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Autori: Sabrina Caneva
Autori: Alessandro Speziali
Data: 15 febbraio 2011

Intervista ad Alessandro Speziali, collaboratore della Sezione degli enti locali

Un giovane a confronto con la realtà comunale

Le aggregazioni comunali sembrano essere oggi la risposta adatta per permettere ai Comuni e ai loro cittadini di partecipare ai processi di trasformazione della società ticinese. Eppure gli scettici non mancano riguardo a un'unione per un futuro comune. Ma i giovani come vedono il loro futuro nei nuovi Comuni?

La realtà dei Comuni ticinesi si sta realmente trasformando o semplicemente segue il normale sviluppo socio-politico ed economico della nostra regione? In Ticino le aggregazioni comunali sono sempre più numerose, basti pensare al neonato comune di Monteceneri in cui sono confluiti cinque comuni della Valle del Vedeggio: Rivera, Sigirino, Bironico, Camignolo e Medeglia. Con Alessandro Speziali, laureato in Scienze politiche presso l'Università di Losanna e ora stagiaire agli Enti Locali, cercheremo di capire quali sono le percezioni di un giovane per rapporto al fenomeno delle aggregazioni comunali.

Il fenomeno delle aggregazioni sembra essere decollato nel 2001 e negli ultimi due anni l'Ufficio di statistica ha registrato 10 nuove aggregazioni. Come ti spieghi questa evoluzione regionale in base alla tua esperienza di giovane studente ticinese?

In Ticino, come pure in Svizzera, viviamo da alcuni anni un notevole fermento a livello di riforme istituzionali. Infatti, ci si sta accorgendo di come la frammentazione politico-amministrativa possa generare problemi quando si tratta di promuovere e, soprattutto, realizzare progetti d'interesse regionale. Ma vi sono pure ostacoli alla (ri)organizzazione ottimale del territorio, a una collaborazione efficiente, al rinnovo delle cariche, a una vera autonomia decisionale e finanziaria e a un'equa distribuzione degli oneri per i servizi e i beni pubblici prodotti e distribuiti.
Non dimentichiamo nemmeno la questione identitaria: un nuovo Comune capace di organizzarsi e promuoversi al meglio stimola l'orgoglio e il senso d'appartenenza locale. Interessante è notare come spesso i processi aggregativi seguano una logica bottom up: un dinamismo che nasce dal basso e conferisce così una legittimazione ulteriore a questo tipo di riforma. Infatti, i Comuni avvertono spesso autonomamente la necessità di unire politicamente e amministrativamente entità che dal punto di vista economico, sociale, professionale e relazionale sono già integrate. Poi, c'è il ruolo delle autorità cantonali che non solo propongono la soluzione aggregativa, ma la sostengono nel concreto: mettendo a disposizione risorse finanziarie come pure informazioni e know how (conoscenze) per poter disegnare e progettare il nuovo Comune.

Le aggregazioni comunali sollevano in primo luogo la questione della solidarietà fra Comuni ricchi e poveri e secondariamente, il problema della rappresentatività presso il Governo. Partendo dall'analisi sviluppata nei tuoi studi, che prospettive intravvedi?

Le aggregazioni sollevano più questioni la cui importanza dipende da ogni caso specifico. Benché difficilmente misurabili in termini finanziari, gli oneri dei centri sono spesso molto rilevanti e incidono sulla capacità economica della Città. Queste Città polo, inoltre, accolgono spesso le famiglie e le persone meno abbienti grazie ai servizi sociali offerti, il cui costo è tutt'altro che trascurabile. Vanno poi aggiunti i costi di tutte le infrastrutture pubbliche dei servizi dei quali possono beneficiare tutti gli abitanti della regione. Spesso e volentieri si usufruisce di questi servizi senza nemmeno accorgersene.
Un'aggregazione, in questo senso, permetterebbe una ripartizione dei costi che non gravi sempre sulle casse della Città-centro. Va comunque ricordato come un primo sistema di solidarietà fiscale esista già e consista nella Legge sulla perequazione finanziaria intercomunale.
Per quanto concerne la questione della rappresentatività, è comprensibile che alcuni piccoli Comuni abbiano il timore di non esser sufficientemente rappresentati e difesi in un eventuale nuovo Comune.
Prendiamo l'esempio di Ascona, uno degli atout della regione locarnese: se dovesse concretizzarsi un nuovo Comune, esso sarà senz'altro cosciente che questo territorio necessiterà di un'attenzione particolare proprio per la sua attrattiva turistica e la sua valenza estetica. Sarebbe contro l'interesse dell'intera regione trascurarne le esigenze.
Se, invece, si intende la rappresentatività presso il Governo cantonale, è facilmente intuibile come una città demograficamente ed economicamente rilevante diventi automaticamente un interlocutore di peso, anzi: un vero e proprio partner nelle decisioni che concernono direttamente la propria regione.
Non dimentichiamoci, però, che ci sono ancora altre questioni importanti che un dibattito sulle aggregazioni permette di affrontare e pure di scoprire! Si pensi al costo delle collaborazioni, alla gestione dell'urbanizzazione, alla maggiore professionalizzazione dell'amministrazione e dei rappresentanti politici, a una nuova concezione d'identità locale, solo per citare alcuni esempi.

