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Autori: Oliver Broggini
Data: 29 novembre 2013

Importante anniversario a Palazzo delle Orsoline

I (primi) vent'anni del Cancelliere

Il 30 novembre 1993, Giampiero Gianella formulava la promessa solenne di fronte al Governo cantonale, diventando Cancelliere dello Stato come successore di Achille Crivelli. Così ce lo descrivono i giornali dell'epoca: 42 anni, originario di Castagnola, dal 1978 alle dipendenze dello Stato, «dapprima come giurista, poi segretario di concetto al Dipartimento degli interni e quindi direttore della Divisione giustizia del Dipartimento istituzioni». A vent'anni esatti da quella cerimonia, lo abbiamo incontrato a Palazzo delle Orsoline per ripercorrere il lungo viaggio compiuto e anche per proiettare lo sguardo al futuro del Ticino e dell'Amministrazione.

Il 30 novembre 1993, Giampiero Gianella formulava la promessa solenne di fronte al Governo cantonale, diventando Cancelliere dello Stato come successore di Achille Crivelli. Così ce lo descrivono i giornali dell'epoca: 42 anni, originario di Castagnola, dal 1978 alle dipendenze dello Stato, «dapprima come giurista, poi segretario di concetto al Dipartimento degli interni e quindi direttore della Divisione giustizia del Dipartimento istituzioni». A vent'anni esatti da quella cerimonia, lo abbiamo incontrato a Palazzo delle Orsoline per ripercorrere il lungo viaggio compiuto e anche per proiettare lo sguardo al futuro del Ticino e dell'Amministrazione.

Per ripercorrere una storia così complessa, può essere interessante riavvolgere il nastro degli eventi, tornando al principio. Utilizzeremo quindi, come bussola per viaggiare attraverso il tempo trascorso da quel giorno, le dichiarazioni dell'allora neo cancelliere, grazie a due interviste al Giornale del Popolo e a La Regione - rilasciate subito dopo l'atto formale del suo insediamento di fronte al Consiglio di Stato.

La prima cosa che i giornalisti le chiesero fu di definire in cosa consistesse la funzione del Cancelliere dello Stato; come entrata in materia, forse vale la pena di ripetere quell'esercizio anche per i lettori del 2013.
«Il Cancelliere dello Stato è una figura particolare, prevista a livello federale e in ognuno dei 26 Cantoni. In primo luogo, è chiamato a svolgere la funzione di segretario dell'Esecutivo - e, in qualche caso, anche del Legislativo, benché la tendenza ormai consolidata preveda la separazione dei due ruoli. I compiti classici riguardano il supporto giuridico, amministrativo e tecnico all'attività del Governo, in ciò che riguarda la preparazione, la gestione e l'esecuzione delle sue attività. La Cancelleria si avvale perciò di alcuni servizi di supporto, ad esempio nei campi della comunicazione, della legislazione, del cerimoniale, dei diritti politici e delle relazioni esterne. Non va poi dimenticato che il Cancelliere partecipa alle sedute a porte chiuse del Governo, con il ruolo di garantirne la correttezza formale e procedurale; possiamo quindi anche intenderlo come un notaio».

Cosa ricorda dei giorni che precedettero e seguirono l'assunzione del suo nuovo ruolo?
«La mia nomina era giunta alla fine dell'estate, con entrata in servizio prevista per il 1. dicembre. Il giorno precedente, tuttavia, l'allora presidente del Governo Giuseppe Buffi mi fece chiamare urgentemente nella sala del Consiglio di Stato; a causa dell'assenza per malattia del Cancelliere Achille Crivelli, mi fu chiesto di sostituirlo e coordinare quindi - a sorpresa - la mia prima seduta di Governo. Nonostante tutte le incognite del caso, l'esperienza non fu per nulla traumatica: ero consapevole del ruolo che mi attendeva e il mio predecessore mi aveva adeguatamente preparato».

Si ricorda di cosa discusse il Consiglio di Stato, quel giorno?
«Penso che oltre ai diversi temi all'ordine del giorno, tra i molti incarti, vi fosse di certo la preparazione alla discussione sul Preventivo 1994. All'epoca la politica cantonale cominciava a ragionare sul contenimento delle spese, dopo alcuni anni durante i quali il lascito Horten - giunto nel 1989 - aveva assicurato alle finanze dello Stato una boccata di ossigeno».

