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Geoffroy Baylaender

Inseguire l’arte in un complesso futuristico nella Camargue

Professione
webdesigner e project manager

Anno di nascita
1987

Comune d'origine
Cadempino

Fuori Cantone dal
2011 (per un certo periodo anche in Ticino)

Dove
Londra, Losanna

Attuale residenza
Arles, Francia

Grazie alla professione di webdesigner, Geoffroy Baylaender, ha iniziato presto a viaggiare. Dopo quattro anni passati tra Londra e Lugano, ha fatto ritorno a Bioggio per lavorare in una multinazionale americana; successivamente, si è spostato a Losanna, ingaggiato da Nespresso. In seguito a queste esperienze nel mondo commerciale, Geoffroy è volato nel sud della Francia per intraprendere un nuovo lavoro alla fondazione Luma Arles. «Mi mancava una vera e propria esperienza all’estero, mi sono quindi detto: "Nel sud della Francia ci sono cresciuto dagli 8 ai 12 anni, mi piace, parto, perché no?" La cittadina è piccola, ma avevo ancora voglia di muovermi in un ambiente artistico».

Di cosa ti occupi nello specifico all’interno della fondazione Luma Arles?

«Lavoro come senior project manager digital development e in parte mi occupo anche di Les Maisons d'Arles, un progetto di hotellerie e ristorazione nella Camargue. Grazie alla mia polivalenza, gestisco molti progetti nel più ampio spettro possibile della parte digitale. Questa mia caratteristica mi permette di poter parlare con colleghi di qualsiasi settore e di avere un legame diretto con la direzione, ma allo stesso tempo accumulo molto lavoro, anche contando che sono solo. La realtà di Arles non mi ha ancora permesso di trovare un candidato ideale per affiancarmi, vorrei un candidato giovane ma difficilmente i giovani sono disposti a trasferirsi qua. Una piccola località come Arles non dà gli stessi stimoli che una città grande.»

Ci sono delle caratteristiche in ambito professionale che hai portato dal Ticino e che ti hanno aiutato?
«Le lingue, sicuramente. Sono cresciuto bilingue (francese e italiano) ma parlo anche l’inglese e un po’ di tedesco. I francesi, solitamente, parlano francese e un po’ di inglese e quindi sono spesso stupiti dalla mia facilità di comunicare in diverse lingue. Ho inoltre portato con me lo stereotipo svizzero di professionista puntuale, preciso e concertato. Un’altra cosa che sicuramente spicca è l’aver fatto il militare, le persone sono sempre sorprese che in Svizzera sia obbligatorio. A 19 anni ero a capo di una sezione composta da 34 uomini, che è stata sicuramente una scuola di management e di leadership.»

Sei sempre orgoglioso di parlare del Ticino? 
«Sì, chiaramente. Faccio spesso vedere foto di località ticinesi ricche di palme e montagne; qua non sono abituati, il panorama è tutto piatto. Le valli del Ticino e gli specchi d’acqua, come il lago di Lugano, mi mancano... Per fortuna qua abbiamo almeno il Rodano. Quando vengo invitato a una cena porto sempre con me una bottiglia di vino ticinese; le persone sono molto curiose sulle tradizioni culinarie e mi chiedono spesso quali sono le specialità ticinesi.»

Dopo diversi anni a Londra in un contesto internazionale, ti ritrovi ora in una realtà più simile al Ticino? 
«Sì e no. Il Ticino è piccolo, ma comunque abbastanza variegato dal punto di vista dell’economia… Qua è tutto focalizzato attorno all’arte e alla logistica. Arles è molto paesana, contadina, è facile relazionarsi con le persone; sembra di essere sempre in vacanza, ci sono le cicale che cantano tutto il tempo. Questo aspetto ci ha favorito molto durante il lockdown, ci si atteneva alle regole ma non c’era la polizia che ti dava la multa se ci si spostava di qualche chilometro in più del dovuto per fare una corsetta.»

Come hai vissuto la situazione Covid con, magari, l’insicurezza di non poter tornare in Svizzera quando volevi?
«Arrivato il primo confinamento, ho deciso che per il mio lavoro sarebbe stato meglio rimanere ad Arles. Con la mia compagna dovevamo decidere da chi andare: lei aveva il terrazzo ma non internet, io avevo internet ma non il terrazzo. Alla fine abbiamo scelto la terrazza. Questo periodo ci ha permesso di conoscerci meglio e ci ha unito molto. Sono molto legato alla mia famiglia ma non ho problemi a distaccarmi da loro, magari grazie al fatto che ho iniziato presto a viaggiare ed ero spesso solo. La parte difficile è stata non veder crescere il mio primo nipotino, ma per fortuna la tecnologia aiuta molto. Inoltre, ho avuto la fortuna di poter tornare spesso in Svizzera per degli impegni di formazione. L’unica frustrazione di essere in Francia durante il lockdown era quella di non poter aiutare il mio Paese nel momento del bisogno, dove avrei potuto mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti durante il servizio militare.»

Vorresti tornare in Ticino? 
«C’è l’idea di tornare in Svizzera con la mia compagna, o comunque andare da qualche altra parte. Arles è molto piccola e, per il tipo di persona che sono io e per il tipo di stimoli di cui ho bisogno anche al di là del mondo lavorativo, mi manca lo scambio di esperienze con le persone. Il Ticino è bello, però a livello professionale ho poche opportunità e quelle che ci sono le conosco già. Anche se mi sono creato una bella rete di contatti, nel nostro Cantone c’è troppa politica nelle cose: anche quando hai un buon progetto, se non conosci le persone giuste non avrai mai delle opportunità di crescita. Inoltre, il bacino è troppo piccolo: spesso pensiamo di essere grandi, ma alla fine, nel confronto internazionale, siamo piccoli.»

Rifaresti tutto come hai fatto nella tua vita?
«Sì, rifarei tutto perché sono contento delle esperienze di vita che ho fatto. È bello avere l’opportunità di lanciarsi, anche se non per tutti è così facile. Adesso sono un po’ meno libero, devo parlare con la mia compagna prima di prendere determinate decisioni. La libertà dipende anche dalla propria flessibilità lavorativa; io posso lavorare in qualunque progetto digitale, basta che prima imparo a conoscere l’azienda.»

(Intervista raccolta nel luglio 2021 da Alice Della Bruna e Ivana Zecevic)

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