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Luca Dattoli

Ottico e imprenditore in Centro America

Professione
ottico diplomato in Svizzera

Anno di nascita
1974

Comune d'origine
Mendrisio

Fuori Cantone dal
2000, in Centroamerica (Costa Rica, Panama, Honduras...)

Attuale residenza
San José (Costa Rica)

Quando hanno chiesto a Luca Dattoli se era disposto a trasferirsi in Centro America per dirigere una catena di ottica, lui non ci ha pensato due volte: ha preparato la valigia e, all'inizio degli anni Duemila, ha lasciato la sua Mendrisio per trasferirsi a San José, capitale del Costa Rica. Qui ha conosciuto sua moglie Ericka e, nel giro di pochi anni, la sfida professionale si è trasformata in scelta di vita. "Quando avevo 15 anni io e i miei amici scherzavamo sempre sulla prospettiva di vivere in Paesi affacciati sul mare, caratterizzati da clima caldo e balli latino-americani. Alla fine ce l'ho fatta, anche se il tempo per fare il bagno e ballare è sempre poco a causa dei ritmi intensi di lavoro" (ride).

Per i suoi familiari in Ticino è stato difficile accettare questa scelta?
"Abbastanza. Mia madre credo abbia pianto per un mese, ma poi come tutte le mamme ha appoggiato la mia idea con felicità. Mio padre, analogamente, all'inizio era forse un po' deluso, ma con il tempo ha capito che cosa volevo veramente dalla mia vita e, soprattutto, ha riconosciuto i miei successi come imprenditore. Oggi parla con molta fierezza della carriera di suo figlio in Centro America e io non posso che esserne felice".

I suoi amici invece che dicevano?
"Mi hanno chiesto se fossi matto nel lasciare la stabilità e la sicurezza garantitemi della Svizzera, sostenendo che sicuramente mi sarebbe andata male e avrei dovuto chiedere assistenza e aiuto al Comune per tornare a casa. In effetti, all'inizio quasi nessuno ha creduto nelle mie idee e per fortuna ho sempre difeso con determinatezza la mia decisione, seguendo quello che mi diceva il cuore".

Quali sono state le prime difficoltà, una volta messo piede in Costa Rica?
"A livello professionale, abbracciare la cultura della scarsa puntualità che imperversa in tutto il Paese: per poter incontrare una persona alle 16 bisogna fissare l'appuntamento alle 15, ma si rischia pure che non si presenti nessuno, se quel giorno gioca la nazionale di calcio. A livello umano, invece, in questo Paese ho trovato un grande calore e appoggio incondizionato, soprattutto da parte della famiglia di mia moglie. La loro accoglienza mi ricorda sempre lo spirito di convivialità che si respira in una famiglia dell'Italia meridionale, dove un pranzo o una cena può durare anche tre ore e alla fine del pasto ti accorgi che intorno al tavolo siedono quaranta persone".

Come ci si adatta a una società di questo tipo?
"Bisogna cambiare la propria mentalità, senza però abbandonare la propria cultura e le proprie radici. Io sono riuscito a bilanciare queste due dimensioni e questo mi ha aiutato molto. È anche importante conoscere sin dai primi giorni gli usi e i costumi culturali del Paese, così da sapere cosa si può dire e cosa no, per non rischiare di offendere qualcuno. Noi svizzeri siamo comunque fortunati: all'estero siamo sempre ben visti per via della nostra cultura, della neutralità e dello stereotipo legato alla precisione".

Dal punto di vista commerciale, quali sono i traguardi raggiunti nel corso della sua carriera di dirigente?
"In Costa Rica ho avuto la fortuna di ottenere dei successi che con ogni probabilità non avrei nemmeno sfiorato, se fossi restato in Svizzera. Lo dico con amarezza, ma a volte è proprio vero: "nemo propheta in patria". In Centro America, all'età di 28 anni, ho avuto modo di dirigere un'azienda con molti collaboratori e di aprire più di cento negozi in pochi anni; ho sviluppato le mie capacità di manager specialista nel retail di catene di ottica e conosciute numerose autorità commerciali, industriali, politiche e istituzionali. Inoltre, ho ricevuto molte proposte per sedere in vari consigli d'amministrazione di prestigiosi gruppi privati. In Ticino, invece, temo sarei rimasto un semplice ottico per molto tempo. Purtroppo lì la mentalità è un po' ristretta e un giovane non trova molto spazio: gli abitanti sono pochi, la situazione economica è dura e per lanciarsi come imprenditore bisogna avere molti mezzi e risorse".

In Costa Rica ha quindi trovato (è proprio il caso di dirlo) la sua America...
"Direi di sì, ed è incredibile che il mio lavoro sia valorizzato maggiormente all'estero, con introiti superiori a quelli a cui ero abituato in Ticino; era frustrante sentirsi ripetere "Lei deve crescere, è giovane e non possiamo offrirle uno stipendio alto". Forse, però, è stata una fortuna: le tante porte in faccia mi hanno portato fin qua e poco più di un anno fa ho fondato con un socio la Swiss Optics, una catena di ottica che oggi dà lavoro a oltre cento collaboratori con punti vendita in Honduras e Costa Rica, anche se presto ci espanderemo a Panama, San Salvador e nella Repubblica Dominicana. Inoltre, sono proprietario di un gruppo immobiliare e gestisco un condominio sulla costa del Pacifico denominato Villa Lugano e formato da villette e appartamenti che affittiamo per vacanza. La curiosità è data dai nomi dei singoli stabili, presi da quelli di alcuni Comuni ticinesi - Morcote, Montagnola, Bissone...".