Il suo predecessore, nell'augurio che volle rivolgerle attraverso i giornali, profetizzò per lei proprio la necessità di affrontare un'epoca di «ripensamento dei meccanismi istituzionali».
« Dopo la cosiddetta "Riforma del lago d'Orta", adottata dal Consiglio di Stato durante una seduta extra muros nel 1992, il clima era in effetti caratterizzato da un ripensamento dell'amministrazione, tanto nell'organizzazione quanto nei compiti. In particolare, subito dopo la mia entrata in servizio mi trovai a coordinare l'attuazione di alcuni provvedimenti profondamente innovativi. Penso ad esempio all'inedito assetto delle deleghe, con i relativi meccanismi di controllo: una trasformazione pensata per attribuire maggiori responsabilità decisionali ai livelli inferiori delle gerarchie dell'amministrazione, con l'obiettivo di lasciare al Governo più tempo e risorse per occuparsi delle questioni strategiche».

Fra le priorità che lei indicava, rispondendo alla stampa, c'era anche «uno sforzo di ridimensionamento e di semplificazione di competenze e procedure, a tutti i livelli». L'impresa è riuscita?
«Proprio l'esempio delle deleghe mostra come la direzione presa fosse corretta. In precedenza, il Consiglio di Stato era chiamato - nelle sue sedute - ad adottare ogni anno oltre 16 mila decisioni; i rendiconti annuali ci dicono che oggi tale cifra si è drasticamente ridotta, ed è compresa fra le 5 e le 6 mila unità. Ciò è conseguenza della decisione di fondo di lasciare ai funzionari la gestione degli aspetti più tecnici e amministrativi»

Fra i compiti della sua nuova funzione vi era anche la presidenza del Gruppo di coordinamento interdipartimentale, chiamato a fare da trait d'union fra Governo e Amministrazione. È un sistema di lavoro tuttora efficace?
«Questo organo di consulenza e supporto all'attività del Governo era nato all'inizio degli anni '80, quando - con la Legge sulla pianificazione politica - il Consiglio di Stato aveva voluto dotarsi di una serie di nuovi strumenti di lavoro che esistono tuttora, come il Rapporto sugli indirizzi e le Linee guida e Piano finanziario. Lo scopo di questo consesso rimane quello di promuovere la gestione interdipartimentale dei compiti e delle attività dell'Amministrazione: la sua efficacia dipende poi dalla volontà e dalla capacità del Governo di utilizzarlo nel migliore dei modi».

I suoi intervistatori dell'epoca esprimevano timore per l'eccesso di invadenza dell'amministrazione nella vita del Cantone: lei suggeriva loro, tuttavia, di «relativizzare questa immagine del potere della burocrazia». È un invito che vale ancora oggi?
«Questi timori possono essere più o meno fondati a seconda dell'atteggiamento assunto dalla politica. Quanto più Governo e Parlamento sono in grado di fornire indirizzi chiari e di assumersi le loro responsabilità nel guidare il paese, tanto meno invadente risulterà il ruolo dell'Amministrazione cantonale. Durante questa Legislatura, mi sembra che l'Esecutivo abbia dimostrato la volontà e la capacità di riappropriarsi del proprio ruolo, utilizzando in modo intelligente soprattutto i quadri dirigenti e giungendo a risultati che mi sembrano migliori rispetto al passato».

La definizione classica del Cancelliere lo ritrae come il «sesto Consigliere di Stato»; parlando degli altri cinque, come ha visto cambiare, nel tempo, le modalità di lavoro del Governo?
«Da un lato, i cambiamenti introdotti dopo la conferenza del Lago d'Orta hanno portato al Governo benefici in termini di efficacia e razionalità delle procedure. D'altra parte, in anni recenti abbiamo visto emergere nuove problematiche legate alla complessità dei temi trattati, e ai mutamenti nel rapporto fra istituzioni e società; questo condiziona i tempi e le modalità di lavoro del Consiglio di Stato, dal quale il Paese esige decisioni adeguate e sempre più rapide».

