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Giampaolo Salvi

All'Università di Budapest per lavoro e amore

Professione
professore universitario di linguistica italiana, romanza e generale

Anno di nascita
1954

Comune d'origine
Locarno

Fuori Cantone dal
1978, in Ungheria (Budapest)

Attuale residenza
Budapest

Dal Ticino all'Ungheria con una breve tappa a Padova: è questo il percorso di Giampaolo Salvi, a Budapest dal 1978 e docente in una delle università di questa città da oltre trent'anni, periodo nel quale ha partecipato a convegni in tutta Europa, assunto diverse cariche e firmato alcune importanti pubblicazioni (qui si può leggere il suo curriculum vitae). Il trasferimento nell'Europa dell'Est aveva preso già corpo nell'ateneo della cittadina veneta, dove ha studiato e si è laureato in lettere. "Ma in Italia ho anche incontrato la mia futura moglie che partecipava a un programma di scambio della durata di sei mesi. Poi è tornata in Ungheria e io, alla fine degli studi, ho deciso di raggiungerla a Budapest dove abitava con la famiglia".

Colpo di testa o cambiamento pianificato?
"Direi più la seconda, perché nel corso degli ultimi due anni trascorsi in Italia mi ero già messo sui libri per studiare l'ungherese. Una volta là, mi sono concentrato sulla lingua per un anno ancora - l'idioma non è facilissimo da apprendere per il parlante italofono - e successivamente ho iniziato a lavorare all'università dove insegno tuttora sia in italiano, sia in ungherese".

La lingua ha rappresentato l'unico ostacolo?
"Non direi. Il fatto è che tutta l'Ungheria appariva come un'enorme incognita ai miei occhi. Ricordiamoci che il muro di Berlino sarebbe caduto solo undici anni dopo e ai tempi, per andare verso Est e viceversa, bisognava superare una vera e propria cortina di ferro che creava non pochi problemi burocratici. Tornare in Ticino per trascorrere qualche giorno coi miei familiari diveniva un'impresa titanica perché bisognava riempire molte carte e raccogliere diversi timbri e firme. Dopo il 1989, da questo punto di vista, le cose si sono fatte molto più pratiche".

Si è percepito un grosso cambio culturale dopo la fine della Guerra fredda?
"Direi di sì, almeno secondo il mio punto di vista. Prima l'atmosfera era più grigia e oppressiva, la gente sembrava non avere prospettive. Io a Budapest (per fortuna) avevo famiglia, perché non saprei se sarei riuscito a rimanere senza qualcuno al mio fianco. Poi le cose si sono via via appianate nel corso degli anni e oggi le nuove generazioni non sanno nemmeno più cosa significava vivere senza libero accesso all'aeroporto o la variegata gamma di scelta che i supermercati moderni offrono".

Ora torna spesso nel nostro Cantone?
"Una volta ero solito tornare due o tre volte l'anno, mentre adesso capita più di rado. Io e la mia famiglia trascorriamo in Ticino qualche giorno nel periodo estivo nella nostra casa di Brione, nel Locarnese".

I suoi familiari parlano italiano?
"Mia moglie sì, i miei figli invece sono monolingui e parlano solo ungherese. Mi sarebbe piaciuto insegnar loro l'italiano, ma c'era un vantaggio a parlar con loro solo il magiaro: in questo modo ho potuto imparare la lingua insieme a loro, visto che sono nati nei primi anni della mia vita qui".

Le manca il nostro Cantone?
"Sì, anche se cerco di mantenere i contatti con gli amici e i conoscenti grazie alle nuove tecnologie. Devo però dire che per il mio mestiere, abitare in un centro culturale importante e rinomato come la città di Budapest costituisce una prerogativa indispensabile; in Ticino ciò non sarebbe stato possibile. Negli anni Novanta ho anche avuto la possibilità di tornare in Svizzera, ma alla fine sono rimasto qui".

Tornerà in Ticino, un giorno?
"Non saprei, dipenderà dalle situazioni che si andranno a creare più in là. Non ho mai posto troppi limiti al futuro: se penso che da giovane non ero un grande amante di viaggi, e alla fine mi sono trasferito a Budapest per amore e per lavoro... No, molto meglio lasciarsi sorprendere giorno per giorno".

(Intervista raccolta nel maggio 2013 da Mattia Bertoldi)

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