È difficile fare impresa in una realtà così distante da quella in cui è cresciuto?
"Fare impresa è sempre difficile, ma comunque molto emozionante. Per partire bene è indispensabile la passione; in più, bisogna conoscere bene il territorio, le leggi e soprattutto l'economia del posto, altrimenti si rischia di perdere molti soldi. Gli uffici centrali della nostra azienda sono stati aperti in Honduras, e qui il problema principale è dato dalla sicurezza: si tratta di un Paese violento dove il crimine organizzato imperversa, quindi abbiamo dovuto assumere delle guardie private armate da piazzare all'ingresso dei negozi e delle guardie del corpo per poterci muovere. Ciò ci garantisce una certa autonomia, ma la libertà è quantomeno limitata. Le nazioni come il Costa Rica sono più tranquille e sicure; mia moglie e mia figlia vivono qui e io cerco di trascorrervi almeno tre giorni a settimana, visite ad altri uffici permettendo".

Quali caratteristiche bisogna avere per compiere il suo stesso percorso?
"Ciò che più conta è non farsi prendere dalla paura delle caratteristiche del luogo in cui si va a vivere, altrimenti non si riuscirà mai a realizzare nulla in nessuna parte del mondo. Ci sarà sempre qualcosa che ci frena o non ci piace del tutto, quindi bisogna essere anche pronti a cambiare le proprie abitudini. Io sono stato fortunato perché in Costa Rica ho incontrato mia moglie e l'adattamento è stato meno complesso; se mi fossi trasferito con una donna ticinese, saremmo stati in due a doverci adeguare e difficilmente le cose sarebbero funzionate".

A sua figlia ha insegnato l'italiano?
"Mia figlia è orgogliosa di avere la doppia nazionalità, di essere "tica-suiza" insomma, e parla bene l'italiano così come mia moglie. Una volta l'anno torniamo in Ticino per incontrare i parenti e i miei genitori sono sempre molto contenti di abbracciare la loro nipote. Grazie alla tecnologia, inoltre, ogni settimana chiacchieriamo con i familiari e gli amici svizzeri via Skype".

Avete mai pensato di trasferirvi in Svizzera?
"Mia moglie sarebbe felice di abitare in Svizzera, ma mia figlia sostiene che sia meglio mantenerla come meta di vacanza - "Così non devo lasciare gli amici e i parenti qui in Costa Rica", dice ridendo. Scherzi parte, credo che ogni emigrante abbia il pensiero costante di rientrare a casa, dopo un periodo più o meno lungo. Sono anche consapevole che il Ticino rappresenterebbe il contesto ideale per crescere mia figlia, ma so anche che potrà pur sempre frequentare le scuole svizzere quando sarà più grande".

Che cosa le manca di più del Canton Ticino?
"Oltre alla famiglia e gli amici? Direi l'infanzia durante la quale correvo tra le stradine di Mendrisio, l'autunno con i suoi colori e i suoi frutti, la buona polenta che accompagnava le belle serate trascorse al grotto. Suona un po' nostalgico, ma in effetti è così".

Quali sono i segnali di "ticinesità" nella sua vita quotidiana?
"Be', da buon svizzero, a livello caratteriale sono molto preciso e puntuale; inoltre, amo anche sfoggiare il mio sorriso di marca "momò" e aiutare le persone con generosità. Per quanto riguarda l'oggettistica, qui all'estero è nato il desiderio di tenere in terrazza dei boccalini ticinesi e un campanaccio svizzero. È bizzarro, perché a Mendrisio mai e poi mai avrei sfoggiato questo genere di cose..."

Come è cambiato il tuo punto di vista sul Ticino?
"Più vivo all'estero e più mi convinco che il Canton Ticino debba crescere e aprirsi maggiormente a un'economia globalizzata; estendere gli orari d'apertura dei negozi, eliminare la burocrazia per facilitare l'insediamento di grandi gruppi, appoggiare gli imprenditori e le loro attività... A volte scrivo ancora delle lettere ai principali quotidiani ticinesi, anche se non tutti sono sempre d'accordo con la mia mentalità liberale".

Forte della sua esperienza in Centro America, cosa consiglierebbe a un giovane ticinese?
"Di ampliare i propri orizzonti e di lanciarsi in nuove avventure, soprattutto nei Paesi emergenti. Dal punto di vista commerciale il Centro America rappresenta una grande opportunità perché non soffre la grande crisi che sta attraversando l'Europa. Da parte mia, sarei molto felice di offrire i miei consigli a chi è interessato o si sta interessando a un trasferimento da queste parti. E poi chissà: magari qualche giovane è pure interessato a vivere un'esperienza professionale in una delle divisioni del nostro gruppo. Anche in questo caso, sarò felice di dar loro una mano via e-mail (l.dattoli[et]sunrise.ch) ed eventualmente di persona".

(Intervista raccolta nell'ottobre 2013 da Mattia Bertoldi)

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