A proposito di esigenze del Paese, un tasto dolente riguarda la percezione dello Stato che sembra prevalere. La sua osservazione riguardo al fatto che «l'immagine del funzionario pubblico fra la popolazione è piuttosto negativa» sembra scritta oggi, non vent'anni fa...
«Con tutta probabilità, in effetti, questa percezione non si è modificata in positivo rispetto ai tempi del mio insediamento. Va comunque detto che c'è stato uno sforzo significativo - specialmente attraverso le nuove tecnologie - per avvicinare le istituzioni al cittadino, presentando in maniera immediata e comprensibile tutti i compiti che un'Amministrazione pubblica complessa come quella cantonale svolge ogni giorno a favore dei cittadini. Grazie a internet, i ticinesi oggi dispongono di un accesso diretto a informazioni sempre più dettagliate, ma è vero che forse serve maggiore impegno per coltivare la dimensione umana della relazione fra il palazzo e la piazza. Una dimostrazione indiretta che occorre insistere in questa direzione l'abbiamo avuta di recente, quando oltre duemila persone hanno partecipato con entusiasmo alla giornata di porte aperte nella Residenza governativa».

Per superare la crescente e preoccupante «reciproca diffidenza» fra cittadini e istituzioni, vent'anni fa lei ribadiva anche l'importanza di una efficace comunicazione, perché in realtà «il Consiglio di Stato è molto più vicino alla popolazione di quanto si pensa». L'avvento delle tecnologie - pensiamo in particolare ai social media - oggi ci induce però a pensare che spesso qualche problema possa nascere dall'eccesso di vicinanza...
«È vero che le reti sociali sembrano talvolta azzerare la distanza fisica fra le istituzioni e la popolazione, ma queste nuove forme di relazione - visto che le finalità dei social media e quelle di un'Amministrazione pubblica sono diverse - rischiano anche di creare una confusione di ruoli e funzioni. Credo che nei prossimi anni sarà importante tenere ben distinta la comunicazione ufficiale dallo scambio di opinioni, perché - se da un lato il dialogo è sempre positivo - occorre anche ribadire come il "mi piace" sulla bacheca privata di un consigliere di Stato appartenga, per il momento, a una dimensione diversa da quella del rapporto fra Stato e cittadino; rapporto del quale occorre considerare e riconoscere anche l'aspetto formale».

Di fronte alla richiesta di indicare i suoi temi preferiti, lei menzionava i rapporti fra Stato e Chiesa, che oggi sono più o meno scomparsi dal radar della politica; all'epoca, invece, il finanziamento delle chiese riconosciute dalla Costituzione accendeva gli animi.
«Quell'incarto me l'ero portato dietro dalle mie precedenti funzioni nell'Amministrazione, così come - ad esempio - la revisione della Costituzione cantonale, la Legge organica patriziale e altri progetti normativi per i quali avevo ero stato impegnato in prima persona nella loro elaborazione Da laico quale sono - pur se cresciuto, come buona parte dei ticinesi, con una forte impronta cristiana - si è trattato di un tema che ha portato stimoli e arricchimento personale, oltre a qualche risultato concreto; credo infatti che la soluzione alla quale siamo giunti abbia assicurato il giusto equilibrio al rapporto fra Stato e chiese, anche se non fu possibile giungere a regolare definitivamente la questione del finanziamento».

Una delle cose che la preoccupavano, vent'anni fa, erano «le forme di individualismo ed egoismo favorite dalla difficile situazione economica, che solo fino a qualche anno fa non erano presenti». Nel frattempo, le cose non sembrano essere migliorate.
«Questa constatazione può essere tranquillamente confermata, anche per l'emergere di qualche deriva che deve senz'altro preoccupare. Il contesto generale di deresponsabilizzazione delle persone porta infatti al paradosso per il quale lo Stato deve occuparsi di tutto, salvo poi essere accusato di non trovare risposte abbastanza soddisfacenti, rapide o economiche - e magari perfino di essere troppo invadente!».

