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Autori: Oliver Broggini
Data: 01 aprile 2014

Intervista al Presidente uscente del Governo

Paolo Beltraminelli: «Fare politica significa resistere alle tentazioni»

Una chiacchierata attraverso tutta l'attività del Consiglio di Stato nell'ultimo anno: dai rapporti del Ticino con la Confederazione alle finanze cantonali, dai momenti felici a quelli tragici, senza dimenticare le votazioni federali avvenute e quelle cantonali, imminenti

Paolo Beltraminelli, il traguardo è ormai in vista; da appassionato sportivo, a quale impresa somiglia questo anno presidenziale?

«Di sicuro a una di quelle che richiedono parecchia fatica ma danno grande soddisfazione. Il primo paragone che mi viene in mente, senza volere esagerare, è con la Maratona di New York; quando arrivi al traguardo sei felice, anche se per restare in piedi poi devi camminare all'indietro e sai che, per almeno una settimana, saranno dolori».

Tornando indietro di dodici mesi, l'inizio del suo periodo alla guida del Governo coincise con l'acuirsi della tensione politica attorno al mercato del lavoro in Ticino. Guardando a quel che nel frattempo è stato realizzato - lo studio che ha coinvolto tutta l'Amministrazione, il dibattito con gli attori economici e sociali, le misure proposte - si ritiene soddisfatto?

«Penso sia impossibile dirsi soddisfatti, quando un problema non è del tutto risolto; conosciamo bene le difficoltà che i cittadini ticinesi e l'economia stanno vivendo, soprattutto a causa della crisi che perdura in Italia. Il lavoro svolto dal Consiglio di Stato e dall'Amministrazione nell'ultimo anno, tuttavia, ha portato a qualche risultato concreto; lo studio presentato a novembre è il frutto di uno sforzo collegiale, con conclusioni ampiamente condivise, e ha anche permesso di aumentare l'attenzione verso il nostro Cantone a livello federale. Certo, rimane sempre l'esigenza di spiegare e ricordare al resto della Confederazione le nostre peculiarità, ma in questo anno da Presidente ho sentito crescere la consapevolezza che il Ticino - un pezzo della Svizzera incuneato nella realtà italiana - è un laboratorio dove vediamo all'opera tendenze che si riproporranno poi altrove».

Uno dei temi che hanno acceso gli animi durante il suo anno presidenziale - anche, ma non solo, riguardo al mercato del lavoro - sono le relazioni fra Ticino e Berna. Che impressione ha potuto ricavare dai numerosi incontri con i Consiglieri federali avvenuti negli ultimi mesi, e dagli altri contatti con la capitale?

«Come dicevo, la situazione del Ticino è diventata un tema a livello federale, e il risultato dello scorso 9 febbraio ha aggiunto alla questione anche una dimensione democratica. Rispetto a quanto succedeva fino allo scorso anno, avvertiamo un cambiamento di approccio e di sensibilità, e la consapevolezza da parte di Berna che i problemi del nostro cantone non possono essere banalizzati. Ciò premesso, non dobbiamo dimenticare di essere parte di un sistema confederale, che ci dà forza imponendoci - in cambio - delle regole. Se un Cantone vuole essere ascoltato non può limitarsi agli slogan; è necessario lavorare con serietà, produrre argomenti convincenti e riuscire a tessere alleanze». 

 C'è un momento in particolare di questi dodici mesi che le ha fatto pensare «Ora qualcosa è cambiato»?

«Probabilmente la visita in corpore del Consiglio di Stato a Didier Burkhalter, nello scorso mese di agosto, ha rappresentato una delusione utile per ripartire; al di là della grande cortesia con la quale siamo stati accolti, è infatti impossibile nascondere l'impressione che mancasse, all'epoca, una reale presa di coscienza dei problemi del Ticino - impressione confermata dalla doccia fredda giunta, poche ore dopo, con il doppio no del Consiglio federale alle proposte della Deputazione ticinese alle Camere. Da quel giorno, però, le nostre richieste sono state affrontate con crescente serietà, e l'apice è giunto - a mio modo di vedere - con la visita in Ticino di Eveline Widmer-Schlumpf. Per quanto sia stata criticata, la direttrice del Dipartimento federale delle finanze ci ha ascoltati e presi davvero sul serio, assicurando di volere mantenere contatti regolari con il Cantone. Speriamo sarà così». 

