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Autori: Oliver Broggini
Data: 10 ottobre 2013

Pianificazione del territorio e invecchiamento della popolazione

Per una città a misura di anziano

Anche il Ticino si sta preparando alla doppia sfida legata al crescente inurbamento della popolazione e al suo progressivo invecchiamento. Abbiamo incontrato uno dei coordinatori dello studio Urbaging, il geografo Marcello Martinoni, che - insieme all'architetto Enrico Sassi - ha curato un volume intitolato La città e gli anziani, e lo presenterà giovedì 17 ottobre a Bellinzona, dalle 17.30, nell'Aula del Gran Consiglio

Secondo alcuni studiosi, che guardano con attenzione alle tendenze demografiche in atto nell'Occidente (post)industrializzato, la società contemporanea rischia di diventare «vittima del proprio straordinario successo». La crescita del benessere e i balzi in avanti della medicina hanno infatti allungato la vita media a livelli inimmaginabili per l'uomo nato prima della Rivoluzione industriale; una trasformazione della quale ognuno di noi beneficia, e dalla quale è nata una società inedita per la storia dell'umanità, abitata da sempre più anziani e da sempre meno giovani. Le sfide epocali che attendono la politica nei prossimi decenni appaiono quindi titaniche, così come l'obiettivo: costruire comunità in grado di integrare i bisogni degli anziani coinvolgendoli più attivamente del tessuto sociale. Un tentativo di trovare risposte a queste domande è stato condotto anche in Ticino, attraverso uno studio coordinato dal Fondo nazionale per la ricerca scientifica. Abbiamo incontrato uno dei coordinatori di Urbaging, il geografo Marcello Martinoni, per affrontare alcuni tra i punti più significativi affrontati dal libro La città e gli anziani.

Marcello Martinoni, il vostro saggio si apre con il collegamento fra due tendenze che domineranno il XXI secolo, a livello planetario: l'accelerazione del processo di urbanizzazione e l'invecchiamento della popolazione. Esistono cifre che ci aiutino a inquadrare i due fenomeni?
« Le statistiche riflettono un mutamento sociale e spaziale per il quale dobbiamo prepararci. A livello globale, sappiamo infatti che nel 2030 il tasso di urbanizzazione dovrebbe superare il 60%; entro il 2050, per la prima volta nella storia dell'umanità, le persone con più di 60 anni saranno poi più numerose dei bambini di età compresa tra 0 e 14 anni. Nei Paesi occidentali, e in Ticino in particolare, queste due tendenze sono ancor più marcate».

Il vostro volume è strutturato secondo un approccio interdisciplinare: può illustrare brevemente i differenti punti di vista che avete adottato per ragionare sulla pianificazione di un territorio « a misura di anziano»?
«Al volume hanno contributo architetti e geografi, ma anche ergoterapisti e geriatri, psicologi e storici. Punti di vista diversi, chiamati a intrecciarsi per affrontare in maniera intelligente la sfida della longevità: l'obiettivo è di mantenere una visione equilibrata, che riesca a essere poliedrica senza per questo diventare... strabica. Lo sforzo interdisciplinare è imprescindibile, per una materia tanto complessa, e consiste nel riuscire a fare dialogare diversi ambiti specialistici: per confrontarsi alla complessità posta dalla sfida epocale di invecchiamento e urbanizzazione, le risposte disciplinari rischiano infatti di essere limitanti. Il messaggio di fondo è che ogni professionista dovrà certamente continuare a fare al meglio il proprio lavoro, ma con l'impegno a unire le forze in maniera trasversale».

Al di là delle cifre - che sono pur sempre la base per la riflessione politica - il vostro volume esplora anche la storia del concetto di anziano, in particolare con un contributo dell'antropologo Franco La Cecla. Quali cambiamenti possiamo aspettarci riguardo al ruolo dell'anziano nelle società del futuro, e con quali conseguenze per il territorio?
«Il contesto sociale dell'essere "anziano" - o "vecchio" - sta mutando radicalmente: le conquiste della medicina e il progressivo aumento della speranza di vita si combinano con una denatalità che produrrà nuovi equilibri generazionali. Il modello del "vecchio saggio" che trasmette alle nuove generazioni tradizioni di cui è uno dei pochi portatori, tipico delle società tradizionali con una struttura demografica a "piramide", lascia così al posto a un anziano che vive a lungo, magari con perdite funzionali importanti, e invecchia con i propri coetanei. La nozione stessa di anziano è da analizzare con attenzione, dal profilo sociologico. La vecchiaia resta tuttora percepita come un tempo residuo, benché sempre più spesso rappresenti un terzo della vita di una persona. Chiediamo spesso ai giovani "Cosa vuoi fare da grande ?", ma nella società longeva occorrerà rispondere anche a un'altra domanda, altrettanto cruciale: "Cosa farò da vecchio?"».

