Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana
147 ÈRA ÈRA gli stessi in due file parallele con le spighe rivolte verso la linea centrale; si procedeva quindi alla trebbiatura con il correggiato, che poteva durare anche diversi giorni e coinvolgere diverse famiglie che si aiutavano vicendevolmente [10]; dopo la battitura si separavano i covoni di paglia trebbiati da utilizzare come strame, foraggio, lettiera o per riempire il pagliericcio: finíd da batt, ul prim lavór l’ère fá sú i s’célz; dòpo s ciapava la scóa da éire, l’ère na scóa facia cun di bròpp ded pèscia, e sa scuvava víe tutt i spigh rótt; e dòpo a s tirava nzéme la biava e la s metève n di sacch , finito di trebbiare, il primo lavoro era comporre i covoni di paglia; dopo si prendeva la scopa da aia, era una scopa fatta con dei rami d’abete, e si scopavano via tutte le spighe rotte; e dopo si radunava la segale e la si metteva nei sacchi (Sobrio [11]); la suddetta scóa da éire , corta, larga e piatta, fatta di rami secchi legati in- sieme, era utilizzata anche durante la ventilazione, per spostare la pula e radunare i chicchi [12]. Nelle valli di Blenio e Leventina, dove si usava il metodo di trebbiatura sopradescritto, vigeva il diritod’éira (Leontica), dirituded l’éra (Calpiogna), diritto d’aia/ dell’aia: di trebbiare la segale davanti all’impalcatura piantata su terreno altrui. 1.1.2. In Mesolcina la trebbiatura all’aperto, a cui si affiancava quella al chiuso (v. al par. 1.2.1.), aveva luogo su prati e terreni assodati nei pressi dell’abitato, nelle corti delle stalle o negli spazi an- tistanti i fienili; a S. Vittore prima si battevano i mannelli di segale, uno dopo l’altro, in un locale chiuso e poi si ribattevano più mannelli insieme all’aperto: mètt giú l’éra , preparare l’aia stendendo sul terreno teli di tessuto grossolano. In alcune località della valle e del vicino Bel- linzonese, si trebbiava anche sulla striscia di ter- reno incolto in capo al campo ( cavezzaia ); aGor- duno, per esempio, su tale spazio coperto con dei lenzuoli, si disponeva il miglio sul quale si faceva girare un bue che con il calpestio degli zoccoli li- berava i chicchi dalle pannocchie. Sempre inMesolcina, come anche a Bironico e a Rovio, [13] è inoltre documentato l’uso di treb- biare il grano saraceno sui campi, diversamente dai cereali e dal panico che venivano battuti in am- bienti diversi ; a S. Vittore si trebbiavano in cam- pagna anche l’orzo e, raramente, la segale. 1.1.3. Nel Mendrisiotto e in alcune località del Luganese era uso trebbiare nel cortile situato da- vanti o inprossimità delle abitazioni o fra gli edifici di una masseria; a Balerna, secondo quanto rife- risce il corrispondente, l’aia era cinta da muri o siepi. Il pavimento era di lastre di pietra o in terra battuta, talvolta anche di sassi o cemento; prima della trebbiatura veniva opportunamente prepa- rato versandovi del letame bovino, mescolato con acqua e talvolta argilla, che una volta secco creava una superficie dura, compatta e liscia: fá l’èra (Ba- lerna), impegá l’éra coi buásc fai f in l’aqua (Me- ride), assodare l’aia con lo sterco bovino sciolto nell’acqua, incredá , picá l’èra , assodare l’aia con l’argilla, batterla per renderla piùdura (Pedrinate); aMendrisio tale superficie veniva pressata con un rullo [14]; a Muggio si copriva l’aia antistante la casa con dei teli [15]. La trebbiatura si eseguiva con il correggiato [16] o con il carro ( caregiá , par. 2.): a Castel S. Pietro si faceva girare un carro trainato dai buoi sulle spighe disposte in cerchio da cui i chicchi fuoriuscivano grazie al calpestio degli zoccoli e alla pressione delle ruote [17]. 1.1.4. AdAscona, Losone ( balcón , par. 2. e fig. 11) e Lavertezzo è documentato l’uso di trebbiare sotto i portici; ad Ascona l’ èra del paese era costi- tuita dal porticato patriziale con il pavimento in pietra, il cui utilizzo veniva annunciato dal pulpi- to e di cui gli abitanti del comune potevano ser- virsi pagando una tassa giornaliera. A Rovio si trebbiava nello spazio antistante la casa, talvolta coperto da una tettoia: sü pai lòbi al sa métt o n mòta o destendüü, segónd cumè l’è sécch, se fa da büsgn al sa slarga f, e al sa lassa par quai dí; al sa portava p in da l’éra damenamán che l sa baté- va , nelle logge si mette [il frumento] o ammuc- chiato o steso, secondo il grado di essiccazione, se necessario lo si sparge, e lo si lascia [lì] per alcuni giorni; lo si portava poi nell’aia man mano che lo si batteva. 1.2. Trebbiatura in un ambiente chiuso La consuetudine era diffusa nel Bellinzonese, in Riviera, in Vallemaggia, nel Locarnese, nel Luga- nese, a Cabbio e a Muggio e nel Grigioni italiano. Fig. 24. Attorno a una porzione di terreno compatto su cui si eseguiva la trebbiatura venivano disposti dei teli per evitare la dispersione dei chicchi (disegno su una scheda del corrispondente di Personico per il VSI).
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy MTA1MTg=