Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana

157 ÈRBA ÈRBA nèva mía s prim’a mangèe l’èrba , all’incirca dal 24 giugno fino al primo di luglio dovevamo andare a controllare per non lasciare salire [le vacche sul- l’alpe], di modo che non ne andassero su prima a mangiare l’erba (Campo VMa. [17]); non di rado dei muretti segnavano il confine fra il montemag- gengo e l’alpe: i èra m pòst ch’i ciamèva la Sciópa; e [ i ] èra fign s düi müritt ... da sótt l’èra l’èrba dai münt e da sóra l’èra l’èrbadai alp; i pudèvamíanaa s dala Sciópa , c’era un luogo che chiamavano la Sciópa [= chiudenda]; c’erano addirittura duemu- retti; sotto era l’erba dei monti e sopra era l’erba degli alpi; non potevano passare oltre la Sciópa (Campo VMa. [18]). A Prato Lev. toccava ad es. alla società dei vicini aventi diritto di godimento decidere quando si poteva salire al monte: segónd u témp, segónd cum’u marava l’érba, i decidéan tücc inséma; dòpoméssaaPró, inupörti, i ciamavan bògia e s decidéva , secondo il tempo, secondo come marcava [= quanto era cresciuta] l’erba, decide- vano tutti insieme; dopo la messa a Prato, sotto il portico, convocavano la società dei vicini e si de- cideva [19]. La stessa prassi vale per la discesa dall’alpeggio; il bestiame ripercorre le tappe indirezione inversa man mano che viene concesso il libero pascolo, ossia il diritto di pascolare liberamente sui pascoli situati alle quote inferiori: da sòlit s a Cassín i te- gnéan p s i vacch da è ... Al quindas d’aóst i dovéan ní a è cun sti vacch, par podé lassèi ní s l’érba par quan ch’i vegnéan p ndré ded Piòra , di solito su a Cassín [= n.l., insediamento montano] tenevano le vacche di casa [= necessarie al fabbi- sogno quotidiano]. Al 15 d’agosto dovevano tor- nare a casa con queste vacche, per potervi lasciar ricrescere l’erba per quando [le vacche] rientrava- no poi da Piora [= n.l., alpeggio] (Quinto [20]), a Cricch a pudéum lantâi dal dés stémbra fina ... che gh’éra érba. Dòpo niséum a Castréda, ... i dirviva ul tras ul dés d’uciura, fin che gh’éra érba s pudéva las- sâi ná , i bès’c , a Cricch [= n.l., insediamento mon- tano] potevamo lasciarle [pascolare] dal 10 set- tembre fino a quando c’era erba. Dopo ci spostavamo a Castréda [=n.l., insediamentomon- tano], aprivano il libero pascolo il 10 ottobre e fin- ché c’era erba si poteva lasciarle andare, le bestie (Corzoneso [21]). Uno strappo alla regola poteva essere consentito solo in caso di scarsità di erba sugli alpeggi: «non possino discarigare nesuna bo- gia avanti li 20 di setembre ... salvo per tempo con- trario da neve che non possino sostentare la loro bogia et venendo qualche bogia che venisse al mancho di erbba » (Prato Lev. 1672 [22]). Per assicurare la fienagione, al bestiame non è concesso pascolare nei prati destinati allo sfalcio: ra ròda di pévre la durava ... un pò d’autún e fin avrí, perchè dòpo basta, dòpo r’èrba benava lassala vegní sú perchè gh’éva da ná a segala , il periodo di pascolo delle greggi durava un po’ d’autunno e a fine aprile, perché poi basta, dopo bisognava la- sciare crescere l’erba perché si doveva andare a falciarla (Bidogno [22]); cfr. già in un documento duecentesco: «usque ad erbam recolectam vicini de Alivono per istummontemnon debent ire cum bove ... neque cum caballo nisi cum capra» (Oli- vone 1209 [23]). Nel periodo in cui le vacche sono alpeggiate, sui monti maggenghi e nei pressi del paese si provvede allo sfalcio del fieno ed è perciò consentito tenere solo le bovine per il fabbisogno familiare di latte: gh’éva dirito da mandá in di sél- ve una vaca e un levín a mangiá r’èrba dürant or’e- stád. I éva qui vacch ch’i restava a cá d’estád, per- chè i altri ndava s n di arp , si aveva il diritto di mandare nelle selve una vacca e un vitello per brucare l’erba durante l’estate. Erano quelle vac- che che restavano a casa d’estate, perché le altre salivano sugli alpeggi (Sala Capr. [24]). AdAirolo, soprattutto dagli anni Sessanta e Set- tanta del Novecento, quando si cominciò ad avere una maggiore disponibilità di prati perché molti allevatori avevano abbandonato la loro attività, in primavera alcuni di essi non venivano più falciati, bensì vi si lasciavano pascolare le bestie: cèrti préi i vegnivan pasculéi, p natéi dai buásc e iscí; e p i faséum u radasí da érba, che l’éva l’érba ’éva nicc Fig. 31. Il monte maggengo dell’ Uréll (Airolo) in una foto aerea del 1943: il muro a destra dell’insediamento delimita i prati dai pascoli attraversati da diversi sen- tieri per il bestiame (Ufficio federale di topografia swisstopo).

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