 Sempre in tema di rapporti con il resto della Svizzera, uno degli argomenti che non cessano di dividere è la mobilità. Ora l'attenzione è tornata sul completamento del tunnel del Gottardo, ma l'ultimo anno è stato segnato anche dalla votazione sull'aumento del prezzo per la vignetta autostradale.

«Sui temi legati alla mobilità bisogna che la politica si prenda il tempo di fornire alla popolazione spiegazioni chiare e complete. Proprio in questi giorni, ad esempio, il Governo ha constatato che, per i lavori di ammodernamento della galleria Mappo-Morettina, il Cantone dovrà spendere a breve 20 milioni di franchi; una fattura non da poco, che - avessimo accettato l'aumento della vignetta a 100 franchi - sarebbe stata interamente a carico della Confederazione. Quel che mi chiedo è se tutti, al momento del voto, fossero a conoscenza della reale posta in gioco, che - come sappiamo - comprende anche il collegamento autostradale del Locarnese. Più in generale, il tema di fondo che accomuna tutti i temi di politica dei trasporti è che l'avanzamento tecnologico - un po' come accade nel settore sanitario - comporta costi elevatissimi, e ci obbliga a escogitare modalità di finanziamento altrettanto complicate; visto che tutti in Svizzera vogliono sempre e soltanto il meglio - oggi come ieri - ciò significa che per la politica la quadratura dei conti è un esercizio sempre più complesso». 

 A proposito di politici che cercano di far quadrare i conti, torniamo entro i confini ticinesi; anche il nostro Cantone - come molti altri - continua a vivere una situazione finanziaria difficile, e il 18 maggio il popolo sarà chiamato a esprimersi su tre temi legati proprio alla gestione del denaro pubblico. Al di là dell'esito che emergerà dalla consultazione, il pareggio di bilancio resta un obiettivo realistico?

«Il pareggio è un risultato numerico e non va confuso con il vero obiettivo, che è di tenere sotto controllo l'evoluzione delle finanze pubbliche. Quel che conta, insomma, non è raggiungere le cifre nere entro il 2015, ma creare le condizioni-quadro affinché ciò possa avvenire a medio termine, evitando ad ogni costo di procedere nella direzione opposta. Questo è il compito di una politica responsabile, che non si spaventa di fronte al dovere di compiere scelte impopolari; ma la mia impressione, purtroppo, è che oggi in Ticino manchi la volontà di cercare questo equilibrio. Forse stiamo ancora troppo bene per renderci conto della necessità di una maggiore disciplina, e per capire che le risorse non possono essere trattate come se fossero infinite». 

 Ha parlato di scelte impopolari, ed è impossibile non pensare ai provvedimenti che toccheranno i beneficiari di sussidi per l'assicurazione malattia...

«Nella mia visione di questo Cantone, la socialità dovrebbe rivolgersi in modo mirato alle 30-40 mila persone davvero bisognose; a chi non fa parte di questa categoria, invece, credo potremmo chiedere - senza suscitare scandalo - di contribuire almeno un poco al mantenimento di una buona salute delle casse pubbliche. Un controargomento utilizzato di frequente è che, prima di toccare queste fasce deboli della popolazione, andrebbero aumentate le imposte ai più facoltosi; secondo me si tratta di un'opzione pericolosa, perché impiega una logica sbagliata. Prima di aumentare le entrate, infatti, dovremmo riuscire a trovare un accordo sui sacrifici da compiere, mettendo da parte i desideri dei singoli settori - chi non vorrebbe più scuola, più socialità, più polizia, più protezione dell'ambiente, più promozione economica? - abbracciando una visione globale dello Stato e dei suoi compiti». 

 Proprio le finanze pubbliche sono state, come da tradizione, un terreno privilegiato per la discussione - e lo scontro - fra i partiti. Lei, aprendo il suo anno presidenziale, si era del resto posto quale priorità un rilancio del dialogo fra Governo e Parlamento. In generale, come giudica l'evoluzione del clima politico nel Cantone?

