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Autori: Giovanni Antognini
Autori: Tiziano Fontana
Data: 12 giugno 2012

Intervista al Direttore della Sezione dell'agricoltura Giovanni Antognini

Politica agricola

Cambiamenti climatici, accresciuta invivibilità del nostro pianeta, rarefazione delle risorse naturali, accaparramento delle terre agricole in Africa, Asia e America Latina, aumento dei prezzi dei generi alimentari, apertura dei mercati a livello mondiale: queste sono alcune sfide alle quali la Confederazione deve rispondere e con le quali l'agricoltura svizzera deve confrontarsi. Nel documento "Agricoltura e filiera alimentare 2025" l'Ufficio federale dell'agricoltura (UFAG) delinea gli scenari possibili della politica del prossimo decennio. All'inizio di febbraio il Consiglio federale ha licenziato il messaggio sulla Politica agricola (PA) 2014-2017 che prevede lo stanziamento di più di 13 miliardi di franchi: può illustrarci i suoi aspetti principali?

La politica agricola 2014-2017 si fonda su quattro indirizzi strategici: la produzione e l'approvvigionamento di derrate alimentari sicuri e competitivi; l'impiego efficiente delle risorse e l'incentivazione di un consumo sostenibile; il rafforzamento della vitalità e dell'attrattiva delle aree rurali; la promozione di uno spirito innovativo e imprenditoriale. Essa ha come obiettivi fondamentali: l'aumento della produzione del 3-5%, la riduzione dell'importazione degli alimenti concentrati per gli animali, il miglioramento della qualità delle superfici e la promozione della biodiversità, il miglioramento dell'efficienza dell'uso dell'azoto e del fosforo. All'interno di questa cornice i contributi all'agricoltura sono suddivisi in cinque settori e più precisamente sono destinati: al paesaggio rurale; alla sicurezza dell'approvvigionamento; alla biodiversità; alla qualità del paesaggio e ai sistemi di produzione. In particolare si è voluto rinforzare la strategia a sostegno dell'auto-approvvigionamento (attualmente la produzione dell'agricoltura svizzera soddisfa circa il 59% della domanda interna), della qualità e della promozione delle regioni di montagna aumentando i contributi di estivazione. La nuova politica agricola non conoscerà un aumento di fondi rispetto al passato ma vedrà il trasferimento di risorse finanziarie da determinati settori ad altri.

L'adozione di questa politica avrà conseguenze per il Cantone Ticino: quali sono gli elementi più importanti?

La conseguenza più importante e negativa per il nostro Cantone potrebbe derivare dalla misura - che deve essere discussa ed eventualmente adottata dalle Camere federali - che prevede di togliere i terreni agricoli situati in zona edificabile (ZE) dal beneficio dei pagamenti diretti, come invece avviene attualmente: questa proposta, se dovesse entrare in vigore, avrebbe una conseguenza dell'ordine di circa 3 milioni di franchi per gli agricoltori ticinesi. Questo problema è presente in tutta la Svizzera. L'idea del Consiglio federale è di dare contributi solo per preservare le aree che a lungo termine rimarranno agricole, dando per acquisita la scomparsa di quelle ancora oggi usate a scopi agricoli e situate in ZE. Nel messaggio vi è anche l'indicazione che se entro quindici anni le aree agricole inserite in ZE non dovessero essere edificate dovrebbero allora essere cambiate di zona (in realtà nessuno crede in tale possibilità a causa della complessità della procedura).

Proprio a questo proposito gli studi dell'UFAG hanno messo in evidenza il pericolo legato alla scomparsa di pregiate terre agricole, fagocitate dall'urbanizzazione; anche la Commissione consultiva per l'agricoltura ha spiegato che la
Legge federale sull'agricoltura non è sufficiente per proteggere i terreni agricoli e che pertanto, per contrastare questa dinamica, si deve prevedere l'inserimento di articoli specifici nella revisione della Legge federale sulla pianificazione del territorio...

In effetti, il vero strumento per la conservazione delle terre agricole è rappresentato dalla Legge sulla pianificazione del territorio e pertanto la sua revisione sarà fondamentale. Alla politica agricola spetta l'intervento a sostegno delle aree periferiche - gestite con molti sforzi e tenacia dai contadini di montagna - per contrastarne l'abbandono. Proprio per questo è previsto un aumento del contributo di estivazione. Un settore che ha conosciuto importanti investimenti è quello delle infrastrutture presenti sugli alpeggi con un importo di circa 280 milioni. Senza strutture efficienti non si possono avere né aziende efficienti né una produzione qualitativamente e quantitativamente migliore, come auspicato dalla PA 2014-2017.