Come si spiega un giovane laureando certe opposizioni avanzate dai cittadini nei confronti dei processi aggregativi?

Talvolta si tende a sintetizzare lo scetticismo e l'opposizione alle aggregazioni con un mero attaccamento alla carica ricoperta. Tuttavia, si tratta di un approccio spesso riduttivo e semplicistico. Le fusioni non sono un obiettivo in sé, bensì uno strumento. Come ogni strumento, quindi, va usato correttamente, altrimenti si rischia di non ottenere i risultati sperati.
Penso che spesso lo scetticismo sia dettato da quel velo di mistero che avvolge il futuro del nuovo Comune. Aggregarsi è una scommessa per il domani. In gioco ci sono parecchie questioni importanti: dalla fiscalità alla pianificazione del paesaggio, dai servizi alle Istituzioni. Alcuni vogliono tentare di metter mano alla loro architettura, altri vogliono invece puntare su altri strumenti, come la collaborazione, per assicurare e rilanciare lo sviluppo regionale. Non va nemmeno dimenticato il principio della prossimità tra cittadino e potere politico o il desiderio di una forte autodeterminazione per quanto concerne il proprio territorio. Certo, c'è chi ha paura di perdere le posizioni acquisite. E questo succede in politica, come pure nel privato e nello sport. Tuttavia, per la gran maggioranza dei rappresentanti politici, la politica costituisce il piacere di mettersi a disposizione, l'orgoglio di lavorare per il bene comune e il dovere di difendere gli interessi e il mandato degli elettori.
Quindi, semplificare l'opposizione alle fusioni con una miope questione di interessi personali non rende giustizia né alla complessità, né alla serietà del dibattito e del processo aggregativo. Anzi.

L'esperienza di Locarno, la regione in cui sei cresciuto, è stata innovativa. Come vedi la proposta di coinvolgere attivamente la popolazione nel dibattito sulle aggregazioni?

Nel Locarnese è stato promosso uno Studio Strategico che proponeva sia una radiografia socioeconomica e istituzionale della regione, sia una serie di workshop affinché politici e società civile potessero confrontarsi e riflettere sui principali nodi che complicano la gestione dei Comuni e dell'agglomerato. Così, anche i non-politici hanno potuto partecipare a uno studio che serve a comprendere e descrivere lo stato attuale delle cose, come pure proporre soluzioni o strumenti per migliorare il Locarnese. Terminato lo studio si è poi proceduti con un sondaggio d'opinione che voleva tastare il polso della popolazione, determinando le percezioni e le opinioni dei cittadini riguardo alle aggregazioni e alla situazione attuale del loro Comune e al loro agglomerato. Un esercizio che non era fine a sé stesso ma che ha persino orientato il processo aggregativo a corto e medio termine.
Coinvolgere politici, opinion-leaders - quindi gli esponenti del mondo culturale, sociale ed economico - e cittadini ordinari (come si usa definirli) è senz'altro arricchente. La governance implica una gestione della cosa pubblica che tende all'orizzontalità, non alla verticalità, includendo così nei processi decisionali sia il circuito politico, sia quello cosiddetto civile che include il mondo dell'economia, della cultura, del sociale, eccetera. Un approccio che sfrutta la ricchezza di saperi e di esperienze di tutti i cittadini e dei loro rappresentanti.

In conclusione, secondo te è ipotizzabile che in futuro in Ticino possano rimanere solo 4 o 5 grossi Comuni?

Temo che la conformazione territoriale del nostro Cantone ponga dei problemi in questo senso. Spesso, vi sono realtà molto discoste e diverse dai centri urbani, le cui necessità e interessi sono sensibilmente diversi.
Non dimentichiamoci che un'aggregazione serve anche a sfruttare meglio le economie di scala: un obiettivo che rischierebbe di esser vanificato se il territorio comunale presentasse, per esempio, una non-continuità del suo abitato.
Mi chiedo, inoltre, se costruire questi 4 o 5 maxi Comuni attorno alle 4 grandi aree urbane non rischi di "nuocere" alle valli. Quest'ultime, invece, potrebbero aggregarsi al loro interno creando Comuni capaci di rilanciare l'economia di valle e di montagna, conoscendo e promuovendo gli atout e le potenzialità della propria regione. Il tutto creando delle sinergie con le città affinché si raggiunga una complementarietà ottimale fra periferia e centro.