...

Leyla Manzoni: nel 1999 quattro dure e intense settimane a Bière (VD); si iniziava prestissimo e si finiva tardi, sempre equipaggiati di tutto punto. La tenuta normale comprendeva: casco, giubbotto antiproiettili, fucile, pistola e fondina, bastone tattico, manette, pila, spray al pepe, sacco di montagna con vestiti di ricambio e farmacia, un peso non indifferente di circa 30 chili.
Ci siamo esercitati al tiro, abbiamo dovuto imparare a come comportarci in presenza di campi minati, a familiarizzarci con le procedure da seguire per proteggere i convogli o per procedere a evacuazioni. La partecipazione a corsi e conferenze ci ha permesso di conoscere la storia, la geografia, le istituzioni del paese e di farci un'idea della mentalità, degli usi e costumi della popolazione.
Nel 2006 ho seguito un corso specifico di aggiornamento svoltosi in Svizzera e Austria. Nel nostro paese, per tre settimane, ci siamo concentrati su alcuni compiti tradizionali della polizia militare: controlli della circolazione e protezione dei convogli. Durante la settimana passata in Austria abbiamo svolto esercitazioni riservate ai gruppi di intervento.

Fabrizio Saldarini: teorico: siamo stati informati su cosa avremmo trovato in Kosovo e sulle possibili situazioni in cui avremmo potuto trovarci;
pratico: abbiamo dapprima ripetuto e affinato le tecniche di base (arma, comportamento, uscite), che si apprendono durante la scuola reclute, in seguito abbiamo preso dimestichezza con un nuovo fucile e con i nostri futuri compiti di routine: controllo del campo e pattugliamento.
Alla fine dell'addestramento abbiamo dovuto superare alcune prove: tiro con pistola e fucile, riconoscimento campi minati, lettura della carta geografica del Kosovo attraverso coordinate precise, conoscenza dell'alfabeto NATO per le comunicazioni radio (a come alfa, b come bravo, c come charlie ...).
A livello fisico e tecnico non ho incontrato particolari difficoltà, a livello mentale invece questo periodo di preparazione, tutto in tedesco, è stato alquanto impegnativo e ha richiesto la massima concentrazione.

... poi la partenza e il primo impatto con il campo di Suva Reka ...

Leyla Manzoni:
il grosso del contingente ha preso l'aereo, io sono partita da Bière con il convoglio che, dopo cinque giorni di viaggio attraverso Italia, Grecia e Macedonia, è arrivato a destinazione. Il campo era ancora in costruzione, praticamente vuoto e spoglio; al centro un grande capannone, che un tempo avrebbe dovuto ospitare una fabbrica di gomma mai realizzata, attorniato da container sprovvisti di acqua e con elettricità solo per poche ore al giorno.

Fabrizio Saldarini: in ottobre del 2007 siamo partiti dall'aeroporto militare di Emmen alla volta di Pristina, dove c'è stata la cerimonia di "cambio contingente". I volontari del 16esimo contingente hanno preso il nostro aereo per rientrare in Svizzera e noi abbiamo intrapreso il viaggio verso la cittadina di Suva Reka, alla cui periferia è situato il campo Casablanca, che ospita le forze svizzere, austriache e tedesche. Il nostro convoglio era composto da cinque bus, da alcune macchine della polizia militare e da due Pirahna (carri armati granatieri ruotati) incaricati di garantire la sicurezza. Al campo siamo stati alloggiati in container provvisti di riscaldamento e aria condizionata. I pasti si prendevano alla mensa comune, gestita da cuochi austriaci; lì c'era sempre un grande viavai e si incontravano i militari degli altri eserciti.

Lavoro e congedi

Leyla Manzoni: nel 1999 si trattava di costruire e rendere operativo il campo, si lavorava quindi sette giorni su sette. Alle guardie dei forti erano assegnati i compiti di sicurezza: garantire la tranquillità all'interno, occuparsi degli incidenti sul lavoro, di eventuali furti ...; proteggere persone, convogli e cantieri all'esterno; assicurare la zona dove sono stati trovati inesplosi, cintarla e chiamare gli specialisti dello sminamento.
Nel 2006, sui quasi 200 militi del contingente dieci appartenevano alla polizia militare, subentrata alle guardie dei forti con la riforma dell'esercito del 2002. Per garantire la sicurezza 24 ore su 24 il nostro lavoro era ripartito su sei giorni e scandito da turni di dodici ore così ripartiti: due notti, un giorno di libero, due giorni e due giorni di picchetto.
Il periodo di arruolamento in Swisscoy è di sei mesi, per i componenti della polizia militare di tre.

