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News extra

Autori: Mattia Bertoldi
Data: 13 giugno 2018

L’acqua è il suo mestiere

A colloquio con il Sergente maggiore capo Marcel Luraschi, da oltre vent’anni nella polizia lacuale

“Secondo me acquatici si nasce, non si diventa”. Marcel Luraschi, 48 anni di Magliaso, non ha dubbi: il piacere di stare nell’acqua è qualcosa di innato. E per lui, che oggi è responsabile della Polizia lacuale (fresca di 50.esimo compleanno), questa vocazione è diventata una professione e una missione.

Sergente maggiore capo Luraschi, lei era un amante dell’acqua ancor prima di diventare agente di polizia…

“Certo! Sono nato sull’acqua, e già all’età di cinque anni avevo la mia barca con la quale battevo il lago di Lugano. Andavo anche a pescare – prima di andare a scuola e al lavoro, per esempio. Poi mi sono appassionato alla subacquea, e in seguito al canyoning. Prima di entrare in polizia mi occupavo di impianti sanitari e riscaldamenti: un lavoro che mi piaceva. Avevo però un amico poliziotto che mi raccontava le sue giornate, e quando è uscito il bando per la scuola di polizia ho pensato di provare”.

Quando ha frequentato la scuola di polizia?

“Nel 1992, e nei successivi cinque anni ho lavorato in stradale, in gendarmeria e in altre sezioni. Quando però nel 1997 ho potuto prestare servizio per qualche mese nella lacuale mi son detto: ‘Io entro qui e non me ne vado fino alla pensione’”.

E in effetti sono più di vent’anni che lavora lì.

“Sono tre gli aspetti che più mi piacciono del mio lavoro in polizia. Il primo è la varietà: un agente di polizia, all’inizio della sua carriera, ha veramente l’imbarazzo della scelta e possibilità di specializzarsi in ambiti molto differenti. Nella lacuale c’è un elemento in più: la libertà data dal servizio sul territorio. Tra laghi, fiumi e laghi alpini, sono molte le operazioni in cui veniamo coinvolti – dal recupero di veicoli sommersi al salvataggio in acqua. Il che porta al terzo aspetto: l’imprevedibilità delle giornate. Siamo una polizia di prossimità, presente per aiutare. Gli interventi di soccorso non possono essere pianificati”.

Nella polizia lacuale la formazione può durare anche quattro o cinque anni. Cosa ci vuole per essere sempre pronti e reattivi?

“Bisogna amare l’acqua, altrimenti alla lunga il lavoro diventa faticoso anche a causa delle onde e delle difficili condizioni in cui a volte lavoriamo. Quando ti trovi sott’acqua, senza luce e con pochi appoggi per svolgere un’operazione faticosa, è necessario essere equilibrati. Infatti, sono molti gli agenti che arrivano, passano qualche tempo in servizio con noi ma poi preferiscono spostarsi verso altri settori”.

Quale, invece, la sua strategia per rimanere forte dal punto di vista psicologico?

"Bisogna essere capaci di staccare dal lavoro, di non portare brutti pensieri a casa. Ora che i due figli sono grandi, poi, mi è ancora più facile ritagliarmi del tempo libero. Dopo sei o sette giorni di servizio, quindi, mi piace trascorrere delle ore in montagna – in solitudine. È come durante un’immersione subacquea: dopo aver trascorso del tempo sott’acqua, devi spendere alcuni minuti a una profondità costante prima di risalire in superficie, per effettuare la decompressione. Per me è lo stesso: la montagna è la mia piccola tappa di desaturazione”.