Sempre a proposito dei rapporti fra cittadini e istituzioni, la cellula istituzionale di base resta il Comune. Vent'anni fa in Ticino ce n'erano 247, e anche lei condivideva l'imperativo di una loro riduzione: che opinione ha maturato, nel frattempo, sul «grande cantiere» delle aggregazioni?
«Proprio qualche sera fa a Minusio, in uno dei dibattiti sul Piano cantonale delle aggregazioni, ho ricordato il difficile percorso che è stato intrapreso per una semplificazione dell'assetto istituzionale del Cantone. Si tratta di un processo inevitabilmente lungo e complesso, che però porta a risultati tangibili, e - a medio-lungo termine - dovrebbe permetterci di riordinare stabilmente l'attribuzione dei compiti e nelle relazioni fra Cantone e Comuni: un passo che, per la cittadinanza, non potrà non essere positivo. Il PCA, in quest'ottica, fornisce indicazioni di certo ambiziose, ma senz'altro meritevoli di essere sostenute con perseveranza».

Guardando ora al livello istituzionale superiore, c'è un po' di malinconia quando uno dei suoi intervistatori azzarda uno scherzoso paragone fra lei e l'allora Consigliere federale Flavio Cotti, che resta l'ultimo politico ticinese ammesso fra i «sette saggi». Se valuta l'evoluzione dei rapporti fra il Cantone e la Confederazione, la distanza fra Bellinzona e Berna le sembra aumentata o diminuita?
«Negli ultimi anni c'è stato un significativo miglioramento - qualitativo e quantitativo - nell'approccio e nella ricerca di soluzioni per salvaguardare e promuovere a livello federale le esigenze di un Cantone come il nostro, diverso dal resto della Confederazione per la lingua e la cultura minoritarie, l'isolamento geografico e il fatto di confinare con un'altra Nazione. Questo miglioramento è stato possibile poiché il Consiglio di Stato ha individuato misure politiche e organizzative che agevolano i contatti con Berna, la reciproca conoscenza, la collaborazione e l'ascolto».

A cosa si riferisce?
«Penso in particolare agli scambi più intensi con la Deputazione ticinese alle Camere federali, ma soprattutto alla figura del Delegato ai rapporti confederali e all'Antenna amministrativa nella capitale federale. Non tralascerei infine di accennare alle opportunità offerte dalla partecipazione attiva a organismi e gremi a livello federale e intercantonale, strumenti indispensabili per confrontarci con esperienze altrui e trasmettere idee, soluzioni e importanti messaggi; la mia esperienza nel Comitato della Conferenza svizzera dei Cancellieri - della quale, per una Legislatura, sono stato presidente - lo testimonia».

Se ora spostiamo lo sguardo verso sud, tra i dossier che le furono affidati, uno dei più prestigiosi era la collaborazione transfrontaliera: dal questo osservatorio, come ha visto cambiare i rapporti fra il Ticino e le vicine Regioni italiane?
«Il compito affidatomi, con il benestare del Governo - che mi ha portato ad assumere la funzione di segretario della Regio Insubrica - mi ha permesso di acquisire conoscenze di prima mano sulla realtà politica italiana, e anche di farmi un'idea precisa sulle modalità più adeguate per avvicinarsi ai suoi attori. Sono convinto che - nonostante lo scetticismo con il quale in Ticino guardiamo alla gestione istituzionale della Penisola - sia indispensabile continuare a coltivare le relazioni politiche ed economiche, anche attraverso forme nuove. A questo proposito, una delle sfide per il futuro - una sfida per la quale sento di potere dare ancora un contributo sostanziale - è quella di introdurre anche a sud, con i necessari adattamenti, soluzioni analoghe a quella che stiamo positivamente sperimentando con Berna».

Restando sul tema delle relazioni diplomatiche, lei è da 20 anni anche il responsabile del protocollo cantonale. C'è un aneddoto particolare che spicca sugli altri e merita di essere raccontato?
«La responsabilità degli aspetti legati al cerimoniale è un compito al quale mi sono molto affezionato: mi ha permesso di organizzare eventi di portata nazionale e internazionale, conoscere personalità di altri Paesi ma soprattutto promuovere una maggiore conoscenza del nostro Cantone e delle sue istituzioni, mettendone in evidenza le peculiarità e i lati positivi. Ricordo con particolare piacere il viaggio del 2012 in Uruguay, con una delegazione del Consiglio di Stato, durante il quale abbiamo festeggiato i 150 anni di Nueva Helvecia, una comunità costruita da espatriati svizzeri - e in particolare ticinesi - che hanno mantenuto un forte attaccamento alle loro radici».

