Centro di dialettologia e di etnografia
182 DENEDAA DENEDAA nella seconda metà dell’Ottocento a Camorino, una volta come primo nome, un’altra come secondo [396]; alcune testimonianze in più emergono da spogli ine- diti riferiti allo stesso periodo e da altre fonti, quali un elenco di nomi attestati a Sonogno negli ultimi tre se- coli, che registrano anche la presenza dei diminutivi Natalino , raro, e Natalina , un po’ più frequente; in un corposo libro mastro del 1757 di Giovan Battista e Pietro Soldati, fabbricanti di paste e commercianti con un bacino d’utenza che si estendeva al Mendri- siotto, al Basso Ceresio e ai paesi lomb. limitrofi, il nome è registrato un’unica volta a Meride e a Gene- strerio [397]. in italia, dove ha goduto di una discre- ta diffusione fino agli anni Trenta del Novecento, è in regresso, pur comparendo tuttora qua e là su tutto il territorio nazionale [398]. – il deriv. natalín , riferito a individuo nato il giorno di Natale (par. 4.), è atte- stato pure per il mil. da Cherubini, per Tirano da Bo- nazzi, per il piem. da Sant’Albino e da Gribaudo-Se- glie, che aggiunge anche il significato di ‘numero 25 alla tombola’, e per il mantov. da Arrivabene, che re- gistra inoltre l’accezione di ‘sorta di pane impastato con olio e pepe che si fa per Natale’ [399]; in alcune lo- calità del veneto il nome designa il ceppo di Natale o una pasta dolce in forma di stella di mare preparata per la festività [400]. – L’augurio scherzoso bónn fèst e bun Natál e bóna carna d’animál ‘buone feste e buon Natale e buona carne di maiale’ (par. 1.8.), è pre- sente anche nel mil. di fine Ottocento [401]. Per la sen- tenza di Mendrisio e Minusio relativa alla durata della vita (par. 1.17.1.) cfr. il gen. va tanti agnelli a Pasqua quanti bêu a Dënâ ‘vanno tanti agnelli a Pasqua quanti buoi a Natale’ [402]. Per il proverbio se l fa bèll el dí de san Gall, al fa bèll fin a Natál ‘se fa bello il giorno di S. Gallo, farà bello fino a Natale’ (par. 1.17.3.1.), è in- teressante il commento fatto da Cherubini all’equiva - lente lomb.: «pronostico di tempo, spesso fallace, il quale però tra le genti di Brianza frutta un bel privi- legio alle donne, poiché se nel giorno di San Gallo il tra- monto del sole è sereno le chiavi del granajo sono af- fidate alla moglie capoccia ( a la resgiora ); mentre s’è torbido le serba il capoccia stesso per indicare neces- sità di risparmio» [403]. Nella massima di Cimadera Natál l’è bén viste a fiocá ‘a Natale la neve è ben vista’ (par. 1.17.3.2.), l’assenza della rima induce a ritenere che la forma moderna Natál sia subentrata al posto di una precedente variante più arcaica uscente in -á (cfr. nelle vicinanze, a Sonvico, Dinadá ). Per le sen- tenze che fanno riferimento al freddo prima e dopo Na- tale (par. 1.17.3.5.) si vedano anche le varianti piem. ( Prima ed Natal el freid a fa nen mal, da Natal an là el freid a l’é passà ) e mil. ( Prima de Natal fregg non fa; dopo Natal fregg s’en va ) [404]. La festa e le tradizioni del Natale sono frutto di un intreccio di usi e di una pluralità di motivazioni. Fra le consuetudini più radicate nel tessuto sociale e di cui ancor oggi si ha testimonianza, vi è quella di porre sul fuoco un grande ceppo (par. 1.9.1.): una delle prime descrizioni di questa pratica in area it. è contenuta in una lettera scritta in Lunigiana nel 1338; in area lomb. compare nel Quattrocento fra le tradizioni in uso presso la corte dei visconti e degli Sforza [405]. La tradizione viene interpretata con la necessità di for- nire calore alla Sacra Famiglia, ma in realtà essa ha radici ben più lontane: c’è chi vi vede una permanenza di riti agrari di fertilità, chi vi legge una sopravvi- venza dei fuochi solstiziali, chi una reminiscenza di antichi culti del focolare, chi infine ritiene il fuoco del ciocco una fonte di luce e di calore per i morti che tor- nano sulla terra [406]; Cattabiani ne sottolinea invece il valore cristiano, con il ceppo simbolo di Cristo, sa- crificatosi per salvare l’umanità; per questo dovrebbe bruciare per dodici giorni, equivalenti, con chiara al- lusione, ai mesi dell’anno: la sua azione benefica sa- rebbe stata in tal modo garantita fino al successivo Natale [407]. Stando a una fonte, in valtellina, a dif- ferenza di quanto riportato nella parte centrale di questa trattazione, a porre il ciocco sul fuoco sarebbe non il padre o il nonno, bensì la mater familias [408]. – Anche altre componenti sono state spiegate come re- sti di pratiche o credenze pagane: così le luci, che le testimonianze dialettali riconducono all’ambito cri- stiano (par. 1.9.6.), secondo alcuni avrebbero avuto lo scopo di accogliere gli spiriti dei defunti, riscaldandoli e illuminando loro il cammino, secondo altri sarebbero dovute servire per tener lontani i demoni [409]. Pure i falò accesi in questo periodo, e anch’essi messi in re- lazione con la Sacra Famiglia (par. 1.9.2.), rientre- rebbero in più antichi riti purificatori, propiziatori e apotropaici [410] e c’è chi ipotizza che anche il car- bone, prospettato come punizione ai bambini che non Fig. 82. «i depositi di tutte le stazioni sono zeppi di pacchi accatastati alla rinfusa, che contengono tutti chissà quante belle e buone cose» (da illustrazione tic. 22.12.1934).
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