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Adrian Soldati

Nella foresta vergine dell'Uganda, sulle tracce dell'evoluzione

Professione
dottorando all'università di St Andrews e all'università di Neuchâtel

Anno di nascita
1992

Comune d'origine
Sonvico (Lugano)

Fuori Cantone dal
2010

Dove
Ginevra, Roma, Saint Andrews, Budongo (Uganda)

Attuale residenza
Neuchâtel

Adrian Soldati è uno studente di dottorato che attualmente sta conducendo un progetto di ricerca alle università di Neuchâtel e di Saint Andrews sul tema della comunicazione degli scimpanzé. Il suo interesse verso la scienza e in particolare la biologia nasce alle scuole medie e si consolida con la scelta di proseguire gli studi con il liceo scientifico e i successivi studi universitari. Nel 2014 ha ottenuto un Bachelor in biologia all’Università di Ginevra, mentre nel 2016 ha ottenuto un Master in Psicologia comparativa ed evolutiva all’Università di Saint Andrews, in Scozia.

Come mai hai deciso di fare un Master in Scozia?
«Principalmente per due motivi: prima di tutto perché volevo approfondire e studiare l’evoluzione dell’uomo in rapporto con le altre specie animali, in particolare con i primati, e poi anche per consolidare le mie conoscenze dell’inglese, lingua centrale nell’ambito della ricerca e della scienza. Inoltre, ho pensato (sotto consiglio di un professore di Neuchâtel) che studiare in un’università estera mi avrebbe permesso di creare una rete di conoscenze più ampia nel settore e, allo stesso tempo, avrebbe dimostrato flessibilità e apertura, altri aspetti importanti nella ricerca.»

Dopo aver ottenuto il Master cos’hai fatto? 
«Ho fatto vari lavori (alcuni pagati e altri non) come assistente di ricerca su vari ambiti, tra cui uno studio sulle api svizzere e uno sugli ormoni degli scimpanzé. Allo stesso tempo, mi mi sono candidato per varie posizioni di dottorato e fondi di ricerca. Infine, durante un periodo in Uganda mi è stata offerta una posizione da un professore di Neuchâtel e uno di St. Andrews per un progetto di co-tutela: il progetto di ricerca prevedeva di tornare nella stazione in Uganda, che oramai era diventata come una seconda casa, e di studiare la comunicazione vocale e i comportamenti sociali degli scimpanzé in natura.»

Come mai era diventata come una seconda casa? 
«Avevo già lavorato nella stessa comunità per la tesi di Master e come assistente di ricerca. Inoltre, queste esperienze erano iniziate con la pratica “in laboratorio” durante uno stage a Roma prima di iniziare il master in Scozia. Questo tipo di ricerca mi ha portato a trasferirmi circa ogni sei mesi da un posto all’altro tra Scozia, Svizzera e Uganda.»

Puoi raccontare la tua esperienza in Uganda? Hai avuto difficoltà ad adattarti a un contesto così diverso da quello ticinese? 
«In Uganda ho vissuto in una stazione di ricerca in mezzo alla foresta vergine. Le foreste lì sono abbastanza simili alle nostre, tranne per gli animali che vi ci abitano. Mi sono però dovuto abituare alla presenza di nuovi pericoli (i serpenti o le malattie) e a dei ritmi giornalieri e settimanali diversi. Inoltre, a causa dell’assenza di stagioni (fa sempre caldo e le uniche differenze riguardano i periodi di grandi piogge e siccità), bisogna stare attenti a non entrare in un limbo di monotonia: ogni giorno ci si alza presto, si fa colazione e poi si cammina molto per andare a seguire le scimmie e i loro comportamenti. Bisogna adattarsi e ricordarsi di che alcune cose sono fuori da nostro controllo. È importante per mantenere un buon equilibrio e salute mentale in tempi più difficili. Ovviamente la cultura è molto diversa, ma non ho trovato difficile adattarmici e ho sempre avuto ottimi rapporti con le persone.»

Quando è scoppiata la pandemia, dove ti trovavi? Come hai vissuto questo momento? 
«Mi trovavo ancora sul campo in Uganda. È stato tutto molto improvvisato: pensavo di avere ancora qualche mese per concludere la raccolta dati, invece la situazione è peggiorata drasticamente nel giro di una settimana e una mattina, mentre ero in foresta, via radio ci è stato detto di fare i bagagli e raggiungere il giorno stesso l’aeroporto in capitale per salire (forse) su uno degli ultimi aerei e lasciare il Paese. Sapevamo che la pandemia significava anche l’interruzione della ricerca per evitare di passar il virus alle scimmie, quindi era solo una questione di tempo. Il primo lockdown l’ho passato in Ticino e il secondo in Scozia.»

Ti manca qualcosa del Ticino quando sei via? Provi nostalgia?
«Inizialmente non provavo vera nostalgia perché mi è sempre piaciuto spostarmi e dopo un po’ che faccio le stesse cose ho bisogno di cambiare per ritrovare interesse e curiosità. Quando ero in Uganda, del Ticino mi mancavano alcune cose a cui ero abituato, soprattutto legate al cibo: penso per esempio al pane e al formaggio, che in Uganda non esiste. Inoltre, mi mancava poter vedere la mia famiglia, ma anche il paesaggio svizzero, come le montagne all’orizzonte. Durante le vacanze approfitto per tornare a casa in Ticino e godermi in tranquillità la mia famiglia, gli amici, i gatti, e andare in montagna. È un po’ come una vacanza al contrario, ma per uno come me - che si sposta per lavoro e studia tutto il tempo - fermarsi, non fare i bagagli e non dover cercare un nuovo alloggio è il vero rilassarsi.»

In futuro hai intenzione di tornare in Ticino o in Svizzera?
«Nel campo della ricerca la Svizzera si trova in una posizione ottimale, soprattutto in questi tempi difficili. Quindi sì, prima o poi, anche se molto probabilmente non in Ticino visto che per me c’è poco o nulla dal punto di vista lavorativo, tornerò (o meglio rimarrò) in Svizzera. Non è una garanzia, e non mi voglio porre limiti poiché la priorità nei prossimi passi non sarà capire dove potrò continuare la mia ricerca.»

(Intervista raccolta nel luglio 2021 da Alice Della Bruna e Ivana Zecevic)

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