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La ‘maratona’ di Cassis

14.09.2017

La Regione, 14 settembre 2017

di Stefano Guerra da Palazzo federale

Stanchezza, solitudine, ma anche invidia, gli attacchi politici, le intrusioni nella vita privata, il difficile rapporto con i media. Il consigliere nazionale ticinese parla delle lezioni imparate in una campagna che ha scelto di gestire da solo e che paragona alla settimana di sopravvivenza alla scuola ufficiali: ‘Chi l’ha fatta non è più lo stesso’. Passaporto, cocaina legalizzata? ‘Non ho ammiccato alla destra, né alla sinistra’.

Ignazio Cassis, ormai dalla sua ha buona parte del gruppo Udc. Sta già lavorando al discorso di accettazione?

Sì, da due settimane. Ma lavoro anche al discorso in caso di non elezione: entrambe le varianti sono nel mio computer. In un caso o nell’altro, è qualcosa che va fatto bene.

Sta anche lavorando ai fianchi i parlamentari degli altri partiti?

I contatti con i colleghi sono importanti, certo.

Anche i socialisti e i verdi, oppure è una partita persa in partenza?

Ho capito subito che non avrei avuto il sostegno ufficiale di Ps e Verdi. Il che non significa che li trascuri. In un’elezione come questa, ognuno dei 246 voti conta: la maggioranza assoluta è di 124 voti, vuol dire 124 parlamentari che votano Cassis. Se tra questi c’è anche qualcuno della sinistra, a me va bene.

In un simile momento della propria vita, a un passo dal Consiglio federale, ci si sente più soli del solito?

Sì. La tensione non me la porta via nessuno. Devo gestire io la serenità interiore. Da qui l’importanza del detto ‘mens sana in corpore sano’. In queste ultime quattro, cinque settimane ho curato molto l’alimentazione, il movimento (quasi ogni giorno vado a correre): è fondamentale per poter dormire bene ed essere presentabile l’indomani. Altrimenti questa tensione può anche sfiancarti.

La campagna per lei è stata lunga e costellata di polemiche. Come sta andando adesso?

È stata molto lunga, in effetti. È cominciata l’11 luglio in Ticino, sono rimasto da solo fino a inizio agosto, quando sono scesi in campo Pierre Maudet e Isabelle Moret. Questo richiede un bello spirito da maratoneta e una buona forma fisica. Ma a oggi non ho bruciature di secondo o terzo grado. Eho superato gli ostacoli:non sempre in modo ottimale, ma non credo di aver fatto errori fondamentali.

Una decina di giorni fa, dopo la decisione del gruppo Plr di optare per un ticket con tre candidati, lei è apparso provato in un’intervista al Téléjournal della Rts: inabituali errori in francese, una dichiarazione avventata («Ci sono troppi migranti in Svizzera»). Ora va meglio?

Siamo alla fine di una maratona, e alla fine di una maratona nessun atleta è fresco. C’è una stanchezza fisica, c’è una stanchezza mentale. Mi accorgo bene che non tutti i giorni ho la stessa capacità linguistica in francese e in tedesco. E in situazioni di particolare stress – come quando ti sta guardando un milione di telespettatori – sei ancora più sotto pressione. Sì, ogni tanto c’è una stanchezza che si riesce a nascondere meno del solito. Probabilmente è stato così quel giorno.

Davvero crede che ci siano troppi immigrati in Svizzera?

La questione migratoria sta diventando una preoccupazione centrale, in Svizzera e in tutta l’Europa: lo dicono anche i sondaggi. Non dobbiamo minimizzarla. In Germania e in Francia è stata sottovalutata, e probabilmente ne vedremo le conseguenze. L’euforia per la globalizzazione degli anni 90 sta scemando, a mio avviso oggi c’è tra i cittadini un bisogno estremamente impor- tante di sicurezza, di radicamento; e la questione dei confini ritrova una dimensione che avevamo un po’ dimenticato negli ultimi due decenni.

Torniamo alla campagna. Qual è stato il momento più difficile sin qui?

Le audizioni di ieri. Lì non sei esposto al giudizio di una stampa aggressiva o accondiscendente, a dipendenza di chi ti interroga, ma a quello di ‘pari’: ai ‘pari’ tu non puoi mentire, perché sanno esattamente quali sono le regole del gioco. Tu non puoi che essere te stesso, testimoniare dei tuoi valori, delle tue convinzioni. E devi trasmettere la sensazione della solidità, pur con la dovuta leggerezza e un pizzico di umore. Sono tutte caratteristiche che i tuoi pari cercano in te per vedere se sei capace di resistere allo stress.

Se seguo la sua logica, allora l’audizione davanti ai ‘suoi’, a Neuchâtel, dev’essere stata la più difficile. Lei al termine ha detto di aver avuto l’impressione di essere stato sottoposto a un interrogatorio di polizia.

