Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana

172 ERBÈI ERBÈI dra), arbéi confinèe lá , piselli cucinati nel tegame (Brissago); v. inoltre da una lettera che un emi- grante di Maggia scrive nel 1855 alla famiglia dal- l’Australia: «la minestra è fatta con brodo pieno di vermini e marcio, e piselli, che sono nel nostro dialetto arbelg [sic]» [5]. 2. Taccole, varietà di piselli dai baccelli teneri e commestibili (Aurigeno, Intragna, Brione s. Mi- nusio, Rossa). 3. Altri significati 3.1. A Chironico, lenticchie. 3.2. A Gandria, ceci. 3.3. A Loco, arbéi , fave. 3.4. A Landarenca, arbigli , varietà di fragole. 4. Al singolare, con uso traslato 4.1. A Poschiavo, chicco di grandine. 4.2. A Poschiavo, bambino piccolo e vispo: l’é n’arbéglia da ün , è un frugoletto [6]. 4.3. Quantità minima (Malc.): tant cóme on’ar- béa , tanto quanto un pisello [7]. 5. Locuzioni, modi di dire 5.1. Erbéi dal piatt , piselli piatti (Viganello), arvi maiatütt (Calpiogna), ervéi mangiatütt (Lo- drino [8]), piselli mangiatutto: taccole. – Erbèi sciatèi , piselli nani, non rampicanti (Gerra Gamb., SottoC.). 5.2. A Rovio, erbéi salvadigh , piselli selvatici: specie di erba simile al pisello che infesta le colti- vazioni di cereali (Rovio); – arbígl salvadigh , segale cornuta, sclerozio della segale cornuta (S. Maria, S. Domenica). – Al sing., erbéa sulvadga , pisello selvatico, cicerchia silvestre: veniva raccolta in grandi quantità per foraggiare le capre (SopraP. [9]). 5.3. Miga véss bónda distinghul fasöö da l’erbèll , non sapere distinguere il fagiolo dal pisello: non essere avveduto, accorto, non sapere il fattoproprio (Viganello). 6. Derivati arbegliòli s.f.pl . 1. Veccia, Vicia sativa L. (Po- schiavo). – 2. Chicchi dei cereali (Poschiavo). 1. Con lo stesso significato, al singolare, anche nella locuzione arbegliòla salvádiga [10]. erbeiè (Palagnedra), arbaglièn , arbaièn (Intra- gna), erbeglièe (Vogorno), erbeièr (Castasegna), er- belée (Viganello) s.m. 1. Pisellaia, campo di piselli, di taccole (Intragna, Palagnedra, Vogorno, Viga- nello). – 2. Pianta di piselli (Castasegna). 1. Chi ch’a vóo un béll erbeglièe, ch’i l mèta da fe- vrèe , chi vuole una bella pisellaia, la semini in feb- braio: proverbio (Vogorno). V. inoltre  erbión Lessotipo invia di estinzione senonaddiritura scom- parso dall’uso corrente, soppiantato dall’italianismo  pisèli , la cui affermazione è legata a fattori commer- ciali [11]. –Origina dal lat. ERVĭLIA ( M ) ‘veccia, lenticchia, pisello’ [12], i cui svolgimenti sono già documentati nel lat. medievale del xIII sec., v. «media caza arbeliarum », «caza I de arbelis » (Arosio 1261 [13]). – Trattandosi di una voce impiegata quasi esclusivamente al pl. con va- lore collettivo (i corrispondenti e le fonti del VSI ripor- tano solo sporadicamente la forma al sing.), non è stato possibile in molti casi accertarne il genere grammati- cale. Per questa ragione le var. lemmatiche sono qui raggruppate inmodo indistinto e non suddivise in base al genere. Sicuramente femm. sono le var. breg. arbéa , arbéia , erbéa , erbéia , le posch. arbégli , arbéi , arbèi , erbé- gli , erbéi , le calanc. arbiglia , arbigli , la mesolc. arbèen (Mesocco), la malc. arbée (Breno), e in base alle anno- tazioni dei corrisp. anche le var. arbéi (sing. arbéia ) di Intragna, arbèi (sing. arbéa ) di CampoVMa. [14] eGor- devio (sing. arbèia ), e la lev. arvéi del circ. di Giornico (sing. arvéia [15]). Di genere masch., per contro, sono le var.mesolc. arbé (Lostallo), arbéigl (Mesocco), calanc. arbígl (S. Maria, S. Domenica), loc. arbégl , erbégl (Mer- goscia, Verz.), lev. arvi , arvi , ervid e, stando alle in- dicazioni degli informatori, anche varie delle forme arbéi , arbèi , erbéi , erbèi , soprattutto d’area bellinz., sot- toc. e mesolcinese. – A Sementina, a Lumino e nel Sot- toC. (ma probabilm. ben più diffusamente) sono docu- mentati come singolari arbéll , erbéll , -èll ‘pisello’, che altro non sono che dei rifacimenti morfologici su erbéi , nei quali la desinenza pl. -éi/-èi è stata reinterpretata come esito pl. del suff. -éll/-èll , in analogia con coppie come fradèll/ fradéi ‘fratello, -i’. – Per quanto attiene alla fonetica: per il passaggio di V > B dopo una cons. liquida ( L , R ), cfr. i casi analoghi di  corbatt ‘corvo, cornacchia’, malba ‘malva’ (generalm.), nerbós ‘nervoso’ (Losone), catèrba ‘caterva’ (Lodrino, circ. Roveredo) [16]. – Le forme lev. del tipo arvi si spiegheranno con il passaggio di é > ö per influenza della cons. (o, a volte, della doppia cons.) labiale attigua [17], per cui cfr., a Pollegio, parżu ‘greppia,mangiatoia’ ( presév ) e fura ‘febbre’ ( févra ), e i lev. böu ‘bere’ ( bev ) e fömna ‘femmina; donna; moglie’ ( fémna ). La terminazione -i nella forma pl. che ne è conseguita ha potuto local- mente essere poi confusa e reinterpretata come esito pl. del suff. locale -u < - ŏLU , come attestano le forme sing. arvu di Giornico e arvu di Pollegio. Lo svolgi- mento ervid di Quinto sembrerebbe richiamare nel- l’uscita il nome di un altro ortaggio, maniud , var. lev. di  menegòld ‘bietole da coste’. – Più problematico è invece l’esito arbé di Lostallo, registrato da Camastral [18], la cui uscita - é può riflettere sia una suffissazione in - ARIU che in - ŏLU . – Per la var. rovái (sing. rovaia ) di Losone, con cambio di presunto suffisso [19], cfr. il

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