Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana
154 ERÁL ERBÁ cato, adibito alla trebbiatura (Grono, Mesocco, S. Maria) [1]; nei primi decenni del Novecento a Gro- no, secondo quanto riferisce il corrispondente per il VSI, tali edifici erano scomparsi e i cereali, fru- mento, segaleeorzo, si battevanoabitualmentenella porzione sgombra del fienile, detta anch’essa lirá . 2. Il termine designa anche il granaio (S. Dome- nica) e il pagliaio (Grono); – aMesocco indica inol- tre una piccola costruzione annessa alla stalla e usata come ripostiglio o dispensa. 3. A Poschiavo la voce definisce il tavolato al- l’interno del fienile su cui si esegue la trebbiatura [2] e la sponda che lo delimita [3]; – nella stessa località vale anche ‘pancone, grossa asse dello spes- sore di circa dodici centimetri’. 4. Toponimi Irá , prato con costruzioni (Aquila), Irá del Ga- sparón , prato (S. Maria), Lirá , stalla (Cauco), doc.: « Lirali », vigneto (Grono 1843) [4]. Dal lat. AREāLIS ‘pertinente all’area’ (attestato già in lat. con riferimento allo spazio per trebbiare) con so- stantivazione [5]; – la var. con l - presenta agglutinazione dell’art. determ. masch. – La diffusione del term. nelle valli grig.it . suggerisce l’influssodel rom. iral , impiegato principalmente nel senso di ‘vano per trebbiare all’in- terno del fienile’ ma anche in altri significati, fra cui quello di ‘parete che delimita tale vano’ che si ritrova a Poschiavo (par. 3.) [6]. – Il tipo lessicale emerge co- munque anche in area tic. sia nel toponimo di Aquila (par. 4.) che in alcune attestazioni doc. nelle forme « ay- ral(l)e », « eirale », « erale » [7]: «sedimenunumcumcasa et curte et tecto I et erale et era et topia» (S. Antonino 1237), «domo una… cumporticho et torba una copertis adplodas, cumcurte, tictis tribus et ayralle uno copertis ad paleas» (Bellinzona 1382) [8], «de petia una terre prative viniate, circhumcircha cum ticto uno intus co- perto a plodis, ayralle una similiter coperta a plodis» (Gordola 1547 [9]). – Dai Mat. VSI raccolti fuori della SvIt. si segnala, a Vogogna, ariál ‘porticato o locale an- tistante la stalla dove si ripongono arnesi, paglia e stra- me, sopra la quale è situato il fienile’. B i b l.: [1] H UBER , Histen 47 e n. 3. [2] AIS 1468 P. 58 Leg. [3] Cfr. T OGNINA , Posch. 195. [4] Mat. RTT, RN 1.497,512,520, 2.24, cfr. G UALZATA , Aspetti 51, P ETRINI , Alpi tic. 3.59, T OGNOLA , S. Maria 125, Grono 8. [5] REW 627, LEI 3.1.1027, ThLL 2.499, cfr. FEW 25.1.170, R OHLFS , Ager 29-30. [6] DRG 10.83,86,90, cfr. 96. [7] Cfr. B RENTANI , S.Pietro 1.133,135,142, CDT 1.298, B OSS - HARD , ALomb. 74,271,294. [8] B RENTANI , S.Pietro 1.143, 2.124, B OSSHARD , ALomb. 303,305. [9] M ONDADA , Gor- dola 18. Sofia eralta, -ascia èra 2 ERBÁ (erbá) v. Aderbare. V a r.: aderbè (circ. Airolo), darbèe (Brione Verz., Gerra Verz.), derbá (Medeglia, Sonvico), derbaa (La- vertezzo, Sonogno, Rivera), derbè (Castasegna), derbèe (GerraVerz.), erbá (Grancia), inarbaa (Biasca), inderbá (Savosa), inderbaa (Arbedo-Castione, Gravesano, circ. Breno, Cademario), inderbè (circ. Airolo), inderbèe (Lo- drino), inerbá (Comologno, Stabio, Landarenca, Augio), inerbaa (Roveredo Grig.), inerbè (Giornico, Bedretto, Mesocco). –Do c.: «chi pilierà sterle dela vicinanza non sue a derbare pagi soldi vinti» (Dalpe 1705 [1]). 1. Ricoprirsi, ricoprire di erba 1.1. A Mesocco, appratire, diventare prato. 1.2. Ridurre a prato un terreno (Giornico, Gran- cia, Roveredo Grig.): erbá r camp , lasciar inerbare un campo, convertirlo a prato (Grancia), semnaa om camp arò per inerball a faa prau , seminare un campo arato per ridurlo a prato (Roveredo Grig. [2]). 2. Far pascere erba 2.1. Foraggiare il bestiame con erba, soprattutto dopo la stabulazione invernale, per abituarlo al pa- scolo (Arbedo-Castione, Rivera, Gravesano, Gran- cia, Stabio). 2.2. Qua e là, condurre il bestiame al pascolo, soprattutto dopo la stabulazione invernale: derbè fò la vacca , condurre al pascolo le vacche (Casta- segna), a carénnd’aurii nüi a coménsoma inderbèe i vedéi e i moiatt e domestigái, che i s żèra da salva- digh , a inizio aprile cominciamo ad abituare al pa- scolo i vitelli e le giovenche e ad addomesticarli, perché corrono all’impazzata come selvatici (Lo- drino); adAranno, all’iniziodimaggio, i proprietari di bestiame dovevano ripulire i sentieri dei pascoli e poi inderbaa i vacch , riabituare le vacche a bru- care l’erba e a stare in branco dopo imesi invernali [3] (cfr., in un doc. di Breno del 1855, «li 7 maggio oggi ò cominciato a lasare fori le mie vacche, le ò inderbate ma non vi è nula da mangiare, bisogna mantenerle ancora a fieno» [4]); il bestiame deve essere infatti riabituato gradualmente al pascolo poiché l’erba tenera e fredda primaverile provoca facilmente nelle bestie un’infiammazione visce- rale, l’ arbín . A Comologno si usa inerbá i iulitt , abituare al pascolo i capretti, nel bosco piuttosto che nel prato. 2.3. A Landarenca, in forma pronominale, vale ‘svezzarsi, cominciare a brucare’: chéll vedéll mo a da méttel int ol cansgéll a fall saltá e inerbass , quel vitello dobbiamo metterlo nel recinto all’a- perto per farlo saltare e cominciare a brucare.
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