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Francesca Cerza

Uno stage a Boston per divenire una persona migliore

Professione
manager/imprenditrice

Anno di nascita
1987

Comune d'origine
Tenero-Contra

Ha soggiornato fuori Cantone dal
2013 al 2015

Dove
Svizzera francese (Friburgo), Stati Uniti d'America (Boston)

Attuale residenza
Gordola

«Anche se è durata solo sei mesi, questa esperienza professionale e personale a Boston mi ha cambiata. Sono più informata, più consapevole e – di conseguenza – una persona migliore.» Le parole di Francesca Cerza, 28 anni, non nascondono l’entusiasmo provato nel corso dello stage a swissnex Boston, una delle sei antenne internazionali nate da un’iniziativa della Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione. Il loro scopo è connettere la Svizzera con il resto del mondo, creare dei contatti e innescare delle collaborazioni durature in ambito scientifico e imprenditoriale, in un ambiente di lavoro effervescente e stimolante. «Ho incontrato molte persone, e sembra quasi che ognuno abbia un’idea imprenditoriale per sfondare e migliorare il mondo».

Francesca, tu sei stata in Nord America da aprile a ottobre 2015. Come mai hai scelto questa destinazione e non altre mete internazionali?
«In effetti avevo valutato la possibilità di partire per Rio de Janeiro, ma poi ho considerato che Boston è una delle capitali mondiali dell’innovazione, seconda negli Stati Uniti soltanto alla Silicon Valley, sulla costa ovest. Ho poi pensato che un’esperienza del genere mi avrebbe permesso di perfezionare il mio inglese, e così ho inoltrato la candidatura e sono stata contattata per un colloquio».

La permanenza negli Stati Uniti per uno stage di sei mesi a swissnex è resa possibile da un visto diplomatico. Quali formalità burocratiche hai dovuto superare in preparazione del viaggio?
«Ho dovuto preparare molta documentazione e compilare diversi formulari, ma ho sempre goduto dell’appoggio del consolato che mi ha seguita e assistita. Ho invece dovuto gestire da me tutte le pratiche logistiche legate per esempio alla prenotazione di un volo e alla ricerca di un alloggio, ma anche in questo caso una guida alla città inoltratami da swissnex Boston mi ha fornito una stima dei prezzi e indicato in quali quartieri fosse meglio abitare. Il team di swissnex è inoltre stato molto disponibile nel rispondere a ogni mia domanda o curiosità».

Come hai fatto a trovare un appartamento, trovandoti a migliaia di chilometri di distanza?
«Ho sfruttato siti Internet di annunci come craigslist.org e i contatti con alcuni ticinesi residenti a Boston che hanno eseguito un paio di sopralluoghi per me. Alla fine sono subentrata nella camera di una mia futura collega di lavoro, vivevo con tre uomini statunitensi. All’inizio ero titubante, ma poi mi sono trovata benissimo e grazie a loro ho avuto un’infarinatura di tutto ciò che è la cultura nordamericana – sport (e baseball) inclusi».

Cosa è successo, una volta partita per il Nord America?
«All’arrivo sono stata accolta da una rappresentante di swissnex Boston, un gesto molto carino che ti fa subito sentire ben accolta e ti fa capire a quale livello è arrivata la tecnologia in una città così innovativa come quella».

In che senso?
«Be’, invece di prendere un normale taxi la ragazza ha richiesto un veicolo tramite Lift, un’app simile a Uber che ti dà la possibilità di contattare autisti privati e “prenotare” dei passaggi. Lì la vita è in gran parte resa più facile da smartphone e carte di credito: devi pagare un pacchetto di gomme da masticare? Usi la carta. Devi dividere le spese condominiali con un coinquilino? C’è un’applicazione che lo fa per te e ti scala i soldi dal conto, basta darle l’autorizzazione. Per tre mesi ho vissuto a Boston con solo un dollaro in tasca, perché lì tutti i pagamenti possono essere saldati senza monete e banconote. Prima della partenza ho cercato di digitalizzare la maggior parte delle fatture mensili legate al Ticino e per saldarle usufruivo del servizio e-banking collegato al mio conto bancario svizzero. Negli altri casi, qualcuno che ti apre e ti scannerizza la corrispondenza in Ticino è fondamentale».

La paga è di 1500 dollari il mese. Sei riuscita a coprire tutte le spese?
«Trattandosi di uno stage a tempo determinato il salario è ridotto, ma con un po’ di attenzione è possibile rientrare nel budget. Tutto dipende però dall’affitto, che è anche la spesa più importante da considerare. Nell'area di Cambridge, per esempio, l’affitto di una camera in un appartamento condiviso è abbastanza alto: si va dagli 800 ai 1200 dollari – con punte di 1500 dollari! – e i contratti sono annuali (da settembre a settembre), quindi bisogna tener conto anche della disdetta e della ricerca di un subentrante. Comunque, con un po' di fortuna, nei quartieri confinanti si possono trovare ottime offerte. Io per esempio avevo una camera piuttosto grande con aria condizionata e ventilatore (perché in estate il caldo è quasi insopportabile), lavanderia gratuita senza turni e wifi incluso; pagavo 750 dollari con costi di elettricità stimabili attorno agli 80 dollari ogni due mesi. All’affitto bisogna poi aggiungere la cassa malati svizzera (finché si mantiene il domicilio nel nostro Paese rimane obbligatoria), l’abbonamento del cellulare svizzero (se mantieni il numero) e una carta SIM statunitense – ci sono delle offerte grazie alle quali, se coinvolgi qualche amico, paghi 35 dollari ed è tutto incluso, tra cui gli SMS verso l’estero».

