Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana - Fascicolo 96

3 DÒTA DÒTA rare e la salute (Viganello); bóna ra dòta, ma püs- sé bóna r’ecunumía , va bene la dote, ma vale an- cor di più la parsimonia (Grancia); la pòrta ra dò- ta in süra facia , porta la dote in faccia: è povera ma bella (Certara), per cui v. anche al par. 4.2. Al momento delle nozze la ragazza doveva portare con sé anche il corredo, chiamato in ge- nere ≠ schérpa , consistente in mobili, bianche- ria, abiti, articoli di toeletta, talvolta anche una piccola somma di denaro. Alcuni fra i corrispon- denti del VSI testimoniano tuttavia un’estensio- ne del termine dòta a designare anche il corredo. Il corrispondente di Cavergno riferisce che la dote ordinaria, nelle famiglie contadine, consi- steva nel corredo nuziale, in una vacca e in un numero proporzionato di capre. Sempre all’inizio del Novecento, in Verzasca, la futura sposa recava in dote una pecora e un cassone in cui riporre la biancheria preparata da lei stessa [13]; ad Auri- geno, la dote poteva consistere in una vacca o nel suo equivalente in denaro [14]; a Comologno, una ragazza poteva portare in dote il necessario per avviare la casa e poi, nell’imminenza delle nozze, ricevere anche una vacca da vendere in modo da poter acquistare i vestiti e i confetti [15]; a Li- gornetto, la sposa recava in dote una cassapanca contenente il corredo; al suo interno, il mobile di- sponeva di un piccolo scomparto in cui conservare il denaro o, per le giovani che lo possedevano, il li- bretto di risparmio [16]. In Val Verzasca (ma an- che nella Valle Onsernone), in alcuni casi i geni- tori concedevano alla figlia di abitare in una casa di loro proprietà [17]. La dote poteva a volte essere costituita da un appezzamento di terreno o di bosco lasciato dal padre alla figlia: dá ra dòta in lögh , dare la dote sotto forma di fondi (Sonvico), danée r’a gh n’éva miga; e r gh’a dai in dòta tanta bèla campagna , denari non ne aveva; le ha dato in dote tanta bel- la campagna (Grancia). Il corrispondente di Grancia osserva che non si usava dotare una ragazza con beni extradota- li (altrimenti detti beni parafernali), poiché le fa- miglie erano in genere di modeste condizioni; qualche volta, però, un tòcch da campagna, na sèlva, un bósch , un tratto di campagna, una sel- va castanile, un bosco, potevano tornare in ere- dità alla moglie da uno zio ecc., e allora quei bo- schi si dicevano föra dra dòta , o anche ròba súa , o ancora sorapi® dra dòta , beni parafernali, pro- prietà sua, sovrappiù della dote. Talvolta, se la famiglia non disponeva di li- quidità sufficiente, la figlia stessa cercava di ra- dunare una piccola somma; ancora nei primi de- cenni del Novecento, ad Aquila, prima di sposarsi la maggior parte delle giovani lavorava presso la fabbrica di cioccolato Cima Norma di Dangio, per racimolare qualche soldo onde acquistare la tela per il corredo [18]. Allude a questa prassi an- che una filastrocca in cui una giovane si impegna a lavorare per procurarsi da sé un minimo di corredo nuziale: «vött che ta marida, che no gh’ò Fig. 1. Costituzione di una dote di 900 lire da parte di «Giacomo figlio di Giacomo lo Storno de Bignasco in Val- lemaggia» a favore di «Giovanna del quondam Gulielmo di Giacomo di Begnudino» (Bignasco 1718, Archivio patriziale di Bignasco, doc. n. 2.4; fot. F. Luisoni).

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