Fabrizio Saldarini: sulla carta il lavoro era organizzato in tre cicli di sei giorni, spesso però, di fronte al continuo evolversi della situazione, i turni venivano modificati e generalmente allungati.
Ogni sei giorni lavorativi veniva conteggiato un giorno di congedo, dopo averne cumulati alcuni ne approfittavamo per visitare altri campi e altri eserciti.
Il periodo blu, teoricamente il più tranquillo, si passava quasi sempre al campo base ed era dedicato al poligono di tiro, all'istruzione sulle procedure d'arresto e alle esercitazioni antisommossa.
Durante il periodo rosso dovevamo garantire la sicurezza del campo e dei suoi dintorni 24 ore su 24. Sorvegliavamo chi entrava e chi usciva e, da tre torrette, tenevamo d'occhio tutto il perimetro del campo. Due volte al giorno, mattina e sera per cinque/sei ore, due pattuglie, quasi sempre accompagnate da un interprete, uscivano, formavano posti di blocco e controllavano veicoli e documenti. Si visitavano inoltre anche i villaggi cercando il dialogo con gli abitanti allo scopo di raccogliere informazioni sulla situazione e sui bisogni della popolazione per poter portare un aiuto mirato. Uno dei disagi maggiormente sentiti era legato alla corrente elettrica che, spesso e volentieri, saltava.
Il periodo nero era quello più stressante e impegnativo, ma di gran lunga il più interessante; lo passavamo in due accampamenti distanti circa un'ora di macchina dal campo Casablanca, sotto le tende con un paio di container per doccia e servizi. Il primo accampamento era situato su una collina sovrastante il villaggio serbo di Velika Hoca, che dovevamo sorvegliare; il secondo era collocato tra il paesino di Zociste, interamente abitato da kosovari di etnia albanese, e un monastero serbo; il nostro compito era quello di garantire la sicurezza dei tre preti ortodossi e dei loro visitatori. Durante questo periodo dovevamo anche pattugliare Orahovac, una cittadina a maggioranza albanese ma con una forte presenza serba. Due soldati perlustravano a piedi il settore serbo, due quello albanese e altri due, in puch, giravano per l'intera cittadina.

Com'erano i rapporti con gli altri contingenti?

Leyla Manzoni: la collaborazione con austriaci, germanici, italiani, francesi, turchi e americani è sempre stata ottima. Parlando italiano, francese, tedesco e inglese non ho avuto difficoltà a comunicare, anzi in alcune occasioni ho svolto la funzione di interprete.

Fabrizio Saldarini: con austriaci e tedeschi, visto che condividevamo il campo, i rapporti erano buoni e frequenti. Allo Swiss Chalet ho incontrato anche americani, francesi, italiani, turchi, venuti da altri campi per gustare le specialità svizzere, soprattutto fondue e raclette.

Ha intenzione di ritornare?

Leyla Manzoni: penso che per me valga il detto "non c'è il due senza il tre". Da poco mi sono trasferita a Berna, al Comando della Sicurezza militare, ma appena gli impegni di lavoro me lo permetteranno penso proprio che mi metterò nuovamente a disposizione.
Ogni tanto mi mancano la vita da campo, il contatto con gli eserciti esteri, e l'imprevedibilità così ben condensata dall'abituale annuncio mattutino: "la situazione è tranquilla ma instabile", che ci teneva sul chi vive, pronti a intervenire al primo allarme.

Fabrizio Saldarini: mi piacerebbe ripetere l'esperienza nel periodo estivo, maggio-settembre. Tutto però dipende da quello che mi riserva il futuro. Se, come spero, avrò la possibilità di intraprendere una carriera in grigioverde, quale istruttore o nella polizia militare, un nuovo soggiorno in Kosovo dovrebbe essere possibile; se invece dovessi ritornare a svolgere un'attività civile sarà difficile se non impossibile, nessun datore di lavoro è disposto a concedere congedi così lunghi.