«Se è vero che Consiglio di Stato e Gran Consiglio - almeno sulle grandi cose - dimostrano di riuscire a trovare quasi sempre un accordo, è altrettanto vero che alcune tendenze nelle modalità di lavoro del Parlamento sono motivo di preoccupazione. Mi riferisco al ruolo della Commissione gestione e finanze, che storicamente è stata l'organo incaricato di vigilare su tutti i temi per i quali era prevista una spesa da parte dello Stato. Questo approccio globale, oggigiorno, viene con una certa frequenza e insistenza messo in discussione; l'alternativa sarebbe un sistema con più Commissioni, composte dai sempre decantati "specialisti", che dovrebbero esaminare i messaggi governativi in base al Dipartimento di competenza. Questa soluzione, a mio modo di vedere, significherebbe un allentamento del controllo sulla spesa pubblica, per i motivi ai quali ho già accennato in precedenza. Ogni docente, medico, agente di polizia, ingegnere vorrebbe migliorare le condizioni di lavoro della sua categoria - e avrebbe ragione a desiderarlo! - ma il fatto è che con risorse limitate non sarà mai possibile accontentare tutti; la grande sfida consiste quindi nel resistere a questa tentazione. Come politici, se non abbiamo il coraggio e il pragmatismo che servono per dire "no", quando serve, allora annacquiamo il nostro ruolo». 

 Nell'intervista che aveva concesso ad Argomenti al momento di assumere la presidenza, lei diceva che «la politica diventa interessante quando cessa di essere mera amministrazione, per dedicarsi ai veri problemi». ma il Consiglio di Stato, con le migliaia di incarti che deve trattare, ha ancora il tempo per fare politica?

«Durante la mia presidenza abbiamo organizzato due sessioni extra muros, a Rodi e a Castelrotto, proprio per avere il tempo di discutere questioni strategiche. Al di là di queste occasioni, comunque, credo che il problema non sia tanto di tempo, quanto piuttosto di organizzazione; oltre a occuparsi dell'Amministrazione pubblica, bisogna trovare il tempo di costruire progetti ad ampio respiro, pertanto un consigliere di Stato - grazie all'indispensabile supporto del suo staff - deve riuscire a imbastire una propria linea di condotta. Certo, a chi prende decisioni politiche talvolta capita di perdere, ma perlomeno - quando ciò accade - avrà un'idea della direzione da prendere per ripartire». 

 Un tema a cavallo fra finanze pubbliche e sanità è l'invecchiamento della popolazione, con lo sbilanciamento della piramide demografica. I trentenni di oggi finanziano prestazioni pensionistiche e coperture sanitarie delle quali, molto verosimilmente, non potranno approfittare in uguale misura una volta giunti alla terza età; riusciremo a evitare una «guerra di generazioni»?

«So di toccare un argomento molto delicato, ma non è un mistero per nessuno che - non solo a livello svizzero - le persone oggi vicine al pensionamento sono in una condizione privilegiata. Per evitare una "guerra di generazioni", perciò, ognuno dovrà assumersi una parte di responsabilità e accettare che esistono necessità oggettive di redistribuzione della spesa. Mi spiego con una proposta scherzosa, ma neanche troppo. La logica e le statistiche ci dicono che gli anziani tendono a diventare più parsimoniosi, e che la loro situazione finanziaria - in generale - è meno preoccupante di quella di altre fasce di popolazione; un politico avveduto, quindi, potrebbe legittimamente chiedersi se, accanto ai biglietti di ingresso a metà prezzo per gli anziani - per il cinema, i musei, gli impianti di risalita - non dovrebbero venire offerte agevolazioni alle famiglie. Del resto, ad assicurare il futuro delle stazioni invernali - per mere questioni anagrafiche - non saranno certo gli sciatori con i capelli grigi... Più seriamente, in campo sociale spero di assistere a un rilancio del mecenatismo e della filantropia, perché è impensabile che - in questi ambiti - sia possibile anche in futuro delegare tutto allo Stato; di conseguenza, mi sembra un ottimo segnale la proposta di raddoppiare le deduzioni fiscali possibili in Ticino per questo genere di versamenti». 

