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Autori: Mattia Bertoldi
Data: 11 dicembre 2015

Il segretario generale del Dipartimento delle istituzioni Guido Santini si prepara al pensionamento

“Empatia e fiducia sono fondamentali”

Era il 1977 quando Guido Santini è stato assunto nell’Amministrazione cantonale; da allora ha vissuto una carriera professionale ricca di sfide e cambiamenti, ma sempre imperniata sui rapporti umani e lo spirito di collaborazione. A pochi mesi dalla pensione, ecco qualche riflessione sul suo percorso pluridecennale

Signor Santini, partiamo dall’inizio. Cosa è successo nel 1977? “Mi sono laureato in diritto all’università di Ginevra. Quando frequentavo il liceo l’idea era di studiare legge per poi lavorare nello studio legale di mio padre che, sfortunatamente, nel frattempo è deceduto. Così, dopo aver conseguito la licenza, ho iniziato a prestare servizio per la Sezione del Contenzioso dell’allora Dipartimento dell’Interno e, fatta eccezione per una pausa di 18 mesi per svolgere la pratica legale, non ho mai abbandonato l’Amministrazione cantonale”.

Si è mai detto “Basta, voglio lavorare nel settore privato”?
“Mai, anche perché sono sempre stato molto legato al settore pubblico, complici i quattro anni di Consiglio comunale e le sei legislature da sindaco nel mio Comune, Sorengo; ero solamente indeciso se lavorare per l’Amministrazione federale o cantonale. Ma la ragione principale di questo attaccamento al Cantone è dovuto alle numerose opportunità professionali avute su diversi fronti: dalla sezione della circolazione al Dipartimento di polizia, dalla divisione interni alla segreteria generale del Dipartimento delle istituzioni. Molteplici settori per un percorso molto gratificante, che mi ha sempre garantito nuove sfide fatte di opportunità e stimoli. In più, ho sempre beneficiato di grande fiducia e libertà di manovra, al punto che amo spesso definirmi un libero professionista salariato”.

Uno degli impegni più importanti del suo percorso è stata l’istituzione della Segreteria generale del DI, voluta nel 2013 dal Consigliere di Stato Norman Gobbi. Come si è trovato con lui? “Molto bene, ma ho apprezzato tutti i Consiglieri di Stato coi quali ho lavorato - prima di lui, quindi, Fulvio Caccia, Giuseppe Buffi, Alex e Luigi Pedrazzini. Politici di grande personalità, coi quali ho sempre voluto creare un rapporto di empatia e fiducia che andasse oltre la semplice gerarchia professionale o le questioni partitiche. Solo creando un clima del genere è possibile raggiungere i risultati sperati”.

Una filosofia che ha adottato anche nel rapporto coi diretti collaboratori?
“Certamente. Con in più il piacere di aver accumulato anno dopo anno un’indiscutibile esperienza che ha reso più semplice e immediata una consulenza o un colloquio”.

Un altro anno molto importante per lei è stato il 1989…
“L’anno in cui è stata approvata in Parlamento la legge sulla polizia, alla quale mi sono dedicato per sei mesi sotto la direzione dell’allora Consigliere di Stato Caccia e del comandante Mauro Dell’Ambrogio. Una legge che, nonostante i tanti emendamenti, è ancora oggi in vigore”.

Nel 2007, invece, che è successo?
“Uno dei momenti più difficili e delicati della mia carriera: il rimpatrio coatto in Macedonia di due bambini di 11 e 5 anni trasferiti illecitamente in Svizzera dalla madre. Una vicenda complessa, legittimata dalla sentenza della prima camera civile del tribunale d’appello e dalla Convenzione dell’Aja sugli aspetti civili del rapimento internazionale dei minori. Agivamo quindi nel giusto, ma la fattispecie ha avuto un grande seguito massmediatico che non ci ha facilitato il compito; in più, siamo stati tutti toccati profondamente dal punto di vista umano ed emotivo”.

Come si superano questi e altri momenti di difficoltà, in un’azienda come l’Amministrazione cantonale?
“Secondo me l’empatia e la fiducia che uno riesce a creare con i collaboratori più diretti è la chiave per lavorare in maniera proficua; ritengo che la gestione del personale sia importantissima, per un posto di lavoro come questo. Inoltre, devono essere garantiti l’impegno e la lealtà nei confronti dell’Amministrazione cantonale. Solo in questo modo è possibile cogliere delle belle soddisfazioni, insieme, perché ogni funzionario è un importante tassello per il raggiungimento degli obiettivi prefissati”.

E quali, invece, i momenti di frustrazione davanti ai quali ci si può trovare?
“Limitarsi a eseguire gli ordini senza impegnarsi a creare un legame più profondo coi colleghi è di sicuro una delle vie da non percorrere. Inoltre, bisogna saper convivere con le delusioni: a volte ci si trova coinvolti in progetti o gruppi di lavoro che lasciano presagire sviluppi interessanti, ma che alla fine non danno alcun esito. Ecco, in questi casi non bisogna lasciarsi scoraggiare”.

Un progetto ancora incompiuto che le sarebbe piaciuto veder realizzarsi?
“La revisione dei compiti di Stato, un progetto di cui si parla da decenni e che presumibilmente potrebbe finalmente giungere a conclusione anche grazie all’interesse che sta dimostrando il Gran Consiglio”.

Tornando alla cronologia della sua carriera, lei definisce il 1980 un anno di svolta. Nel corso del mese di maggio ha infatti vissuto tre momenti topici: il superamento dell’esame di avvocato, la nascita del suo primogenito e un’importante promozione nell’Amministrazione cantonale che l’ha portata ad assumere la funzione di segretario di concetto del Dipartimento di polizia.
“Esatto. Ricordo che l’esame orale si svolgeva davanti a una commissione: il candidato rispondeva alle domande, lasciava la stanza e poi veniva richiamato per ascoltare il relativo esito. Girava voce che se al momento di aprire la porta gli esaminatori erano seduti, allora l’esito dell’esame era negativo; se invece erano in piedi, stavano per congratularsi. Può immaginare l’emozione nell’aprire quella porta! Nulla però in confronto a quella di diventare papà di Davide e negli anni successivi di Michele e Laura, in un matrimonio che si avvicina al 39.esimo anniversario”.

Come ci si prepara alla pensione?
“Di ricette precostituite non ve ne sono! Prescindendo dal fatto che attualmente la mia attività è concentrata a evadere la maggior parte degli incarti di mia competenza e a preparare il passaggio del testimone, sono sicuro che - una volta pensionato - avrò più tempo per dedicarmi a passioni che i troppi impegni sinora mi hanno portato a trascurare troppo spesso: la montagna, la lettura e il tennis. Ah, e poi ci sono altre funzioni che mi preparo ad assumere da qui a pochi mesi”.

Quali?
“Viaggiare con mia moglie e gli amici, nonché giocare con le nipotine Matilde e Vittoria”.