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Autori: Luigi Pedrazzini
Autori: Redazione
Data: 13 aprile 2010

Intervista al Direttore del Dipartimento delle istituzioni, Presidente dell'Esecutivo cantonale per l'ultimo anno della legislatura 2008-2011

Luigi Pedrazzini alla testa del Governo

Lei oggi assume per la terza volta la presidenza del Consiglio di Stato. Con quale spirito affronta questo incarico?

Assumo la carica con il medesimo spirito delle altre volte: con serenità e impegno. Serenità perché operiamo in un contesto che fortunatamente non conosce grossi conflitti di natura sociale o culturale, e il confronto fra le forze politiche è sì vivace, ma certo non tale da compromettere la ricerca di soluzioni condivise. Con impegno perché le cose da fare sono sempre molte e i "cantieri" aperti sono parecchi e toccano tutti gli ambiti dell'azione governativa: il lavoro dunque non mancherà.

Il Presidente del Consiglio di Stato si fa carico dell'immagine del Governo. Quali le priorità in questa funzione?

Cercherò di trasmettere l'immagine di un Governo attento alle esigenze della nostra comunità e che sa operare con autentico senso di responsabilità. In quest'ottica, credo che sia importante rafforzare nei cittadini il senso della sicurezza: un concetto che non va inteso in termini riduttivi. Esso infatti non tocca solo il settore specifico della salvaguardia dell'ordine pubblico: tocca anche la garanzia di una sanità eccellente, dell'accesso al mondo del lavoro, del mantenimento di uno stato sociale efficace, della formazione adeguata per i giovani, di un'azione determinata volta alla salvaguardia dell'ambiente, di una Giustizia che funziona con determinazione ed equità. In modo non diverso, occorre che la gente possa guardare al Consiglio di Stato con fiducia, con la certezza che l'Esecutivo si fa carico di assicurare, nell'ambito delle sue competenze, un quadro di riferimento che permetta a ognuno di sentirsi bene, nel segno di una solidarietà fra le persone che non deve essere solo di facciata, ma reale. L'obiettivo comune, insomma, è e deve rimanere quello di accrescere la felicità e la tranquillità di tutti: un traguardo il cui raggiungimento implica un dialogo costante e una collaborazione fattiva con ognuna della componenti di quella che chiamiamo "società civile".

La società sta vivendo cambiamenti anche radicali con sempre maggior velocità, complice la globalizzazione. Come affrontare questa sfida?

Le sfide della globalizzazione ci hanno fatto comprendere che nessuno è più in grado di risolvere da solo i propri problemi, e che il battito d'ali di una farfalla in Cina e negli Stati Uniti può farsi sentire anche nei nostri cieli. La crisi economica e finanziaria che stiamo conoscendo l'ha ben dimostrato. Parrebbe d'essere disarmati di fronte a questa realtà, d'aver perso la nostra capacità di gestire la nostra stessa minuta realtà. C'è molto di vero in questo, ma tuttavia penso che nessuno può chiamarsi fuori dall'obbligo di fare la sua piccola parte. Non possiamo determinare il corso del mondo, ma indubbiamente possiamo ancora decidere come vogliamo muoverci in questo contesto. E' la somma di scelte diversificate che crea l'insieme. Il pericolo è quello di rinunciare a essere comunque protagonisti: un rischio che dobbiamo evitare, come dobbiamo evitare di perdere le nostre specificità e le nostre tradizioni culturali, che sono una ricchezza da non disperdere.

Il Ticino da tempo reclama più attenzione da parte di Berna. Pensa che si possa fare di più nelle relazioni con il Consiglio federale?

Il tema non è di oggi. Non c'è dubbio che dobbiamo fare di più per far sentire la nostra voce non solo al Consiglio federale, ma anche al resto del Paese, soprattutto oggi, in un momento in cui molti valori insiti nello spirito federale sembrano venir meno. Siamo un Cantone particolare: periferico, di frontiera e minoritario dal punto di vista culturale. Ho sempre sostenuto che occorre agire piuttosto che limitarsi a "piangere". Esprimere rivendicazioni non basta: occorre riuscire a convincere che esse rispondono a necessità effettive, occorre saper spiegare che ciò che può andar bene a Zurigo non necessariamente può funzionare a Lugano. Occorre, insomma, farci capire e rispettare. Da questo punto di vista non c'è dubbio che il Ticino deve sviluppare una sua politica "esterna" davvero attiva e dinamica. E' un'esigenza che non tocca solo l'ambito confederale: deve toccare anche la grande e forte realtà d'oltre frontiera, con la quale (nolenti o volenti) siamo più che mai confrontati. Dobbiamo quindi intensificare o, persino, costruire delle relazioni ben strutturate con tutti coloro che ci vivono accanto, al di là della barriera naturale del Gottardo e al di là della barriera politica della frontiera. Mi auguro sinceramente che nel prossimo anno si riesca a compiere dei passi significativi in questa direzione. Credo di poter dire che il Consiglio di Stato è ben consapevole dell'esistenza di questa priorità.

Lei assume la Presidenza del Governo durante l'anno che precede le votazioni cantonali: un periodo per molti versi difficile.

Mi piacerebbe sfatare, con ovviamente l'aiuto dei miei colleghi, un mito: quello cioè che in vista delle elezioni tutto si fermi, e che non si riesca in questo periodo a portare al capolinea idee e progetti importanti. Il fatto è che il Ticino non può permettersi il lusso di fermarsi, tanto meno oggi. L'augurio è quello di riuscirci. All'esame del Gran Consiglio non mancano certo i dossier di rilevanza politica e concreta (e cito, quale unico esempio fra i molti che si potrebbero fare, il rinnovo della Legge sulla perequazione finanziaria fra i Comuni) e nemmeno mancano i dossier sul tavolo del Consiglio di Stato da trasmettere al Parlamento. Auspico che prevalga in tutti il senso della responsabilità. D'altra parte una cosa è certa: il giudizio degli elettori si baserà sulla nostra capacità o meno di fare, non sulla capacità d'esercitare sterili tatticismi di maniera.