Da quell’esperimento al 1970 passarono ancora parecchi anni, prima che il voto alle donne ticinesi diventasse realtà.
«I dati, in tal senso, sono rivelatori: la prima votazione popolare svolta in Ticino per l'attribuzione dei diritti politici alle donne risale al 3 novembre 1946 e raccolse solo il 22,8% di sì. Nel 1959 ci fu la prima votazione federale sul tema e il Ticino contò il 37,1% di voti a favore, contro il 33,1% registrato a livello nazionale. Il tasso di approvazione in Ticino superò il 48% nel 1966 e raggiunse il 63% il 19 ottobre 1969. Quando le donne ticinesi ottennero la possibilità di votare e fare politica a livello federale, il 7 febbraio 1971, la percentuale di favorevoli nel nostro Cantone toccò il 75,3%. Fu insomma una progressione continua, che veicolava una tendenza ben precisa».
Pensando al clima di quegli anni, quali differenze saltano immediatamente agli occhi del lettore del XXI secolo?
«Oggi ci sorprende sicuramente la scelta delle parole utilizzate durante le campagne sul voto femminile, in particolare per i toni evocativi, a tratti apocalittici, scelti dal fronte del “no”. Ricordo in particolare il testo di un'inserzione a pagamento trovata su un quotidiano ticinese del 1946: "Elettore ticinese! Vuoi nel tuo Cantone una gioventù rovinata? Vuoi un maggior numero di spostati, di malati di mente? Vuoi rovinare la famiglia ticinese e la tua patria? NO, NO e NO. Vota NO e non obbligare la donna a disertare la casa. La donna è l'anima e il cuore della nazione, se rimane nella famiglia"". È stato quindi molto interessante verificare come, a partire dal 1946, la sensibilità dell’elettorato (maschile) sia via via cambiata, sulla spinta dei partiti che erano tutti a favore dell’allargamento dei diritti politici».