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N3 - 2018

sensibilizzazione

«Ho visto cambiare la sensibilità verso gli animali»

Intervista a Tullio Vanzetti, prossimo alla pensione dopo oltre trent'anni di servizio come veterinario cantonale

Autori: Oliver Broggini
Autori foto: Elizabeth La Rosa
Data: 14 giugno 2018

A pochi giorni dalla fine di una carriera trentennale, abbiamo incontrato il veterinario cantonale Tullio Vanzetti. Originario della valle di Blenio, a neanche trent’anni entrò nell’Amministrazione cantonale, all’alba di un periodo ricchissimo di sfide nel campo della protezione degli animali. Con lui abbiamo chiacchierato di epidemie, amore per gli esseri viventi, scienza e politica.

Dott. Vanzetti, il 1. luglio si chiuderà un’esperienza di vita e di lavoro durata trent’anni: si ricorda ancora come era cominciata?
«Ho iniziato in giovane età, dopo il conseguimento del diploma a Berna e un’esperienza di due anni come veterinario per animali da reddito nei cantoni Grigioni e Vaud. Il ruolo di veterinario cantonale mi interessava soprattutto per gli aspetti di sanità pubblica. Durante gli studi mi ero interessato all’epidemiologia, una branca della medicina che anche in ambito veterinario studia le modalità di trasmissione delle malattie e le misure utili alla loro prevenzione».

E ha avuto effettivamente la possibilità di applicare le sue conoscenze in questo campo?
«La prima attività importante riguardava la prevenzione della rabbia, una malattia di origine virale trasmissibile alle persone e veicolata principalmente dalle volpi. Il fronte della malattia si stava avvicinando al nostro cantone dalla Valtellina e dai Grigioni. Fra il 1984 e il 1985 fu necessario realizzare una campagna di vaccinazione delle volpi in un’aera estesa al Bellinzonese, alla Mesolcina e ad una parte del distretto di Lugano. L’azione si svolse in collaborazione con la Centrale svizzera della rabbia a Berna, coinvolgendo polizia, guardiacaccia, veterinari, medici e mezzi di informazione».

È forse una domanda banale ma… come si fa a vaccinare una volpe?

«In effetti non si tratta di una operazione semplice come la vaccinazione di un animale domestico. Il metodo venne sviluppato negli anni 70 dal professore di virologia veterinaria dell’Università di Berna Franz Steck. Il vaccino era racchiuso in apposite fiale che dovevano essere ingerite dalle volpi. A fungere da esca servivano delle teste di gallina, distribuite sul territorio in base ad un piano prestabilito».
«La catastrofe di Chernobyl è forse un po’ dimenticata nel sentire comune, ma ha ancora ripercussioni concrete, come nel caso dei cinghiali. Ogni anno confischiamo dai 20 ai 30 esemplari catturati in Ticino, perché mostrano livelli di radiazioni troppo elevati»

Scorrendo la lista delle emergenze alle quali lei ha dovuto rispondere, ci accorgiamo di ripercorrere alcuni momenti cruciali della Storia recente, a cominciare dal disastro di Chernobyl.

«Si è trattato dell’esperienza più complessa e impegnativa della mia carriera. Dal profilo scientifico il problema richiedeva la comprensione del comportamento degli isotopi radioattivi nell’ambiente, nei vegetali e negli animali. Per tutelare la salute del consumatore fu necessario ordinare misure molto incisive in stretta collaborazione con le autorità federali».

Ha parlato di misure incisive...

«Il provvedimento che ebbe l’effetto più duraturo fu il divieto di pesca nel lago Ceresio, che per la sua particolare conformazione portò ad una elevata contaminazione radioattiva dei pesci. Durante l’estate del 1986 fu inoltre vietata in tutto il cantone la macellazione di capre e pecore, che avevano assorbito il Cesio-137 brucando l’erba dei pascoli. Per monitorare la situazione fu necessario misurare la radioattività in un campione di animali che si trovavano sugli alpeggi, utilizzando un apparecchio appositamente sviluppato dall’Ufficio federale dalla sanità pubblica».

Le conseguenze di quell’evento sono ancora osservabili, a trent’anni di distanza?

«Certo. La catastrofe di Chernobyl ha liberato nell’ambiente il cesio 137 che ha una emivita di 30 anni. Ciò significa che circa la metà della radioattività originale è ancora presente nel nostro sottosuolo. Le ripercussioni concrete oggi riguardano i cinghiali. Ogni anno confischiamo dai 20 ai 30 esemplari catturati in Ticino, perché la concentrazione di cesio supera i limiti di legge. La causa dell’alta contaminazione è imputabile all’ingestione di funghi sotterranei (simili ai tartufi ma non commestibili) che hanno la particolarità di concentrare al loro interno grandi quantità di cesio».

Come ricorda, invece, l’emergenza legata al morbo della mucca pazza?

«Ho cominciato a interessarmene prima che diventasse un’emergenza internazionale perché ne avevo sentito parlare da un mio parente che gestisce un’azienda agricola a York, in Gran Bretagna. Il primo caso in Svizzera risale al 1990. Qualche anno dopo seguì il primo caso in Ticino, segnalato da un veterinario che, in occasione di una visita clinica, aveva osservato in una bovina dei movimenti scoordinati. Ricordo con molto dispiacere anche il caso di una grossa azienda delle Tre Valli: fu necessario intervenire in modo molto pesante, ordinando l’abbattimento di tutti i bovini per il rischio che avessero ingerito foraggi contaminati».

