Vai al contenuto principale Vai alla ricerca

N2 - 2017

Unità

Foto di Elizabeth La Rosa

Autori: Oliver Broggini
Data: 06 aprile 2017

Il nuovo motto: «Unità – il Ticino di tutti noi»

Video-intervista al neoPresidente del Consiglio di Stato Manuele Bertoli

«Unità – il Ticino di tutti noi» è il motto scelto da Manuele Bertoli per contrassegnare il suo secondo anno da Presidente del Consiglio di Stato, a tre anni dalla prima esperienza vissuta alla testa del Governo. A pochi giorni dal passaggio di consegne, abbiamo incontrato il direttore del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport per discutere alcuni dei temi, cantonali e federali, che contraddistingueranno i prossimi dodici mesi – senza rinunciare a uno sguardo retrospettivo sulle questioni che hanno animato il dibattito politico negli ultimi mesi e anni.

Manuele Bertoli, tre anni fa vedeva se stesso da Presidente come un «direttore d’orchestra», e anche stavolta il concetto-guida sarà «unità»; la sua è una risposta a un clima politico segnato da crescenti divisioni?

«Mi pare che il nostro Cantone, che com’è normale per una società complessa esprime interessi e priorità piuttosto diversificate, sappia trovare una sintesi efficace, ma soprattutto eviti di guardare solo in una direzione, dimenticandosi di “pezzi” importanti della nostra società. Il Ticino è di tutti noi, e in questo concetto è la parola “tutti” quella fondamentale”.

A questo proposito, la sua prima Presidenza fu segnata anche dalla violenza di alcune reazioni – soprattutto nella sfera virtuale – al discorso che lei tenne il 1. agosto 2014; nel frattempo, sempre più spesso sembra che non esistano più argini in grado di contenere la diffusione di odio su internet.

«E’ un reale problema per il dibattito pubblico, come lo è la tendenza ad avvalorare tesi poco o per nulla fondate su un minimo di realtà. Accanto alla modernità dei mezzi di comunicazione sembra farsi strada il vecchissimo sistema secondo cui chi grida di più e chi la racconta più grossa si faccia notare di più. Non mi pare un grande passo avanti”.

Venendo all’attualità politica, non possiamo non considerare in apertura i procedimenti penali che hanno interessato recentemente alcuni servizi dell’Amministrazione cantonale: lei teme una crisi di fiducia?

«Sicuramente sono cose che non fanno bene, ma le varie verifiche amministrative e penali in corso permetteranno di fare chiarezza su quanto è successo. La macchina pubblica è complessa, è impegno del Governo cercare di evitare che cose come queste accadano, ma purtroppo è impossibile garantire che qualche problema sussista. Importante sarà trarre le dovute lezioni dalle criticità che emergeranno, dopo aver preso atto con oggettività delle risultanze dei procedimenti in corso e di quelli che eventualmente seguiranno”.

È sorprendente notare come molti degli argomenti che discutemmo nell’intervista di tre anni fa siano ancora al centro del dibattito. Vale la pena di ripercorrerli, a cominciare dall’eredità del voto del 9 febbraio 2014, che rimane controversissima.

«Non ho mai nascosto la mia opinione sulla legge di applicazione di quella modifica costituzionale, che risulta senz’altro lontana dal testo votato da popolo e Cantoni. D’altra parte è abbastanza sorprendente osservare come chi si duole di più di questa legge di applicazione non ha voluto attaccarla con l’arma del referendum popolare. Già nel 2014 avevo espresso l’idea secondo cui solo una nuova votazione costituzionale potesse chiarire quello che il 9 febbraio non ha chiarito, ovvero se la Svizzera debba gestire in proprio la politica della migrazione e rescindere i bilaterali, oppure debba salvaguardare i bilaterali e gestire la sua politica migratoria considerando questi accordi. Rammento che prima del voto popolare i fautori dell’iniziativa detta “sull’immigrazione di massa” affermavano che il testo poi divenuto parte della Costituzione non poneva problema con i bilaterali, affermazione poi rivelatasi infondata. Una votazione costituzionale ci sarà, riguarderà l’iniziativa RASA e forse un controprogetto diretto a questa proposta, io sono favorevole alla prima variante del controprogetto messa in consultazione dal Consiglio federale, ma vedremo se essa rimarrà sul tavolo”.

Anche il risanamento delle finanze cantonali rimane una preoccupazione costante. Tre anni fa a suo modo di vedere il Governo non aveva ancora affrontato la sfida in maniera risolutiva: ha cambiato idea?

«Dei passi avanti importanti sono stati fatti, le finanze oggi vanno meglio. Ricordo che il pacchetto di riequilibrio si è presentato piuttosto bilanciato, con una metà di risparmi, di cui una parte minoritaria oggettivamente più difficile da assumere, e una metà di nuove entrate (stime immobiliari, tassa di collegamento, revisioni tariffarie). Si tratta di mantenere questo equilibrio anche nel prossimo futuro quando si parlerà ancora di questo tema, dal mio punto di vista con un occhio di particolare attenzione per socialità e formazione, anche se non sarà semplice”.

Di nuovo a livello federale, la possibile «guerra delle generazioni» della quale discutevamo nel 2014 ormai sembra essere arrivata a un primo campo di battaglia: come giudica le prospettive aperte dalle recenti decisioni del parlamento sulla Riforma 2020 del Consiglio federale?

«Mi pare che il progetto Previdenza 2020 uscito dalle Camere sia un buon compromesso. Certo come tutti i compromessi implica qualche sacrificio, ma è il primo rafforzamento dell’AVS a cui si assiste da molti anni e va sostenuto”.

