Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana

276 fALéiRA fALÍ dalla fonte biaschese, che pone l’accento sul deperimento e sull’emaciamento fisico con la pelle che aderisce alle ossa, le quali consentono di individuare più precisamente la patologia nella coriagine [4], potrebbero delineare una pista etimologica diversa, ovvero quella di un deriv. di  fala1 (v. in particolare l’accezione blen. di ‘depressione, cavità’ al par. 4.4.) o di  falá‘sbagliare; mancare’, la quale troverebbe supporto in alcuni svolgimenti semantici tra i continuatori francesi del lat. fALLĕRe ‘venir meno a; far cadere, ingannare’, per cui cfr. i norm. failli ‘dimagrito’, angioino fallir‘perdere la propria bella cera, impallidire, dimagrire’, falli ‘macilento, dimagrito; malaticcio, languente’, dip. del Maine failli ‘dimagrito, malato’, pittav. failli ‘debole, gracile, mingherlino’, vallon. fali ‘ansante, col fiato grosso, senza fiato’ [5]. – Le var. fanèira di Semione e frenèira di Biasca si spiegano per dissimilazione di l-rin n-r, mentre la prima r della var. biasch. è inorganica e di intrusione secondaria [6], forse per raccostamento ad altro elemento difficilmente individuabile. B i b l.: [1] MAGGineTTi-LuRATi 98. [2] MAGGineTTiLuRATi 98. [3] DRG 8.178-180, DeCuRTinS, niev voc.sursilv. 367, Voc.Surm. 82; ReW3234. [4] PeTROCChi 1.610. [5] feW 3.387. [6] ROhLfS, Grit. 1.333. Galfetti FALÉSPA (falšpa) s.f. Ramoscello secco e sfrondato, stecco, fuscello. Va r.: faléspa(circ. Mesocco, Cauco), falèspa(Soazza), falispa(Roveredo Grig.). 1. Ramoscello secco e sfrondato, soprattutto di abete, usato per accendere il fuoco: té sú un pò da chélen faléspen par pizzá el fégh, raccogli un po’ di quei ramoscelli secchi per accendere il fuoco (Soazza), e s pò gnanca passá, perchè l’é tutt pién de faléspen, non si può neppure passare, perché è tutto pieno di ramoscelli secchi (Mesocco). – Per similitudine, a Mesocco, ramo brullo, senza foglie. 2. A Cauco, pagliuzza, festuca. Voce di etimologia incerta e discussa. Per il MeyerLübke si tratta di una formazione che continua con diversa uscita il lat. tardo fALŭPPA(M) ‘pagliuzza, ramo - scello, scheggia, residuo’ [1], per cui v.  falòpa. Diversamente il Salvioni la colloca, seppur cautamente, insieme ai derivati variamente suffissati del lat. tardo *fALLīVA(M) per il class. fAVīLLA(M) ‘scintilla, favilla’, individuati dal flechia [2], cfr.  falispa: i suoi dubbi sembrerebbero essere unicamente di tipo fonetico (la tonica édella forma di Soazza da lui citata non dovrebbe riflettere una ī), ma non si esprime sul meccanismo semantico in virtù del quale si è giunti al trapasso da ‘scintilla’ a ‘stecco, fuscello’; l’oscillazione semantica fra questi ultimi compare comunque anche in altre voci sin.: v., per un analogo processo metonimico, i casi di  scalizza‘scheggia, truciolo di legno’ (Soglio, Stampa), ‘favilla, scintilla’ (Poschiavo) e varispa ‘favilla, scintilla’ (Lug.), ‘stecco di legno’ (Gravesano). B i b l.: [1] ReW 3173. [2] SALViOni, GSLi 47.377, Scritti 3.117, fLeChiA, AGi 2.341-343. Galfetti faléta  fala2 FALÍ (falí) v. fallire. V a r.: falí, falii; falír (SopraP.). 1. Generalmente nei sensi veicolati dal corrispondente termine italiano [1]: quèll ch’a fa a ne l pòrta mina in di banch, ch’a pò magari falii, quello che guadagno non lo deposito nelle banche, che possono magari fare fallimento (Sonogno [2]), par diventá miglionari bisögna falí almén sètt vòlt, per diventare milionari bisogna fallire almeno sette volte (Viganello), a vint ann séva pién da débit, a vintǘn püssée ancamò, a vintidüü parléman nò, a vintitrii quasi falii, a vent’anni ero pieno di debiti, a ventuno ancor di più, a ventidue non parliamone, a ventitré quasi fallito (Capolago); – l’èra una bèla idéa, ma l’é falida da bèll principi, era una bella idea, ma è naufragata fin dall’inizio (Mesocco [3]). 2. in un’accezione obsoleta, sbagliare, peccare (Mesocco, SopraP.): el pò capitè a ognún de négn da falí in la vita, gh’é nissún de perfètt in chèst mónd, può capitare a ognuno di noi di sbagliare nella vita, non c’è nessuno di perfetto a questomondo (Mesocco [4]), v. inoltre al par. 4. 3. Modi di dire, locuzioni 3.1. La dita Pogiòli l’è falida, la ditta Poggioli è fallita: si dice, con uno scherzoso gioco di parole sul verbo pogiá ‘appoggiare’, a una persona che sta sempre addosso, che ha l’abitudine di appoggiarsi a un’altra, per invitarla a staccarsi (Lug.), cfr.  dita, par. 3.2.; – ta falissat piǘ!, non fallisci più!: commento ironico rivolto a un genitore aiutato da un bambino in un lavoro (Melide). 3.2. Andá falíd, andare fallito: fare fallimento (Leontica, Rossura, S. Abbondio), trá falíd, mandare in fallimento, far fallire (Sonvico). 3.3. Falí cui danée, fallire coi soldi (Lugano), … cui sòld in piraca, con i soldi in tasca (Chironico), falii con la bórza piéna, fallire con la borsa piena

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