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Autori: Milko Del Bove
Data: 10 aprile 2007

Si torna a parlare dell'eventualità di introdurre l'uniforme scolastica in Svizzera: qualche nota sul caso ticinese.

Torneremo a vestirci alla marinara?

In Ticino non esistono direttive sul modo di abbigliarsi in classe, ma una semplice convenzione sociale che invita al rispetto del formalismo. Lo stesso vale per gli uffici dell'Amministrazione cantonale, con particolare attenzione ai dipendenti che si trovano a contatto costante con l'utenza.

L'esperimento di Basilea

Dell'eventualità di regolamentare l'abbigliamento nelle scuole si parla in Ticino dal 2003, quando il direttore delle Medie di Besso rispedí a casa alcune studentesse con l'invito a vestirsi in modo adeguato; l'episodio si ridusse a qualche eco sui media e parve sulle prime non avere seguito.
Il tema è tornato di attualità da quando a Basilea è stato avviato il primo esperimento svizzero di adozione di una uniforme di classe in una scuola pubblica . Il rettore avanza alcune conclusioni parziali, osservando che se da un lato l'ampia scelta di capi d'abbigliamento ufficiali non favorisce l'affermarsi di un senso di appartenenza al gruppo, si può notare fra i giovani una scemata attenzione alla moda, con il conseguente attenuarsi dell'onere di una delle voci piú rilevanti nel budget finanziario delle famiglie.

Chi vive da tempo la realtà di una scuola che impone una propria uniforme - è il caso di alcuni istituti privati presenti anche in Ticino - ne vanta il contributo dato al rafforzamento della disciplina e della serietà degli allievi. Ma sul tema le opinioni sono varie e molto contrastanti: c'è chi sostiene il principio della difesa dell'individualità e chi è a favore di un inquadramento dei giovani, chi vi vede l'ennesima ingerenza dello Stato e chi riconosce che potrebbe essere uno strumento utile contro il crescente degrado dei valori.

Il commento piú interessante giunge però dagli stessi protagonisti dell'esperimento basilese, gli allievi della scuola, i quali non dimostrano particolare entusiasmo nell'indossare l'uniforme proposta loro (e questo era prevedibile), motivando la loro reazione con il fatto che quegli abiti non sono chiaramente identificabili con un'uniforme, essendo troppo simili a normali abiti civili, mentre gli studenti avrebbero perferito indossare qualcosa che avesse l'aspetto da uniforme (e questo è meno scontato). In altre parole, il progetto basilese rischia di mancare l'obiettivo fissato perché quell'obiettivo non era abbastanza coraggioso.


Trovare la giusta misura

Affrontare il discorso sull'uniforme scolastica nella prospettiva dei principi morali e delle libertà individuali è forse fuori luogo (in questa sede certo lo è); la questione andrebbe piuttosto ricondotta a una piú modesta misura e entro il solo ambito della scuola. Va detto che ai ragazzi resta pur sempre la possibilità di vestirsi a loro gradimento nel tempo libero, dando pieno sfogo al bisogno di esprimere la loro personalità attraverso l'abito, senza pericoli di omologazione, di frustrazione o quant'altro. L'esperienza di Basilea pare insegnare (le conclusioni sono ancora parziali) che l'impatto della divisa scolastica sulla personalità di un giovane è molto relativo: i timori circa i suoi effetti negativi sulle singole individualità e sulla vita sociale dei ragazzi non trovano giustificazione nella realtà. Allo stesso modo si può considerare eccessivo attribuire all'introduzione di uniformi in classe valori forti quali l'espressione di una paura verso il pluralismo delle idee o la castrazione dell'individualità e di un desiderio di apertura al mondo. I diretti interessati sembra lo abbiano compreso.

D'altra parte, se si dovesse giungere (è solo un'ipotesi) a imporre una divisa nelle scuole svizzere si avrebbe una reale limitazione di alcuni problemi immediati ai quali sono confrontati allievi e genitori: i prezzi talvolta esagerati imposti dalla moda, l'esibizione delle differenze sociali o l'altrettanto pericoloso tentativo di identificarsi con i compagni benestanti sfoggiando gli stessi abiti firmati e il conseguente rischio di indebitamento cui i giovani sono sempre piú esposti. Senza contare che il senso di appartenenza evocato dal comune vestire potrebbe ridurre la violenza fra gruppi e i furti che l'ostentazione di queste differenze inevitabilmente comporta, e contribuirebbe invece a rafforzare la solidarietà fra gli alunni.


L'abito fa l'alunno?

Ogni cosa porta con sé un significato e l'abito che indossiamo, in quanto elemento piú visibile della nostra persona e quindi anche della nostra individualità, è il primo messaggio che comunichiamo agli altri circa quel che siamo, sia che lo vogliamo, sia che non ce ne rendiamo conto. La divisa nasce su queste basi: creare il gruppo, unire o meglio uniformare un certo numero di individualità distinte dando loro un mezzo con cui identificarsi nel comune messaggio "noi siamo un gruppo"; al tempo stesso, l'abito esprime, rende evidente una gerarchia per cui è chiaro quale sia il posto di ciascuno, chi debba dare ordini e chi debba obbedire. Vale per i militari, vale per i corpi di polizia e per tutti quei gruppi che vogliono dire di esserci; ma lo vediamo anche in altre situazioni, quando ad esempio si fraintende il significato della divisa confondendolo con l'idea di potere (l'ossessione per l'uniforme che maschera l'ossessione per il potere, lo sfoggio dell'uniforme - oggetto visibile, concreto - come sfoggio di un potere fasullo e illusorio ma anche la maschera di carnevale che si propone lo scopo di prendersi gioco del potere, di smascherare il trucco).

Insomma, in una struttura gerarchica l'uniforme ha senso di esistere, e la scuola è fondamentalmente un'istituzione basata sulla gerarchia docente-allievi in cui l'adozione di un'uniforme potrebbe giovare al mantenimento della disciplina, laddove si riconosce da piú parti che questo rappresenta un problema serio, ma senza che venga mai meno il rispetto delle singole individualità, senza che si calpesti la personalità dell'alunno forzandolo ad adeguarsi a quell'entità fittizia e priva di qualità chiamata massa. E soprattutto senza che si perda il rapporto umano fra docente e allievi fondamentale ai fini di una corretta educazione.

Non si può ignorare il fatto che il compito formativo della scuola passa anche attraverso l'educazione ai rapporti interpersonali, al confronto con il prossimo, di cui l'immagine che si dà è - lo si voglia o no - un aspetto importante. Il capo piú adatto all'occasione indossato nel modo giusto diventa elemento strategico per il buon esito della difficile impresa di fare buona impressione. Ma ciò non significa necessariamente che la forma debba prevalere sulla sostanza, ed è qui che entra in gioco la funzione educativa della scuola: nell'insegnare il giusto equilibrio fra questi due principi, l'essere e l'apparire, senza rinnegare l'uno o l'altro e senza che uno abbia il sopravvento sull'altro. Saper gestire il proprio modo di vestire è un mestiere che richiede impegno e laddove la famiglia ha rinunciato al suo ruolo di guida, la scuola può ancora avere qualcosa da dire. Senza esagerare.