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Autori: Marco Somaini
Data: 27 febbraio 2007

Giornata delle porte aperte al cantiere-scuola della SUPSI: chiesa di San Fedele, Roveredo Grigioni, sabato 3 marzo 2007 dalle ore 9.00 alle 17.00

Riportare all'antico splendore...

Appunti sulla professione del restauratore.

Recentemente ho ultimato l'intervento di restauro all'apparato decorativo di una chiesa del mio paese, quella di S.Antonio a Roveredo Grigioni. Il curato, visibilmente emozionato nel vedere la chiesa affollata per la prima messa dopo i lavori durati due anni, ha terminato con le parole: "Godiamoci la nostra bella chiesa di S.Antonio, riportata all'antico splendore. La messa è finita, andate in pace."

La gente non è uscita subito. È rimasta a osservare e ammirare le tante decantate scoperte artistiche, precedentemente citate dal curato durante l'omelia. Gli apprezzamenti e le critiche non si sono fatti attendere a lungo. Giudizi come "bello", "troppo colorato", "io avrei messo dell'oro sullo stucco" si sono susseguiti in rapida sequenza, fino all'immancabile "in ogni caso complimenti...".

Camminando verso casa mi sono chiesto: "Che cosa significa bello nel restauro? Come si fa a spiegare che nel restauro valutazioni estetiche, come bello e brutto, non contano molto: dipendono direttamente dall'aspetto dell'oggetto preso in restauro".
Io cerco di evitare giudizi estetici, parlo di un restauro conservativo, giustificato, corretto, o di una pittura d'ottima fattura, con iconografia interessante, molto rara, di qualità, presente in stato frammentario, ecc.

Quando presento la mia professione a una scolaresca indosso sempre un camice bianco, come un medico. Già questo attizza l'interesse degli scolari che, incuriositi, ascoltano la mia presentazione. Oggigiorno, a differenza di qualche decennio fa, il restauratore-conservatore più che un artista-pittore deve essere considerato un medico. Un medico preparato a guarire, salvaguardare tutto quello che conosciamo come patrimonio artistico: chiese, palazzi, quadri, affreschi, statue. Il compito principale consiste nel conservare, risanare, prolungare la vita e non necessariamente abbellire, rifare, riportare all'antico splendore!

Per arrivare a quest'atto di salvaguardia, come il medico, il restauratore esegue molte operazioni di ricerca preliminare (prima visita conoscitiva, analisi dello stato di salute, diagnosi delle malattie, documentazione su tutti gli interventi già subiti e via dicendo). In un restauro riuscito l'oggetto non sempre per forza deve uscire dal laboratorio più bello di prima (un laboratorio di restauro non è un istituto di bellezza!), ma presentare se stesso con tutte le sue particolarità e caratteristiche. Il ritrovato buono stato di salute gli permetterà di allungare il più possibile la sua durata. Per ottenere risultati ottimali sono richieste oggi al restauratore-conservatore qualità molto diverse da quelle richieste negli anni passati, quando restauratore significava pittore-decoratore.

Nei nostri paesi questi artisti-pittori godevano di grande libertà nel rifare e nell'aggiungere parti mancanti di un dipinto. Risultato: gran soddisfazione da parte del committente poiché l'opera si presentava rifatta e riportata all'antico splendore.

A noi oggi si chiede, giustamente, un'accurata conoscenza dell'oggetto, le cause del suo degrado (documentazione d'archivio, analisi dei materiali, collaborazione con istituti specializzati e scienziati), ma più ancora è richiesto il rispetto assoluto di tutte le testimonianze, indipendentemente se risalgono al periodo originale o a periodi successivi. Un buon restauratore, secondo me, sfrutta le sue capacità analitiche e creative mettendole al servizio dell'oggetto "paziente" e non cerca di ergersi a protagonista. Il sapersi fermare alla sola conservazione, opponendosi alle pressioni, neppure così mal celate, dei committenti ("Noi paghiamo quindi intervenga!") è uno dei compiti più ardui durante un intervento di restauro. Un "tour de force" particolarmente duro per giovani restauratori e restauratrici con poca esperienza che, per paura di vedersi tolto un lavoro o deludere il committente, accettano di andare oltre quanto acquisito durante le lezioni di filosofia del restauro.