A proposito di radici, proprio la Cancelleria ha lanciato da pochi mesi il progetto OltreconfiniTi, dedicato alla storia dell'emigrazione nostrana e alle relazioni con i ticinesi nel mondo. Pensando a come eravamo nel 1993 - reduci da decenni di oblio delle tradizioni e con un movimento politico nascente che faceva invece del richiamo alla ticinesità uno dei pilastri del suo successo - oggi direbbe che l'identità ticinese è più o meno forte di allora?
«Il progetto OltreconfiniTi è stato condiviso in modo aperto e consapevole dal Consiglio di Stato, con l'idea di creare una piattaforma sociale che favorisca i contatti con i ticinesi della diaspora, aiutandoli a conoscere e apprezzare il loro paese d'origine. È certamente uno sforzo identitario, quindi, che va nella direzione di un recupero della conoscenza delle istituzioni, del territorio, delle tradizioni e dei valori storici e culturali di questo Cantone. Uno sforzo che è quanto mai necessario - e non solo secondo me - perché se puntiamo a una vera rinascita dell'identità di questo Cantone non basterà che ci definiamo in negativo; sebbene le preoccupazioni legate al mercato del lavoro siano giustificate e comprensibili, non sarà la chiusura verso tutto ciò che giunge da fuori a rendere più chiaro il senso dell'essere ticinesi».

La politica, quando è vissuta ai massimi livelli, tende spesso ad assorbire il 100% delle energie di una persona. È possibile, in una posizione come la sua, «staccare» completamente dalle questioni istituzionali?
«Il mio ruolo professionale e l'interesse personale verso la politica - della quale mi sono occupato, sebbene indirettamente, a tempo pieno - hanno certamente dato forma alla mia vita anche nella dimensione privata. Alcuni principi - segreto d'ufficio, discrezione, opportunità - pongono qualche limite alle relazioni personali, ma mi è sempre stato chiaro in quali momenti e quali circostanze prendere la giusta distanza dal lavoro. In ogni caso, la socievolezza e la disponibilità sono rimasti i tratti distintivi del mio carattere, e mi hanno aiutato a captare segnali e indicazioni - molte critiche e qualche, più raro, apprezzamento - utili per riflettere sulla realtà del nostro Cantone e della sua Amministrazione».

Per non esaurire il discorso agli aspetti retrospettivi, è buona cosa guardare a quello che aspetta, fra pochi mesi, il servizio che lei dirige: l'esposizione universale di Milano. Cosa può aspettarsi il Ticino da Expo 2015, e come affronterà l'evento?
«L'avvicinamento a questo evento ha fatto emergere nel mondo politico e in una parte della popolazione ticinese, ancora una volta, una serie di diffidenze e timori che sono ormai un classico per il nostro Cantone; mi verrebbe da dire che si tratta dell'eredità che ci viene dal nostro passato di regione discosta e - in un certo senso - provinciale, poco consapevole dei propri punti di forza. Proprio Expo 2015, invece, è una vera occasione perché il Ticino si presenti e si esprima - in modo intelligente e costruttivo - come portabandiera ed esempio per il resto della Confederazione, sfruttando così quella che, per una volta, è una posizione favorevole a livello linguistico e geografico».

Più avanti nel tempo, ma ormai non molto lontana, c'è l'inaugurazione di AlpTransit: anche se la reale portata del cambiamento non può essere definita in anticipo, lei come si immagina il Ticino dei prossimi decenni?
«I cambiamenti li stiamo già avvertendo, se pensiamo ad esempio al territorio e alla sua pianificazione. In molti altri ambiti, come l'economia e la mobilità, dobbiamo invece limitarci alle ipotesi; è comunque chiaro che, in generale, saremo chiamati a cogliere al meglio le opportunità che si apriranno, in particolare per le generazioni più giovani. Il Ticino dovrà mostrare un atteggiamento intelligente e, soprattutto, la capacità di trovare soluzioni condivise; vorrei davvero che potessimo risparmiare a noi stessi l'ennesimo stillicidio di polemiche, invidie e diffidenze che finirebbe per ritardare o bloccare molti progetti potenzialmente innovativi».