 Il premio ricevuto nel 2012 come «Politico ticinese dell'anno» su Twitter, che intravedo alle sue spalle, ci porta al tema della comunicazione in politica. Il dibattito sulla votazione del 9 febbraio ci ha ricordato quanto i toni tendano a incattivirsi velocemente, non appena vengono toccati temi sensibili: lei resta fiducioso sulla capacità dei social media di trasmettere anche contenuti, e non solo stati d'animo?

«Sui miei profili cerco sempre di trasmettere messaggi informativi e concreti, anche se non credo sia corretto demonizzare i contenuti più leggeri, che - non per caso - sui social media trovano così tanto spazio. Il fatto è che oggi molti non osano esprimersi in pubblico, mentre fino a qualche anno fa avevamo molti spazi e momenti - al bar, in piazza, in famiglia - per chiacchierare senza la pretesa di trasmettere chissà quale messaggio. Leggendo quel che scrivono i miei contatti, avverto con molta forza questo bisogno fondamentale di comunicare, che è lo stesso di sempre ma oggi si trova limitato dai cambiamenti avvenuti nella nostra società; molti corrono il rischio di vivere le loro giornate in silenzio, e trovano così una nuova valvola di sfogo nella dimensione digitale. Ecco allora che, di fronte ai toni non sempre pacati, bisogna mostrare un poco di empatia: vi siete mai accorti che tutti, quando parliamo dei nostri problemi, tendiamo ad alzare la voce? Su internet accade la stessa cosa: perciò - quando gli animi si scaldano - la cosa migliore è cercare sempre di capire, relativizzare e perdonare». 

 Prima di terminare la discussione, una digressione a metà fra politica e dimensione personale. La sua presidenza è stata caratterizzata dalla malattia e dalla morte di Michele Barra, un evento che ha scosso il Ticino al di là delle divisioni politiche.

«La malattia di Michele - così violenta, così rapida - ha segnato tutti coloro che hanno potuto conoscerlo, nei mesi vissuti da Consigliere di Stato. Per me è stata l'occasione di riflettere sulla nostra finitudine, e su quanto in fretta potremmo dovere lasciare tutto. Credo sia importante - vivendo una situazione del genere, da amico o parente - non allontanare da noi la sofferenza, ma vincere la voglia di fuggire e cercare di cogliere quel che la vita, anche nella sua dimensione tragica, vuole insegnarci. Nei suoi ultimi giorni ho incontrato Michele Barra quasi quotidianamente, e ho seguito i suoi preparativi in vista del distacco; come abbia ripercorso una vita intera, prendendosi il tempo per sistemare di quel che sentiva di dovere ancora "mettere a posto", in modo da potersi congedare con animo sereno. È stata un'esperienza che mi ha insegnato molto, e per la quale gli sono grato». 

 Concludiamo fra passato e futuro. Le chiedo per prima cosa di ricordare un momento speciale di questo anno presidenziale, e poi di formulare il suo augurio per il Ticino e i ticinesi, in vista delle prossime sfide che ci attendono.

«Non voglio isolare un singolo momento, ma le sensazioni che ho potuto vivere da presidente. I momenti di profonda emozione non sono mancati; all'estremo opposto rispetto alla vicenda del collega Barra, ad esempio, c'è stata la gioia per la consacrazione del nuovo Vescovo. Tuttavia, quel che mi ha segnato maggiormente è stato il sentimento di attaccamento alle istituzioni da parte dei ticinesi, che ho potuto avvertire con forza partecipando a innumerevoli manifestazioni e incontri; i cittadini mi hanno dimostrato umanità, apprezzamento, riconoscenza, attaccamento - e anche la consapevolezza che è davvero difficile accontentare tutti. Custodirò con affetto i tanti sorrisi che mi sono stati rivolti, e anche le critiche a fin di bene che i cittadini hanno condiviso con me». E l'augurio? «Ai ticinesi auguro di continuare a interessarsi alla politica, di intenderla come gestione del bene comune, di non rinunciare mai a controllare e bacchettare i politici - ma anche di non risparmiare loro qualche pacca sulle spalle, ogni tanto».