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421 DÍBLa DÍCC 1382, DELI 2 488,494, B attagLIa 4.890, 4.955-956, D E M aurO 2.712,732, N OCENtINI 348, rEP 563. [7] Cfr. r OhLFS , grIt. 1.338. [8] DESF 2.637, C OrtELazzO 477, a zzOLINI 393, C hEruB . 2.47, rEP 563. [9] M ENEguS t aMBurIN , Diz. 74. Galfetti DÍCC (d G: ) s.m. Doccio, canale o più generi- camente sistema di condotti, nel quale si faceva defluire letame diluito per concimare i pascoli montani (Soazza). Indica propriamente una roggia scavata nel terreno, profonda dai 20 ai 50 cm e larga dai 40 agli 80 cm, derivata da un torrente, che faceva parte di un antico sistema irriguo usato fino agli inizi del Novecento per fertilizzare i prati e i fondi privati in montagna. Serviva a farvi de- fluire il letame prodotto sugli alpeggi, dopo averlo diluito in una fossa o in una vasca, per convo- gliarlo verso gli insediamenti montani sotto- stanti, dove il liquame ( grassa del dócc ) veniva di- stribuito sui fondi dei singoli proprietari per mezzo di una serie di condotti secondari (≠ trócc ) regolati da paratie: gh’éva el dócc … i ciapava la grassa dént a l’alp, e con l’aqua in tum bui i tru- sava sú e i la iviava fòra per sto canál, e dòpo i la mandava pé sgiú , c’era il doccio, prendevano il le- tame all’alpe, lo rimestavano con l’acqua in una concimaia e lo immettevano dentro questo ca- nale, e lo convogliavano poi giù [verso i monti in- feriori] [1], de setémbro, prima de scargá, i néss òmen … i preparava el dócc scavóo in tel terégn per fá stá dént l’aqua. Dòpo i scuminciava dai ticc in scima a voltá sciá l’aqua in tel bui dela grassa e pé, cun i rastéi de fèr, i lavurava a tirá dént ste grassa int el dócc , in settembre, prima di scen- dere dagli alpeggi, i nostri uomini preparavano il doccio, scavato nel terreno per farvi scorrere l’acqua. Quindi incominciavano dalle stalle in cima a deviare l’acqua nella fossa del letame e poi, con i rastrelli di ferro, lavoravano a convo- gliare questo letame diluito nel doccio [2], i faséva um pò de buiatt per fá ná fò la grassa; i faséva sú i papòtt e, quand i gh n’éva sciá assée, i tirava sú l’assétt e i lavurava péi con la palen a fá ná fò la paciòca , formavano dei piccoli pozzi per diluire il letame; facevano le poltiglie e, quando ne ave- vano abbastanza, levavano l’assicella e lavora- vano poi di badile a fare uscire la fanghiglia [3]. Le operazioni di concimatura si svolgevano a turno tra i vari proprietari, in base a un ordine stabilito, che veniva annunciato di volta in volta da un ragazzino: l’èra tutt organizóo … I cumin- ciava magari i Michée a fá fò la sóua, alóra i nava e i spandéva in chèll di Michée. Cand i finiva chèll di Michée, rivava l’órden e i cuminciava el nòss, alóra i stopava el dócc di Michée e i nava sgiú in tel nòss próo, dòpo i nava sgiú a chèll di Bertóssa … Cand i cambiava, gh’èra sémpro m bastrucch che nava denanz a visá che adèss l’è de cui e de cui , era tutto organizzato. Cominciavano ad esempio i Micheli a spargere il loro [letame], allora andavano e concimavano il fondo dei Mi- cheli. Quando finivano con quello dei Micheli, arrivava l’ordine e cominciavano con il nostro, ostruivano allora il doccio dei Micheli e andavano giù nel nostro prato, dopo andavano in quello dei Bertossa. Ogni volta c’era sempre un ragaz- zino che andava innanzi ad avvisare che adesso era il turno di questi e di quelli [4]. Per superare avvallamenti o altri ostacoli naturali (pietraie, corsi d’acqua, pareti rocciose) si impiegavano dei condotti ricavati da tronchi di larice [5]. Durante il suo utilizzo il doccio veniva costantemente con- trollato per evitare la formazione di occlusioni che avrebbero potuto causare il trabocco del flusso e la dispersione del prezioso liquame: sul dócc, ògni na centéna de méter gh’èra na guardia che Fig. 111. Parte del condotto di un dócc sui pascoli montani di Soazza (archivio del Centro Culturale di Circolo a Soazza).

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