Centro di dialettologia e di etnografia

4 non mancò di fare da traino a quel processo coltivando (e non solo fornendo) la stessa ti- pologia di immagini (si pensi allo scugnizzo napoletano, al gondoliere veneziano, ai Can- terini di Romagna da cui derivarono il nome i Canterini del Ceresio fondati nel 1932). Attraverso Roberto Leydi venimmo invece a sapere innanzitutto che la bandella è un fe- nomeno localizzato nella zona dei nostri la- ghi, una pratica strumentale di campagna assolutamente originale, anche se il reperto- rio di ballabili a cui fa riferimento è di città. Imparammo inoltre che la specificità popolare non sta solo e sempre nella struttura costitu- tiva di tali espressioni, ma anche nei modi e nei comportamenti, a volte solamente nella “pronuncia” di messaggi musicali che il tem- po ha alterato (in un certo senso corrompen- doli), sollecitandoci a coglierne la verità al di là dell’univocità delle stratificazioni formali (e quindi di senso) presenti nello stesso prodot- to. In particolare tale manifestazione, radica- ta nella pratica di strumenti a fiato ridotta in piccoli organici chiamati a suonare “da ballo” ancora viva alla nostra latitudine, vi ha assun- to un valore particolare in quanto sopravvi- venza di un’abitudine che sotto altri nomi (bandino, fanfarino, quintétt ) era diffusa in vaste zone dell’area alpina e prealpina italia- na fino all’Ottocento. Proprio Leydi in quegli anni Settanta era impegnato a valorizzare il Concerto Cantoni fondato a metà Ottocento nel parmense dal suonatore di flicorno Giu- seppe Cantoni, una formazione di strumenti a fiato composta da 10-11 esecutori in quegli anni ancora attiva tanto da essere ospitata in un’edizione dell’Autunno Musicale di Como. In fondo si trattava di una bandella allarga- ta, sorta in ambito campagnolo per rendere fruibile alle classi subalterne la musica da bal- lo di origine urbana (valzer, polca, mazurca, ecc.) fino ad allora presente solo nelle case dei nobili e dell’alta borghesia che potevano per- mettersi di assoldare i musicisti. Tale pratica si diffuse rapidamente nelle feste contadine che si svolgevano in occasione dei raccolti (mie- titura e vendemmia) e delle sagre paesane. La novità da essa rappresentata riguardava il passaggio dai balli “saltati”, collettivi (giga, furlana, trescone, monferrina, ecc.), a quelli moderni di coppia di origine cittadina. Tale fatto spiega il motivo per cui per molto tempo tale pratica non godette dell’opportuna con- siderazione e dei necessari approfondimenti. Lo scoraggiava la visione schematica impostasi agli inizi presso gli indagatori del mondo po- polare, tesi alla ricerca della pretesa autenti- cità del messaggio, tendendo ad escludere ciò che si rivelava prodotto di contaminazione tra realtà distinte e diverse. Non è quindi un caso che la bandella si sia imposta all’attenzione di Roberto Leydi proprio come riflesso di una realtà in movimento, nel quadro di un’evolu- zione meritevole di essere colta nella sua di- namica (principio di cui metodologicamente si dovrebbe sempre tener conto in questo cam- po di ricerca riferito a una realtà caratterizza- ta dalla mobilità, estranea alle formalizzazio- ni e calata nel continuo divenire del vissuto). A questo punto dovremmo chiederci come

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