Centro di dialettologia e di etnografia

5 mai tale tradizione si sia conservata alla nostra latitudine, mentre è praticamente scomparsa nelle aree italiane settentrionali. Qualcuno ha fatto risalire il fenomeno al contributo degli emigranti, come segno di attaccamento al pa- ese d’origine che a tale sodalizio assegnavano la funzione di tenere vivo il senso comunita- rio, oltre che giungendo ad alimentarlo con innesti provenienti dalle esperienze acquisite attraverso i più recenti modelli urbani in fatto di gusto e di abitudini. Una spiegazione più convincente si affaccia se poniamo mente alla pratica delle bandelle come ramificazione della realtà della banda, che in Ticino noto- riamente prese piede parallelamente alla sua costituzione come cantone, cioè in quanto Stato, per certi versi ad esso integrata. Va ri- cordato quindi che la Svizzera moderna fu co- stituita nel quadro napoleonico, sulla base del principio di cittadinanza, della legittimazione proveniente dal basso affermata dai diritti ac- quisiti attraverso la Rivoluzione francese. In proposito è importante rilevare che a Pa- rigi, già all’indomani della presa della Basti- glia, un ufficiale di basso rango fu incaricato dalla Guardia nazionale di organizzare un complesso musicale destinato a condecorare le cerimonie che da quel momento in poi si susseguirono a mobilitare i cittadini, chiamati attraverso tali occasioni a prendere coscienza della sovranità conquistata. Bernard Sarrette (in seguito nominato capitano), come diretto- re dell’ Institut national de musique deputato alla formazione degli strumentisti della Guar- dia nazionale appunto (ma poi anche delle bande del nuovo esercito di popolo), diventa- to poi il Conservatorio di Parigi, con la collabo- razione di compositori quali François-Joseph Gossec, Étienne Nicolas Méhul, Charles-Simon Catel e di Luigi Cherubini con i loro inni, mar- ce e pezzi celebrativi, diede vita al repertorio chiamato ad animare le adunanze civili della nuova realtà repubblicana, un repertorio non a caso per orchestre di fiati. A quel punto non si trattava più di una dipendenza simile a quel- la che ai musicisti derivava dal servizio presta- to ai poteri dell’ ancien régime , come abbelli- mento fastoso della sua immagine irradiante la grandezza ammutolente del sovrano che si imponeva per grazia di Dio, bensì di un lega- me in grado di raccogliere lo slancio della co- munità nell’edificazione della realtà repubbli- cana, intesa appunto come partecipazione del popolo alle scelte che avrebbero determinato il suo destino. La banda ne diventò la voce, non solo e non tanto nel senso che il suono degli strumenti a fiato si apparenta a quel- lo della voce umana per lo stesso principio di fonazione, quanto per il fatto di costitui- re essa una manifestazione alternativa, nella misura in cui gli strumenti ad arco nella loro delicatezza decorativa recavano il segno dei sussiegosi e a volte vacui modi aristocratici. La franchezza della sonorità della combinazione di legni e ottoni, i primi dal suono penetrante e i secondi dalla vibrante e severa monumen- talità (in un orientamento comunicativo aper- to sui grandi spazi delle piazze e dei luoghi di riunione all’aria aperta), si qualificò quindi fin da principio come espressione del nuovo

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