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Daiana Barilone

La strada... internazionale di un'esperta di mobilità internazionale

Professione
consulente nel campo della mobilità internazionale

Anno di nascita
1986

Comune d'origine
Caslano

Fuori Cantone dal
2015, in Germania (Berlino) e Francia

Attuale residenza
Besançon

Chi si occupa di mobilità internazionale sa che prima o poi, per opportunità o per aspirazione, si troverà confrontato alla possibilità di fare quello stesso lavoro all'estero. È stato questo il caso di Daiana Barilone, classe 1986, che dopo essere diventata responsabile per il programma Erasmus alla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI) nel 2011, quattro anni più tardi ha lasciato il Ticino per trasferirsi in Germania. "Quando ci penso mi viene da sorridere… Ho cominciato quando la Svizzera è rientrata nel programma e sono partita quando la Svizzera ne è uscita! Battute a parte, ho avuto modo di conoscere il programma Erasmus lavorandoci, e lo trovo un'ottima opportunità sia per gli studenti, sia per chi vi lavora".

Daiana, come è iniziata la tua avventura all'estero?
"Come detto, lavoravo già nella mobilità internazionale ma non ero soddisfatta, avevo bisogno di cambiare qualcosa, di staccarmi dalla routine, fare pulizia e aprire un po’ la mente. Come alcuni, sono partita in un momento di crisi alla ricerca di risposte. Inizialmente volevo regalarmi un soggiorno in Australia, ma il mio budget non me lo permetteva. Ho quindi deciso di partecipare a un programma di mobilità – corso di lingua più stage – sovvenzionato dal programma Leonardo. Ero convinta che lo stage mi avrebbe permesso di acquisire nuove competenze e aprirmi nuove porte, e dato che il mio punto debole era il tedesco sono partita per una grande città come Berlino. È stata un’agenzia specializzata per il reclutamento di stagisti a trovare lo stage. Non avevo specificato in quale settore andare, l’importante era fare una nuova esperienza, e alcune settimane prima di partire mi è stata proposta la Hochschule für Wirtschaft und Recht, nell’ufficio che si occupa dell’accoglienza degli studenti internazionali. Sono arrivata nella capitale tedesca il primo febbraio 2015".

Com'è andata?
"È stata un'esperienza bellissima. Ero a stretto contatto con gli studenti internazionali – oltre 300 provenienti da cinque continenti – e facevo parte di un team di studenti assistenti; il nostro compito consisteva nel supportare i nuovi arrivati e proporre un programma di attività culturali per il tempo libero. Di Berlino ho un bellissimo ricordo, ho conosciuto persone meravigliose provenienti da tutto il mondo. Mi è dispiaciuto rientrare".

Cos'hai fatto una volta rientrata in Ticino?
"Volevo fare subito un’altra esperienza, così ho aderito al programma Eurodyssée. Non m’interessava la destinazione: sono entrata nel sito dove sono pubblicate le offerte di stage e mi sono candidata. Ho fatto prima un colloquio per Bruxelles (dove però hanno scelto un altro candidato), poi uno per Besançon. Cercavano un’assistente per il servizio mobilità internazionale presso il Centre Régional d’Information Jeunesse e sono stata assunta. Così, il 6 luglio 2015 ero di nuovo in viaggio per una nuova destinazione. Rispetto alla Germania, in Francia ho assunto un ruolo più orientato alla promozione dei programmi di mobilità e alla valorizzazione delle esperienze vissute dai giovani all’estero tramite interviste e reportage. Avevo in programma di rientrare in Svizzera, ma tre settimane prima della fine dello stage la mia responsabile ha fatto il mio nome all’Université de Franche-Comté per l’organizzazione di un importante evento sportivo e ho accettato la sfida".

Quale?
"Dal 2014 il programma Erasmus+ permette alle università europee di finanziare un evento sportivo. Nel 2015 un centinaio di università si sono candidate e sono stati accettati solamente tre progetti in tutta Europa, tra cui quello per cui sono stata assunta e che si terrà dal 25 al 29 aprile 2016. È un progetto che coinvolge dodici università europee, il tema è "Egalité, Mixité, Intégration par le Sport". Durante la settimana saranno proposte attività sportive tipiche della zona, con particolare accento sull'integrazione uomo-donna, l'inclusione sociale e intergenerazionale e lo sport adattato per i portatori di handicap (fisici e mentali). La settimana si concluderà con una conferenza su questi temi".

Come mai nutri così tanta passione per il contesto della mobilità internazionale?
"La mia passione per gli scambi internazionali risale a 15 anni fa, quando ancora praticavo la ginnastica e ho partecipato per la prima volta a una manifestazione non competitiva: l’Eurogym, a Dornbirn, in Austria. Un’atmosfera bellissima, ne sono rimasta affascinata: persone di culture diverse legate da un’unica passione. Da quella volta ogni due anni sono partita in trasferta per partecipare a manifestazioni simili. Volevo rivivere quelle emozioni e, quando sono diventata allenatrice, farle vivere ai miei ginnasti. Grazie a queste iniziative sono stata in Austria, Italia, Portogallo, Belgio e in Sudafrica".

