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N1 - 2019

elezione

Autori: Mattia Bertoldi
Data: 11 marzo 2019

Pompiere per sempre

Dopo oltre vent'anni di servizio, Michele Fattorini è divenuto aggiunto capo della Sezione del militare e della protezione della popolazione

Dalla condotta operativa sul terreno a un ruolo dirigenziale: è stata questa la svolta che Michele Fattorini ha vissuto nel 2018, all'età di 49 anni. Divenuto pompiere volontario nel 1996, dal 2002 è stato professionista e ha raggiunto il grado di maggiore e la funzione di Vice Comandante del Corpo civici pompieri di Lugano. Dopo tante richieste di intervento, ecco la... chiamata del Dipartimento delle istituzioni che lo ha affiancato a Ryan Pedevilla, capo della Sezione del militare e della protezione della popolazione. «Lavoro “ormai” per l'Amministrazione cantonale da poco più di sei mesi», ci ha detto, «e ho ancora molto da imparare. Posso però dire di essere entrato in un gruppo molto dinamico, dove mi trovo molto bene».

Lei arriva da una lunga esperienza nel campo della protezione della popolazione, eppure il suo lavoro è radicalmente cambiato.

«In effetti le cose sono molto diverse. In seno ai pompieri mi occupavo anche di amministrazione, ma ero soprattutto attivo sul fronte come capo intervento e come istruttore. Se da un lato questo aspetto manca (incluso il contatto con la popolazione), dall'altro sono affascinato da questa nuova prospettiva professionale che mi permette di mettere a frutto la mia esperienza e le mie reti di contatto. Basti pensare ai cinque pilastri della protezione della popolazione: polizia, pompieri e sanitari (i cosiddetti servizi a luce blu) unitamente ai servizi tecnici e alla protezione civile. Professionisti coi quali quali ho sempre interagito e che oggi posso aiutare in maniera determinante, dando così un apporto ancor maggiore ai cittadini».

Qual è la caratteristica che accomuna i pompieri, siano essi volontari o professionisti?

«È una professione che devi sentire, esattamente come in altri campi – penso per esempio ai soccorritori. Quasi una vocazione, insomma, e io mi ritrovo nel vecchio adagio che dice che chi è pompiere una volta, si sentirà pompiere per sempre. Si tratta di un lavoro al quale si dà tanto, perché la preparazione richiesta a livello mentale e fisico è molto ampia, consci del fatto che ciò che si impara – prima o poi – lo si metterà di sicuro in pratica durante qualche intervento. Eppure, è un'attività dal quale si riceve altrettanto».

Che cosa, in particolare?

«Innanzitutto un senso di squadra fortissimo, che si avverte in ben poche altre organizzazioni. Nei pompieri il gruppo costituisce una famiglia e i legami sono marcati e saldissimi, perché è insieme che si superano le difficoltà. E poi l'aspetto del salvataggio, in cui si è veramente in grado di fare la differenza e di dare il proprio contributo, dagli incidenti più piccoli alle situazioni più disperate. Ricordo il collega uscire dalle macerie causate dalla frana di Davesco con un ferito tra le braccia, ma non posso scordare le volte in cui nulla abbiamo potuto. Anche questo, purtroppo, fa parte del mestiere».

C'era una tradizione tra voi pompieri, a Lugano?

«Alla fine del turno o del singolo intervento, nel locale pausa, ci riunivamo per discutere gli avvenimenti di giornata. Un piccolo debriefing grazie al quale i rapporti tra di noi venivano cementati e si cercavano margini di miglioramento».

Ci sono ancora momenti del genere, nel corso della sua giornata di funzionario dell'Amministrazione cantonale?

«Non in maniera così formalizzata, ma per me ogni fine giornata è il momento ideale per stilare un piccolo bilancio e fare i conti con il lavoro svolto».

Svolgendo un lavoro così impegnativo, sarà importante per lei mantenere un equilibrio tra tempo professionale e tempo libero...

«È qualcosa di indispensabile. Amo trascorrere del tempo con la mia famiglia, viaggiare, andare in montagna, leggere e mi prodigo nel giardinaggio. Gli hobby sono un'ottima valvola di sfogo che ci permettono di dedicarci e impegnarci in qualcosa d'altro, non solo dal punto di vista mentale ma anche da quello fisico: basti pensare alla stanchezza dopo una giornata di lavoro in giardino... Perlomeno, i risultati si vedono – o almeno, per una settimana. Poi la natura riprende il suo corso e bisogna ricominciare!»