Oltre alle spese fisse, cos’altro bisogna considerare? Qual è il costo della vita nell’area di Boston?
«Le possibilità sono molte e anche qui dipende dalle esigenze e dalle pretese di ciascuno, ma si può dire che il costo della vita è comparabile a quello svizzero. Se fai spesa in un supermercato come Market Basket è possibile ottenere molto con pochi soldi, ma il discorso è differente in un Wholefood dove la qualità è superiore, ma aumentano anche i prezzi. In base alla zona di residenza si può considerare la possibilità di muoversi con i mezzi pubblici, ma nella maggior parte dei casi è consigliabile l’acquisto di una bicicletta, un casco e (soprattutto) un grosso lucchetto, perché il numero di furti di biciclette a Boston è molto elevato. Rimangono poi le spese legate al tempo libero e ai viaggi nei fine settimana o durante i giorni festivi (a swissnex Boston valgono sia le festività statunitensi, sia quelle svizzere) per esplorare i dintorni. A pochi giorni dall’arrivo a Boston, per esempio, ho vissuto un periodo di quattro giorni sotto Pasqua in cui gli uffici erano chiusi e i miei coinquilini erano partiti per trascorrere la festa in famiglia. Una cosa che ho imparato è che se uno si ferma e non fa nulla, viene assalito dalla malinconia e dalla nostalgia, così ne ho approfittato per fare un po’ di acquisti e scoprire qualcosa di nuovo».

Com’è invece andata dal punto di vista professionale?
«Benissimo. Fin dal primo giorno sono stata catapultata in un mondo fatto di delegazioni politiche ed economiche, ospiti internazionali, eventi da organizzare e start up da conoscere. Lavorare per un consolato scientifico è stimolante e ho imparato molto da settori all’avanguardia come le biotecnologie e la robotica. È impressionante il potenziale che si sprigiona da questo epicentro di talenti e cervelli, a pochissima distanza da centri accademici importanti come l’Harvard Business School o il Massachusetts Institute of Technology (MIT). Tutto va veloce, nel giro di due o tre mesi una persona può capire se la sua trovata può sfondare o se invece è meglio dedicarsi ad altro – e non importa se non ci sono i soldi: la convinzione è che se un’idea vale, troverà la sua strada. Gli appuntamenti in settimana sono molto numerosi e ci sono state settimane in cui non ho mai aperto il frigorifero di casa, talmente ero coinvolta da tutte queste iniziative. Basta iscriversi e presentarsi; anche se si è da soli, è facile conoscere molta gente».

È così facile attaccare bottone?
«Altroché. Ho notato una grandissima apertura da parte di tutti. Penso che faccia parte della cultura statunitense, se si considera che nei negozi al posto del solito “buongiorno” ti accolgono con un “come va?” Per loro è una domanda formale, ma è già segno di un interesse che va oltre la convenzione, come dimostrano gli stessi commessi quando si complimentano per il tuo aspetto o ti chiedono dove hai comprato la borsa. Anche le espressioni enfatiche tipiche dello statunitense medio hanno il potere di darti energia, di trasmetterti un’attitudine positiva e (qualche volta) di dare una scossa alla giornata. Le caffetterie, per esempio, sono piene di giovani che lavorano al computer e non hanno problemi ad aprirsi con te, a rivelarti su che cosa stanno lavorando; là è evidente che la condivisione di un’idea è un arricchimento per tutti, non ha senso chiudersi e mantenerla segreta. Ho per esempio incontrato un giovane che sta promuovendo una sua scoperta, uno strumento che potrebbe rivelarsi determinante nella lotta alla tubercolosi e cambiare la vita di molti in tutto il mondo. E aveva solo 24 anni! Analogamente, nei parchi e nei giardini pubblici è possibile incontrare persone che perseguono idee molto diverse e svolgono ogni genere di attività: dalle classi di yoga a chi suona la chitarra, dalla gente che dipinge a quella che legge e scrive. Ognuno pare a proprio agio nell’esprimersi per quello che è, senza aver paura di essere giudicato dai passanti. Persino io, che in Ticino non mi sono mai allenata in spazi pubblici, ho praticato karate su quei prati, con la massima libertà».

Come hai trovato il Ticino, al tuo rientro?
«Ovviamente le dimensioni ridotte del nostro territorio giocano un certo peso nella valutazione, ma su alcuni aspetti ho notato un’arretratezza davanti alla quale basterebbe veramente poco per migliorare le cose. Penso per esempio alla limitatezza delle reti wifi o alla difficoltà per accedervi, anche in posti insospettabili come una biblioteca. Anche gli ambienti in cui è possibile incontrare altre persone in cui discutere di innovazione e idee imprenditoriali scarseggiano, così come il numero di eventi organizzati periodicamente da enti pubblici o privati».

È anche per questo motivo, se stai guardando a Zurigo per la ricerca di un lavoro?
«Io non ho nulla contro il Ticino – anzi, sono convinta che un giorno potrebbe essere il luogo in cui crescere una famiglia, ma oggi non è ancora quel giorno. Ho voglia di lanciarmi in un ambiente dinamico e internazionale che solo una città di dimensioni maggiori come Zurigo può darmi. Affrontare ricerche di mercato, assistere al lancio di nuovi prodotti, lavorare nel project management… L’offerta è molto più ricca al di là del Gottardo e, in più, avrò la possibilità di affinare ulteriormente il mio bagaglio linguistico. Ecco perché parto, senza però dimenticare da dove vengo».

 

Per saperne di più:

(Intervista raccolta nel febbraio 2016 da Mattia Bertoldi)

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