Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana

333 FARǗ FARǗ lavano, gli uomini intagliavano stecche o collari, si commentavano i fatti del giorno e prima di mangiare le castagne si recitava il rosario (Sonogno [2]), che buna spésa i braschér e lan farüda, che buon cibo le caldarroste e le ballotte (Bondo [3]). Per cuocere le ballotte, le castagne vengono immerse intere nell’acqua bollente, eventualmente addizionata di un po’ di sale; solo alcuni corrispondenti segnalano che ne veniva preventivamente incisa la buccia. Per praticità ed economia potevano venir lessate unitamente a patate o rape. Si aveva cura di scegliere frutti sani e di una certa dimensione, e alcune varietà (a Lugaggia i verdés, a Colla i salvadegh, a Cabbio i pinch) si prestavano meglio di altre alla lessatura; tipicamente destinate a questa preparazione erano le castagne che cadevano spontaneamente dalla pianta: i crudèll i scampa mía scí, … cüi a i duperâun a fá i farǘd, le cascaticce non si conservano a lungo, quelle le usavamo per preparare le ballotte (Ponto Valentino [4]). Tolte dall’acqua, e per ulteriormente insaporirle, potevano venir poste nel forno ad appassire. La loro preparazione e il conseguente consumo potevano essere tradizionalmente legati a particolari scadenze calendariali, come le festività dei Santi e dei defunti all’inizio di novembre; a Verscio, al grido di i è chécc i farú?, sono cotte le ballotte?, i ragazzi giravano per le case facendone richiesta la sera del giorno dei Morti. In alcune località venivano preparate la sera del giorno di S. Silvestro (31 dicembre) in modo da poterle elargire ai bambini che si presentavano il giorno seguente per la questua di capodanno. A Cavigliano venivano distribuite a parenti e amici con noci e nocciole la vigilia delle nozze, mentre a S. Vittore, al termine della trebbiatura del panico, il proprietario usava offrire agli aiutanti no bronżada de farú e om goterlètt de nostranéll, una padellata di ballotte e un goccio di vino nostrano. Nel Poschiavino le ballotte preparate il primo di maggio erano considerate efficaci nella prevenzione delle febbri [5]. A Cavergno póm e farǘ, patate e succiole, costituivano la vivanda usuale in tempo di Quaresima, presentata a titolo consolatorio coi detti póm e farǘ, ti t mèli pǘ, patate e ballotte, non ti ammali più, e póm e farǘ, ca vött da pǘ?, … cosa vuoi di più? Durante il tardo autunno, a Giornico appunto detto témp di farǘd, tempo delle ballotte, le castagne lessate venivano consumate nei prati mentre si sorvegliava il bestiame al pascolo. Le ballotte si mangiano incidendone direttamente la scorza con i denti e poi spremendone la polpa: tetè lan farüda, succhiare le succiole (Castasegna). Anche se üm bòtt i farǘ i fasèe past par ra pòura sgént, e i canaia i gh’avèe sèmpro piégn i scarsèll, un tempo le ballotte costituivano pasto per i poveri, e i ragazzi ne avevano sempre piene le tasche (Biasca [6]), le castagne lesse sono considerate di scarso valore nutritivo: i farǘd i faminga pâst, le ballotte non fanno pasto: non bastano a saziare (Leontica); questo anche perché, rispetto agli altri metodi di cottura, una parte del frutto va inevitabilmente persa insieme alla scorza: frǘ mèzz perdǘ, mundèll brüsighèll, steiád tütt quistád, ballotte mezze sprecate, caldarroste bruciacchiate, mondine tutte acquistate: godute interamente (Grancia); come tali, sono destinate a esaurirsi rapidamente: ferǘ, ferǘ, quand ca i è bón a gh n’è piǘ, ballotte, ballotte, quando sono buone sono già finite (Bosco Lug.). I diversi tipi di preparazione, alternantisi nei tre pasti quotidiani, non bastavano a contrastare la monotonia alimentare indotta dal consumo quasi esclusivo di castagne durante certi periodi: témp de castégn, a fénn tré vòlt el dí castégn: la matín perèd de chi che mundénn la siri, ul dí bras’c e la siri farúd, iscí par cambiá l menǘ, durante la stagione delle castagne, le facevano tre volte al giorno: la mattina le mondine che sbucciavano la sera prima, a mezzogiorno caldarroste e la sera ballotte, tanto per variare il menù (Chironico [7]); ara matígn a mai pelèi, a mesdí bras e ra sèra farǘ, alla mattina mangio mondine, a mezzogiorno bruciate, alla sera ballotte (Biasca [8]), la matina mondèll, a mesdí peradèll, ala sira farǘ, gh’ò na fam che pòdi piǘ, al mattino caldarroste, a mezzogiorno mondine, alla sera succiole, ho una fame da non resistere (Rovio), ala matina peradèll, a mesdí brüsadèll, ala sira téti farǘ, a Mücc a végni piǘ, al mattino mondine, a mezzogiorno bruciate, alla sera succhio ballotte, a Muggio non vengo più: lamentela delle donne ingaggiate dai proprietari delle selve castanili per la raccolta e nutrite di sole castagne (VMuggio [9], v. anche castégna1, par. 18.). 2. Altri significati, traslati 2.1. Farǘ (Pedrinate), braschèr farüda (Castasegna), caldarroste poco toccate dalla fiamma, a cui riesce difficile levare la scorza. 2.2. A Biasca, nell’uso al singolare, farǘa, individuo insulso, sciocco [10], pure attestato come soprannome di famiglia [11], il quale ricompare nel nome locale i Piant dro Farǘa, selva castanile [12]. 3. Locuzioni, paragoni, modi di dire 3.1. Faruden in camisa, ballotte in camicia: mondine (Soazza), faruden de spósen, succiole di spose: castagne fresche lessate dopo averne inciso la buccia (Soazza). – AMelide, con la tradizionale processione votiva autunnale alla chiesa della Madonna d’Ongero di Carona, si festeggia la Madòna

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