Restando con lo sguardo fisso sulla Confederazione, il 21 maggio ci aspetta la complessa votazione sulla Strategia energetica 2050: per il Ticino ci sono elementi di particolare interesse?

«Certamente. Il Ticino è un grande produttore di energia pulita idroelettrica e tutto quello che va nella direzione di accantonare le energie fossili e il nucleare a favore delle energie pulite risponde a nostri oggettivi interessi ambientali ed economici”.

A proposito dei nostri rapporti con Berna e gli altri Cantoni, alla vigilia della sua prima entrata in carica da presidente lei sognava di «far percorrere a Ticino e Svizzera le tappe dell’innamoramento». A che punto è la relazione?

«Abbiamo fatto grandi sforzi per far conoscere meglio le nostre peculiarità a Berna e credo che una serie di messaggi siano passati. Purtroppo a volte diamo ancora segnali poco comprensibili che non ci aiutano e che sarebbe meglio saper evitare”.

E per quanto riguarda l’Italia? Utilizzando il gergo di Facebook potremmo parlare, come minimo, di una «relazione complicata»…

«La relazione non è semplice, ma al di là di alcune oggettive esagerazioni credo che sulle questioni fondamentali il rapporto sia buono e debba mantenersi tale. Dovremo infine decidere se vogliamo o meno il nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri, perché il tempo di “tatticheggiare” è ormai finito”.

“Dovremo iniziare a porci il problema di quando è opportuno o adeguato immaginare che la vita possa finire». Questa sua citazione dalla nostra ultima intervista ci permette di affrontare il tema – di strettissima attualità in Ticino – del suicidio assistito.

«Confermo quel che avevo detto nel 2014. Il tema non è affrontato con sufficiente approfondimento. I costi della salute stanno salendo vertiginosamente e servono in gran parte ad allungare la vita delle persone senza sempre garantire loro una qualità di vita interessante. Dobbiamo trovare delle soluzioni nuove sul tema della fine della vita prima che esse si impongano unicamente per ragioni finanziarie”.

Il reddito di base incondizionato è stato bocciato dalla popolazione svizzera, ma i timori per una – più o meno rapida – sostituzione della manodopera umana da parte dei sistemi automatizzati sono sempre meno una questione di nicchia: la politica è ancora in tempo per gestire in anticipo la questione?

«Credo di sì, ma questo tema ha una dimensione tale per cui senza un input almeno europeo sarà difficile trovare risposte locali che non entrino in conflitto con quanto vigente nei territori contigui”.

Entrando ora nel campo delle questioni di cui lei si occupa quotidianamente in Dipartimento, comincio con il chiederle se la riforma «La scuola che verrà»… verrà davvero.

«Dalla consultazione non escono contrarietà a priori, ma diverse richieste di modifica del progetto su questo o quel punto. Stiamo lavorando per considerare queste richieste senza snaturare l’idea di base, sarà uno dei dibattiti importanti dei prossimi mesi”.

Un tema che torna dal passato, considerato anche il recente inverno con poca neve, è la situazione degli impianti di risalita ticinesi. Tre anni fa lei invocava la ricerca di nuovi modelli imprenditoriali e soluzioni politiche all’insegna della decentralizzazione: a che punto siamo?

«Degli sforzi qua e là sono stati fatti. Per ora il Cantone sostiene sostanzialmente solo la manutenzione, ma credo che il dunque arriverà quando i proprietari di queste infrastrutture verranno a chiedere risorse finanziarie importanti per ristrutturazioni o sostituzioni di impianti. Non è un tema per domani mattina, ma tra qualche anno il problema sul cosa fare e con che criteri intervenire sugli investimenti si porrà nuovamente”.

Passando ora all’ambito culturale, tre anni sono probabilmente sufficienti per tracciare un primo bilancio della nuova legge cantonale: è positivo o negativo?

«Mi pare positivo, poiché l’offerta culturale ticinese è ricca e di qualità. Dobbiamo fare ancora passi avanti nelle sinergie, nel lavorare meglio assieme, ma la direzione è segnata e chiara per tutti”.

Come l’ultima volta, prima di chiudere rivolgiamo uno sguardo al «suo» Locarnese: nel 2014 lei aveva individuato come temi prioritari le aggregazioni, i grandi progetti culturali e la mobilità.

«Rimangono le questioni centrali. Sulla cultura qualche passo importante si è fatto con la Casa del cinema e l’acquisto del palazzetto FEVI da parte della città di Locarno. Speriamo che si prosegua con la votazione consultiva sul Parco nazionale che avrà luogo tra qualche mese. Sulle aggregazioni mi pare che siamo terribilmente indietro, anche dopo aver constatato cosa hanno saputo fare i bellinzonesi, mentre sulla mobilità a breve-medio termine ci saranno dei passi avanti decisivi per quanto riguarda la ferrovia (collegamento con il tunnel del Ceneri, raddoppio dei binari da Cadenazzo a Tenero, ristrutturazione della stazione di Locarno) e più a lungo termine ci sarà forse qualcosa per la strada, dove le cose sono decisamente più difficili”.

Un ultima domanda leggera, anzi «light». Qualche settimana fa c’è stata una distribuzione a sorpresa di «canapa legale» ai membri del Gran Consiglio: qualcuno l’ha accettata, qualcuno l’ha buttata nel compostaggio, qualcuno ha chiamato la polizia. Anche a lei l’hanno offerta?

«Sì, mi sono trovato per le mani un foglio al quale era allegata una bustina che non so che fine abbia fatto. Al di là dell’episodio, la questione del rapporto dell’uomo con le sostanze che creano dipendenza rimane un tema di società da affrontare costantemente, perché tendenze e sostanze si modificano nel tempo riproponendo questo dibattito sempre in forma diversa”.