Più vicine a noi nel tempo sono le vicende legate alla peste suina e all’influenza aviaria…

«Fra le due è sicuramente la peste suina che ha toccato in maniera più significativa il Ticino. Fra il 1998 e il 2000 abbiamo lavorato intensamente per debellare un’epidemia proveniente dall’Italia che si era propagata ai cinghiali del Malcantone e del Gambarogno. La mortalità iniziale in questi animali fu molto elevata, ma dopo alcuni mesi i casi di malattia cessarono grazie all’immunità naturale degli animali sopravvissuti. Il divieto di caccia ai cinghiali si rivelò una misura determinante per il successo della lotta alla malattia».

In generale, come ha visto cambiare in questi decenni la sensibilità della popolazione nei confronti degli animali?

«Il cambiamento è stato davvero notevole, e ha almeno due facce. Se è evidente l’aumento della sensibilità nella popolazione per i temi che ruotano attorno al benessere degli animali, è altrettanto chiaro che – rispetto alla civiltà agricola del nostro passato – il rapporto con gli animali si è fatto molto meno concreto ed è spesso idealizzato».

Cosa l’ha spinta a maturare questa convinzione?

«Ce ne accorgiamo ad esempio osservando certi usi linguistici, che rivelano un forte investimento emotivo ma anche l’ignoranza delle conoscenze che qualsiasi ticinese del Novecento avrebbe considerato scontate: oggi sentiamo spesso indicare vitelli, capretti e agnellini indistintamente con il termine “cucciolo” o addirittura “bébé”. Inoltre il nostro Ufficio è spesso contattato da persone che, per esempio, segnalano bovini che pascolano all’aperto durante l’inverno, nell’erronea convinzione che stiano soffrendo per il freddo. Ciò detto, siamo sempri grati alle persone che segnalano i casi sospetti di maltrattamento di animali».

«L’attività del nostro Ufficio tocca molti settori, che vanno dalla sanità animale all’igiene delle carni, dalla protezione degli animali al controllo dei farmaci, all’importazione di animali fino all’applicazione della legge sui cani»

È tornato d’attualità in questi giorni in Ticino anche il tema di una migliore protezione degli animali: un’iniziativa parlamentare chiede di rafforzarne i diritti modificando alcuni punti del nostro sistema giudiziario. Lei cosa ne pensa?

«Non ho ancora analizzato le proposte, ma è chiaro come anche il diritto sia destinato ad evolvere per rispondere ai mutamenti nella sensibilità della cittadinanza. Le aspettative etiche oggi sono diventate davvero molto elevate, al punto che anche il nostro Ufficio fa spesso fatica a intervenire con la tempestività che tutti pretendono. Per la politica si tratterà di trovare risposte adeguate ed equilibrate, ma in ogni caso volte a garantire le risorse e le procedure necessarie per un’applicazione soddisfacente della norme sulla protezione degli animali».

Quali sono le sfide principali alle quali sarà confrontato il suo successore?

«L’attività del nostro Ufficio tocca molti settori, che vanno dalla sanità animale all’igiene delle carni, dalla protezione degli animali al controllo dei farmaci, all’importazione di animali fino all’applicazione della legge sui cani. Oltre al lavoro di routine bisogna poter far fronte ad eventi improvvisi ed inaspettati, come l’apparizione di nuove malattie».

C’è una tendenza che la preoccupa particolarmente?

«Un fronte che continuerà a occupare l’Ufficio è la promozione del benessere degli animali: se la maggior parte dei detentori sono persone responsabili e affidabili, è probabile che casi di maltrattamento di animali occuperanno l’ufficio anche in futuro. Intervenire in questo genere di situazioni è sempre un compito impegnativo, che richiede sensibilità e risorse notevoli per quanto riguarda la procedura amministrativa, che spesso può durare per mesi se ne consegue un iter ricorsuale».

C’è un’attività dell’Ufficio che continuerà a seguire, anche da pensionato?

«Seguirò con attenzione da osservatore esterno un progetto lanciato due anni fa, che si è imposto come esperienza pionieristica suscitando interesse anche a livello nazionale. Si tratta di una campagna per combattere la mastite provocata nei bovini dallo Stafilococco aureo, una patologia molto diffusa negli allevamenti in Svizzera e all’estero. Dopo due anni di preparativi è iniziato lo scorso mese di dicembre la fase operativa, e i risultati scaturiti finora lasciano promettere la scomparsa dell’infezione del giro di tre anni. In questo modo sarà possibile migliorare la qualità del latte e ridurre l’utilizzo di antibiotici».

È inevitabile un finale politico. Il prossimo anno voteremo a livello federale su un’iniziativa che intende dare un sostegno finanziario a chi non taglia le corna alle proprie mucche. Lei cosa ne pensa?

«L’amputazione delle corna è una pratica introdotta per motivi di sicurezza con la stabulazione libera dei bovini. Fino ad una trentina di anni fa gli animali nella stalla erano attaccati alla mangiatoia, mentre ora possono muoversi liberamente e coricarsi in apposite cuccette. La libera circolazione degli animali con le corna espone al rischio di ferimento sia gli animali della mandria sia i detentori, con conseguenze anche molto gravi. L’iniziativa di principio promuove una tenuta di animali più naturale ma dev’essere valutata nella sua globalità. La questione riguarda sostanzialmente la politica agricola, visto che già oggi è data la facoltà ai detentori di bovini di allevare animali con le corna».

Siamo alla fine, e lo sarà fra qualche giorno anche la sua carriera nell’Amministrazione cantonale. Dopo tante avventure e tanti progetti non teme di annoiarsi?

«La risposta è negativa, altrimenti non avrei deciso di lasciare il lavoro anticipatamente. Desidero seguire il consiglio semplice ma profondo di significato che ho tratto da un libro di Erich Fromm: “fate della vostra vita la vostra professione”».