Il contributo di Gian Paolo Torricelli, in apertura del volume, fotografa la situazione del Ticino in relazione all'area urbana milanese e ammonisce sul destino incerto che attende le valli e la «città diffusa» nata sulla spinta della motorizzazione individuale di massa. Quali sono i pericoli più seri che ci attendono, in assenza di correzioni?
«Il processo di invecchiamento della popolazione, se la società e la politica non sapranno giocare d'anticipo, porterà qualche nodo al pettine anche rispetto ai modelli di sviluppo territoriale. Il principale problema è legato alla qualità di vita che il territorio può offrire nelle varie fasi dell'esistenza. In altre parole: il territorio dovrà essere in grado di accogliere le esigenze che emergono nel processo di invecchiamento di ogni individuo. Se la qualità di vita dipende strettamente, per esempio, dalla possibilità di guidare un'automobile, invecchiare può essere difficile - in termini di autonomia - e costoso, per quanto riguarda la soddisfazione dei bisogni di cura e socializzazione. Il rischio immediato, insomma, è che lo Stato si trovi a dovere ripensare un numero crescente di zone residenziali, dismesse poiché non più in grado di rispondere ai bisogni primari dei loro abitanti».

Il contributo firmato da lei e da Alma Sartoris propone un Manifesto per spazi pubblici a misura di anziano. In cosa consiste?
«A conclusione della ricerca Urbaging - svolta presso l'Accademia di architettura di Mendrisio, con un finanziamento del Fondo nazionale per la ricerca scientifica e il PNR 54 "Sviluppo sostenibile dell'ambiente costruito" - abbiamo pensato fosse utile riassumere i principali aspetti emersi dalle indagini partecipate, svolte a Lugano e Uster. Ci siamo infatti resi conto che non esistono ricette pronte all'uso, ma solo una serie di ingredienti che bisogna sapere regolare in funzione del contesto. Si tratta quindi di uno strumento di divulgazione che speriamo possa stimolare operatori, politici o cittadini a immaginare la migliore ricetta per il futuro del proprio quartiere o spazio di vita».

Discutendo di terza età, un tema inaggirabile è l'esplosione dei costi per le cure mediche e l'assistenza: la pianificazione territoriale può fornire un contributo positivo da questo punto di vista?
«Certamente. Il concetto chiave è "invecchiamento attivo". Sappiamo che i costi della salute esplodono da un lato per le alte prestazioni sanitarie erogate, dall'altra per un aumento sempre maggiore nell'incidenza delle malattie croniche. Sappiamo tuttavia, dagli studi di promozione della salute, che gli interventi per promuovere la mobilità lenta rallentano l'insorgere di alcune patologie. L'organizzazione del territorio, da questo punto di vista, può quindi fare molto. Ad esempio, se i servizi e i beni di prima necessità sono concentrati in prossimità delle uscite autostradali - oppure se le zone residenziali sono disperse - sarà più difficile promuovere un invecchiamento attivo. Ad ogni modo, è anche vero che la pianificazione del territorio, da sola, non può risolvere i problemi. Solamente lavorando di concerto con altri settori - per esempio la medicina riabilitativa - l'impatto può essere significativo, addirittura enorme se questa concertazione diventerà la regola. Tutti insieme, dobbiamo lavorare per trasformare la società e il territorio che abitiamo in un luogo in grado di accogliere meglio le diverse fasi della vita: una vita che, fortunatamente, è sempre più lunga».

Scendiamo infine, con l'ultima domanda, sul piano concreto: considerando la scarsità di mezzi a disposizione dello Stato, a suo avviso quali sono le misure politiche che, a breve termine, potrebbero garantire i maggiori effetti positivi?
«Un primo intervento è il cambiamento di mentalità; costa poco, a patto che abbiamo a disposizione pazienza, capacità persuasiva e personalità carismatiche. È una trasformazione che dovrebbe toccare tutti: dal cittadino che rifiuta di sentirsi "anziano" - finché, di colpo, si ritrova vecchio - al funzionario che agisce in maniera settoriale, escludendo una visione trasversale "attenta alla longevità", fino al politico che ragiona solo in termini di bisogni e non di desideri. In maniera più tangibile, una via da percorrere con convinzione è quella della prevenzione primaria e secondaria, anche in collaborazione con le casse malati - che dovrebbero avere interesse, per prime, all'attuazione del principio "prevenire anziché curare". Anche una diversa attenzione alla medicina riabilitativa - intesa nel senso più ampio del termine, come esposto da Graziano Ruggeri all'interno del volume - va in questa direzione. Infine, sarà fondamentale intervenire sugli spazi residenziali, non solo creando soluzioni intermedie tra la "casa" e la "casa anziani" - come gli appartamenti protetti -, bensì attraverso concetti più ampi, come i quartieri a misura di anziano: un ripensamento che dovrà coinvolgere il settore privato, la pianificazione territoriale e la progettazione urbana».