Ci avviciniamo alla conclusione, e non può mancare qualche domanda riassuntiva, per un'intervista che copre un arco temporale di vent'anni. Qual è il risultato ottenuto del quale è più fiero?
«Sarebbe difficile isolare un singolo momento, anche perché questa posizione - un riconoscimento che il Consiglio di Stato mi ha dapprima tributato e poi confermato nel tempo - mi permette giorno dopo giorno di osservare da vicino come cambia il nostro Cantone, e di contribuire in qualche misura alle iniziative che sono state intraprese per migliorare le condizioni di vita della sua popolazione. Mi considero quindi privilegiato per avere potuto rivestire il ruolo di co-attore - non oso dire coprotagonista - su un palcoscenico così stimolante e prestigioso, e sono riconoscente per la fiducia riposta nella mia persona. Un onere e soprattutto un onore che so di avere ripagato con il mio bagaglio di conoscenze, esperienza, carattere e passione per la cosa pubblica».

Anche se i ticinesi sono abituati a vederla sempre sorridente, ricorda un'arrabbiatura particolarmente furibonda, in questi vent'anni?
«Non sono mancati gli episodi e i momenti che mi hanno visto combattuto, rattristato e anche arrabbiato - benché, per la mia indole e il contegno richiesto alla mia funzione, nella maggior parte dei casi non l'abbia dato a vedere. Il momento di maggiore disagio l'ho probabilmente vissuto durante la Legislatura 2003/2007, quando la spaccatura all'interno del Consiglio di Stato era culminata nella vicenda "Fiscogate" e nella parziale esautorazione di Patrizia Pesenti. Vivendo a stretto contatto con il collegio, avevo sofferto - pur senza esternarlo apertamente - la tensione continua legata agli aspri confronti e al degrado dei rapporti interpersonali. Un altro momento difficile è poi giunto in occasione delle elezioni federali del 2011, quando il conteggio dei voti era stato messo in discussione e si era reso necessario il famoso "spareggio" per la determinazione del secondo eletto nel PPD».

C'è qualcosa di cui è pentito, un errore che vorrebbe non avere commesso?
«Mi rammarico di non essere stato determinato a sufficienza, talvolta, nell'affrontare e risolvere alcuni problemi; si tratta di situazioni nelle quali ha avuto la meglio il lato bonario e conciliante del mio carattere. Episodi isolati, tutto sommato, che mi hanno comunque aiutato a capire come sia necessario, in certe situazioni, accettare di dovere fare ricorso alla "linea dura"».

L'abbiamo conosciuta 42enne, attraverso le parole delle sue interviste, e la salutiamo ora - a due decenni di distanza - vicino al coronamento della sua carriera. Le restano dei desideri da realizzare, a livello professionale?
«In primo luogo intendo portare a compimento il processo di riorganizzazione interno della Cancelleria, che tenga conto delle esigenze emerse negli ultimi anni, in particolare per quanto riguarda la gestione dei servizi a noi affidati. C'è poi la consapevolezza che occorrerà proseguire la transizione verso una comunicazione ancora più chiara, trasparente ed efficace, che contribuisca all'opera paziente e quotidiana di avvicinamento fra cittadini e istituzioni. Da ultimo, c'è poi un desiderio tecnologico - ed ecologico, mi verrebbe da dire - per le sedute settimanali del Consiglio di Stato; sull'esempio di quanto già realizzato da altri Cantoni, sarebbe opportuno arrivare progressivamente a una gestione "senza carta" dell'ordine del giorno. Questo, tra l'altro, mi aiuterebbe - quando verrà il momento giusto - a lasciare in eredità una valigia più leggera rispetto a quella che mi è stata consegnata, 20 anni fa, dal mio predecessore».