Questi miglioramenti servono anche a resistere meglio alla liberalizzazione del mercato interno e alla concorrenza dei produttori esteri. Tale aspetto si ricollega a un elemento della politica federale che in passato è stato spesso criticato dalle associazioni dei contadini: la volontà di diminuire il numero di aziende - in particolare quelle medio-piccole - per favorire quelle aventi un'estensione maggiore capaci di affrontare questi cambiamenti radicali; però, per l'agricoltura di montagna e anche per la realtà ticinese - eccezion fatta per il Piano di Magadino - questa scelta non equivale a una condanna a morte?

La questione è complessa; spesso la concentrazione di proprietà è dovuta alla naturale cessazione dell'attività da parte di agricoltori i cui fondi sono acquisiti dalle altre aziende che di conseguenza si ingrandiscono; inoltre in certi settori la concentrazione è risultata vincente perché è servita a raccogliere la sfida dell'apertura ai mercati. Per esempio per il settore lattiero-caseario la liberalizzazione esiste a tutti gli effetti già oggi; proprio in questo settore mi attendevo un crollo delle esportazioni, a causa della situazione economica in cui ci troviamo e del cambio sfavorevole, mentre invece sono aumentate dell'1.5%. Ciò mi ha suggerito una riflessione: effettivamente finora la politica agricola ha favorito la creazione di aziende di grandi dimensioni, performanti e, per quanto riguarda grossi consorzi, tale scelta poteva essere giustificata visti i notevoli volumi di produzione e di esportazione. Tuttavia l'anno scorso l'aumento di cui ho parlato è legato a formaggi di nicchia di piccoli produttori. È proprio una caratteristica svizzera avere prodotti di eccellenza ma di nicchia, che sono sempre più scoperti e apprezzati anche all'estero.

Quindi questa può essere una via da percorrere: anche da parte dell'agricoltura ticinese?

Penso che sia già la situazione del Ticino: la produzione è limitata ma di qualità e di nicchia; riusciamo a produrre in quasi tutti i settori specialità molto apprezzate. Ciò vale per la produzione lattiero-casearia - per i formaggi d'alpe abbiamo una denominazione di origine protetta (DOP) - ma anche per altri settori. Per esempio l'orticoltura si caratterizza per la precocità e la modernità (sono stati fatti investimenti importanti in strutture moderne per avere metodi di produzione d'avanguardia). Nella viticoltura abbiamo la specificità con la valorizzazione di un vitigno particolare, il merlot, che fornisce risultati eccellenti: circa l'87% dei mille ettari di vigna in Ticino sono piantati a merlot. Bisogna dire che il marchio Ticino è forte in Svizzera anche grazie al turismo. Inoltre il Cantone sta lavorando molto sulla promozione dei prodotti attraverso la Conferenza agroalimentare in cui siedono tutti i rappresentanti della filiera agroalimentare (Cantone e settori della produzione e trasformazione, della ristorazione, degli alberghi) per elaborare una strategia comune.
A tutto questo si aggiunge che la filiera agroalimentare è stata inserita nella convenzione tra Confederazione e Cantone concernente la politica regionale, con tre progetti specifici che saranno lanciati prossimamente (Centro di competenza agroalimentare; Maison du terroire; Marchio unico per prodotti alimentari e turistici): ciò darà nuovi impulsi innovativi. Parallelamente vi sono anche diversi progetti di sviluppo regionale - il cui finanziamento è stabilito dall'art. 93 della Legge federale sull'agricoltura - che servono a favorire le regioni finanziando progetti dislocati sul territorio.

Vi sono anche diversi aspetti critici che caratterizzano la situazione ticinese, tra cui per esempio la diminuzione del prezzo del latte; la scomparsa di aziende agricole; la scomparsa delle terre agricole a causa dell'urbanizzazione; la questione della proprietà fondiaria. A questo proposito, stando alle statistiche, un'azienda agricola di medie dimensioni gestisce circa 15 ettari di cui ha in proprietà solo il 20% dei terreni, mentre l'80% è in affitto o in usufrutto. Cosa si potrebbe fare per modificare questa situazione?

La questione esiste ma è difficile da risolvere: è un dato di fatto.

Quale futuro attende il settore agricolo ticinese? E quali sono le linee guida regionali della politica agricola elaborata dal Cantone Ticino?

Oltre a quanto detto in precedenza ricordo gli sforzi notevoli intesi a finanziare i miglioramenti delle strutture, infatti, per ossequiare l'obiettivo della conservazione del territorio è necessario favorire il mantenimento di aziende nelle regioni periferiche. Il Cantone punta molto anche sulla formazione (per esempio con la creazione del polo verde di Mezzana) e sulla promozione dei prodotti. Il Ticino ha grandi potenziali grazie ai prodotti d'eccellenza, dai vini ai formaggi d'alpe. Evidentemente bisogna favorire l'innovazione e la qualità.