Oggi si considerano e rispettano tutti gli interventi, quindi anche quelli più recenti. Determinante è lo stato di conservazione e meno l'aspetto estetico. Il risultato finale di un restauro è spesso quindi una raccolta, anche frammentaria, di testimonianze di diverse epoche, coerente sicuramente con la linea di pensiero di restauro conservativo, ma spesso di difficile comprensione per i non addetti ai lavori. Al fedele parrocchiano può sorgere il dubbio, quindi chiede: "Per voi specialisti sarà senza dubbio un ritrovamento unico, una scoperta interessante. Sinceramente con dipinti presenti così in stato frammentario ho difficoltà a ritrovare quella sensazione d'intimità e raccoglimento che sentivo in precedenza nella vecchia chiesa".

Che cosa dire? È chiaro che per un restauratore di dipinti murali attivo in una zona periferica non è sempre facile rimanere fedele ai propri principi di intervento minimo. Anche perché colleghi, restauratori di mobili o di scagliola non conoscono tale restrizione e riconsegnano le loro opere rifatte e riverniciate a nuovo.

Nei laboratori esterni o cantieri-scuola del ciclo "Bachelor of Arts in conservazione" della SUPSI gli studenti possono cominciare a vivere dal vivo la professione senza il timore di sbagliare. Uno dei primi cantieri-scuola, sabato 3 marzo 2007, sarà aperto a tutti gli interessati che potranno osservare docenti e allievi all'opera e potranno cimentarsi con gli arnesi del mestiere.

La chiesa di San Fedele si trova a Roveredo Grigioni, viene citata già in documenti del 1419, durante la prima metà del Seicento fu probabilmente ampliata. Caduta in completo abbandono fu sconsacrata nel 1911 e spogliata di tutto l'arredo mobile. Il rifacimento del tetto negli anni Ottanta, oltre a togliere le infiltrazioni di umidità dalla base dei muri perimetrali, bloccò progetti di demolizione e successiva costruzione di un parcheggio pubblico. Fino alla primavera del 2004 fu utilizzata come deposito e magazzino della Parrocchia ora è diventata laboratorio esterno perché:

- sono presenti i materiali originari e le tecniche che sono inseriti nel programma di formazione base del ciclo: intonaci a base di calce, decorazioni a graffito, dipinti murali a fresco e a secco, stucchi, stucchi lustri;

- si ritrovano varie tipologie di degrado: macchie dovute all'umidità di risalita e capillare, efflorescenze saline, sbiancamenti, decoesioni degli intonaci e degli stucchi, perdite della pellicola pittorica, presenza di biodeteriogeni, ecc.;

- la possibilità di affrontare il tema conservazione e restauro in una situazione reale e dal punto di vista di discipline diverse (biologia, chimica...) è un validissimo strumento didattico.

Durante l'estate 2006 la chiesa è stata oggetto di studio nell'ambito di corsi di post formazione diretti da Sabino Giovannoni, capo restauratore dell'Opificio di Pietre Dure a Firenze; proposta di richiamo internazionale alla quale hanno partecipato una decina di restauratori provenienti da diverse nazioni.

Dal 10 al 13 luglio 2007 la SUPSI, Dipartimento Ambiente Costruzione e Design, parteciperà al XXIII Convegno internazionale di Bressanone "Il consolidamento degli apparati architettonici e decorativi: conoscenze, orientamenti, esperienze" con un contributo sul consolidamento degli intonaci della facciata principale della chiesa di San Fedele.

Indirizzi utili
SUPSI, Conservazione e restauro