Le hai rivissute, quelle emozioni?
"Certo, durante i miei stage – e mi sto preparando a riviverle. Sembra banale, ma L’insegnamento più grande, oppure la conferma che ho avuto, è che siamo tutti uguali. Tutti diversi, ma tutti esseri umani. Anche il ruolo che avevo alla SUPSI mi aveva già permesso di confrontarmi con altre persone e culture, partecipando a conferenze e corsi di formazione in Irlanda, Turchia, Olanda e Repubblica Ceca. Sono stata allo stesso tavolo con persone provenienti da tutto il mondo e sapevamo di cosa stavamo parlando. Mi sono sempre trovata bene, ho conosciuto molta gente in gamba e allo stesso tempo molto umile. Dal punto di vista professionale, il confronto con gli altri su uno stesso problema e la consapevolezza legata a un approccio poi rivelatosi vincente innescano nuove idee da portare a casa. Tutti scambi molto arricchenti".

Quali sono stati i punti comuni tra le due esperienze vissute in Germania e in Francia?
"Berlino e Besançon sono due città universitarie, dinamiche e orientate alla realtà internazionale. Questo facilita gli incontri e ti apre a nuove possibilità. Se lo stage a Berlino mi ha confermato che voglio continuare a lavorare per i giovani in un contesto internazionale, lo stage a Besançon mi ha aperto le porte. Ci sono svariati enti e associazioni che collaborano insieme per promuovere l’internazionalità e altri temi politicamente e culturalmente condivisi. Il programma Eurodyssée è nato qui, un anno prima di Erasmus, e questo è un contesto che mi ha facilitato il contatto con l’università della regione, per cui ora lavoro".

Le persone con cui lavori hanno mai sentito parlare del Ticino? Come hai spiegato loro da dove vieni?
"Dico sempre che vengo dalla Svizzera italiana e che parlo italiano – ci tengo a precisarlo, in ogni occasione. Non è facile per gli altri avere un’immagine omogenea della Svizzera – in pochi hanno conosciuto dei ticinesi, siamo rari. Credo quindi di essere una dei pochissimi ticinesi a Besançon, mentre a Berlino eravamo di più: qualcuno lo conoscevo già e gli altri li ho conosciuti sul posto, abbiamo anche organizzato qualche momento insieme. Il nostro cantone è comunque conosciuto. Mi piace presentarlo come una bellissima regione dove si mangia bene e poi mostro qualche foto. Racconto del carnevale, del festival del cinema e di altri eventi. Può sembrare un controsenso, ma partire all’estero mi ha fatto avvicinare maggiormente al mio paese. Confrontarmi con gli altri mi ha portato ad approfondire le mie conoscenze del Ticino e della Svizzera".

Quali legami hai mantenuto con la realtà ticinese?
"Mi capita di guardare il quotidiano o di leggere qualche notizia in rete. In più, la mia famiglia e alcuni cari amici sono in Ticino, quindi mi è già capitato di rientrare per qualche fine settimana. Ciò che mi manca di più sono infatti le persone a cui sono legata, ma sento anche la mancanza di Lugano e di alcuni luoghi e momenti che vivevo regolarmente: il lago, le montagne, le serate e gli aperitivi. La vita notturna di Besançon non è ovviamente come quella di Berlino, e a confronto il Ticino non è messo così male!".

In questi anni hai maturato una nuova visione del Ticino?
"Più che altro sono io a essere maturata. Prima davo molta più importanza agli aspetti negativi, a ciò che mancava, che non andava bene, e tralasciavo tutte le cose belle. È cambiata la mia prospettiva, sono più obiettiva e ho imparato a dare maggiore importanza alle cose che funzionano. Di conseguenza vedo il Ticino diversamente, ho un’idea più positiva. Non so ancora, tuttavia, se sono pronta a tornare a casa. Ci vuole qualcosa di nuovo, un progetto che attiri la mia attenzione per ritornare in Ticino. Dopo lo stage in Germania ho imparato a dare maggiore importanza alla mia carriera, quindi ragiono per opportunità lavorative, non per Paese di destinazione. Certamente un giorno mi fermerò da qualche parte per metter su famiglia, e quel giorno probabilmente cambierò di nuovo il mio modo di pensare".

Cosa farai, quindi, nei mesi successivi l’evento sportivo di fine aprile?
"C’è tutta una parte dedicata alle fasi successive che dovremo curare, in cui pubblicheremo i risultati dell’esperienza e ci occuperemo di affinare le relazioni con i vari partner. Sappiamo però già che l’evento così com’è non sarà riproposto; la commissione europea convoglierà i fondi verso altri progetti che meritano di essere portati avanti. A fine ottobre 2016 il mio contratto giungerà al termine e in merito al futuro è difficile fare previsioni, visto che io mi sono spesso sbagliata. Pensavo per esempio di restare più a lungo a Berlino e di rientrare subito in Ticino dopo Besançon, invece è andata esattamente al contrario – ed è perfetto così. Probabilmente mi dedicherò a qualcosa di nuovo, sto seguendo una scuola di counseling a Roma e un giorno mi piacerebbe fare qualcosa per le persone… Per esempio motivare i giovani a seguire i loro sogni e a partire".

Quali sono le cose che più ti hanno scoraggiata in questi mesi?
"A livello organizzativo, i formulari e i documenti da preparare a ogni spostamento. A livello umano la paura di partire, l’incertezza di quello che ti aspetta. Ho sempre voluto partire, ma per una serie di motivi posticipavo il momento. Forse non ero pronta. Rifarei però le stesse scelte e incoraggio chiunque a seguire il proprio istinto e i propri sogni. Sono dell’idea che è importante capire ciò che si vuole fare veramente, e se questo mi porta a spostarmi oltre i confini cantonali o in un altro Paese, oggi non ho più nessuna esitazione: preparo la valigia e parto".

(Intervista raccolta nel febbraio 2016 da Mattia Bertoldi)

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