Ho usato spontaneamente quest’espressione, che non voleva avere una connotazione negativa. A me e agli altri sono state poste domande del tipo: “Se il partito le comanda di ritirarsi dalla corsa, lei ubbidisce o no?”. Si trattava di capire che disciplina sono disposti ad avere i candidati di fronte, ad esempio, a una candidatura selvaggia o a un ordine di partito. Ma sono solo alcune delle domande che ci sono state poste. Per rispondere alla sua, di domanda: no, ero meno teso davanti al mio gruppo, che presiedo da due anni. Negli altri gruppi non ero mai stato. Devo dire che trovarsi in una sala davanti a 60-70 parlamentari [il gruppo Udc, ndr], è un’esperienza appassionante. Anche perché capisci che ogni gruppo ha una sua cultura di funzionamento.

Diversamente da Pierre Maudet e Isabelle Moret, lei gestisce da solo la sua campagna: come mai?

È stata una scelta consapevole, per inserirmi nella tradizione svizzera. La campagna per il Consiglio federale a mio parere dev’essere improntata alla moderazione, non diventare uno spettacolo pubblico: non siamo una Repubblica presidenziale, dove sono in corsa per la presidenza di una Repubblica nella quale dominerò un mio gabinetto di 29 ministri che porta avanti il mio programma. Sarei invece un settimo del governo federale: vi porterei i valori liberali-radicali, perché sono questi che devo testimoniare, consapevole dell’importanza del principio della collegialità e della concordanza. Perché questa è la Svizzera.

Prima ha accennato al fatto che alcune cose, in questa campagna, le avrebbe potute fare diversamente. Quali?

Aprire la porta ad alcuni giornalisti, in particolare.

In un’intervista alla ‘Nzz’ ha detto che il suo difetto è di essere a volte troppo aperto: è questo che intendeva?

È la mia personalità. Sono una persona di natura gioviale, estroversa, tendo a sorridere e ad accogliere le persone con cui parlo. Sono fatto così, non ci posso fare nulla. Alcune persone lo apprezzano e non ne approfittano, altre invece ne approfittano. Pur avendo dieci anni d’esperienza con i giornalisti a livello federale, non mi sono accorto subito che l’aggressività, la curiosità infinita per tutti i dettagli della vita privata, era così grande in alcune testate. Me ne sono reso conto quando, ad esempio, è nata [sul ‘Blick’, ndr] una discussione interminabile, con tanto di psicologi, sul colore e i disegni del mio divano. Qui si è passato il segno.

C’è chi sostiene che da un’avventura come un’elezione al Consiglio federale non si può che uscire cambiato, indipendentemente da come vada a finire. È così?

Sì. L’ho capito strada facendo. Questa maratona è un po’ come la settimana di sopravvivenza alla scuola ufficiali, a militare: chi l’ha fatta non è più lo stesso. Hai conosciuto altri limiti, hai conosciuto delle potenzialità che altrimenti non avresti mai testato. Hai fatto un passo avanti nella vita, qualunque sia il risultato.

Famiglia di origini modeste, sposato, senza figli, medico, la passione per la musica ecc. C’è qualcosa che finora non è stato scritto di Cassis e che ci permetterebbe di conoscerla meglio?

No. Anzi: è stato scritto troppo, sono state scritte anche delle cose false. Non ho più nulla da raccontare. Del resto non avrei nemmeno immaginato di dovermi raccontare così tanto. In fondo un (aspirante) consigliere federale è un settimo di un governo: che sia appassionato di musica o di quadri, non cambia granché. Ma la brama di queste cose era talmente grande in alcuni media, che ogni tanto mi chiedevo: che cosa ha a che fare tutto questo con un’elezione al Consiglio federale? No, davvero: non ho più nulla da aggiungere. Mi sono accorto anche che si dà fastidio a certe persone: persone invidiose, che vorrebbero essere al tuo posto e ti sparano addosso veleni. L’avevo detto l’11 luglio: ci saranno tonnellate di veleni. Mi sono premurato di coprire la pelle di teflon, parlandone anche con mia moglie, che mi ha sostenuto: il teflon ha funzionato abbastanza bene, ma le assicuro che non è sempre stato facile, soprattutto quando sono stati toccati i miei famigliari.

La rinuncia al passaporto italiano, le parole sull’immigrazione, il fatto di rimarcare spesso di essersi spostato verso destra: tutti ammiccamenti all’Udc?

No, naturalmente. Si tratta dell’evoluzione naturale della mia persona. Non ho assolutamente ammiccato alla destra con la storia del doppio passaporto, né alla sinistra con quella della legalizzazione della cocaina. Mi sono reso conto che non c’è più nulla che possa fare senza che venga rimproverato di voler piacere a qualcuno. Credo che questa sia anche una lezione importante, ancor più importante se dovessi essere eletto in Consiglio federale: fai ciò che tu ritieni giusto per te e non interessarti di quello che dicono gli altri. Decidi e passa oltre.

La storia del passaporto poteva gestirla meglio, o no?

Ho rinunciato al passaporto semplicemente perché così era giusto per me. Non ho fatto alcuna comunicazione al riguardo, se avessi voluto piacere a qualcuno l’avrei fatto. Ho detto quel che ho detto sulla politica delle droghe perché è da quindici anni che la penso così e dico le stesse cose. Questo sono io: prendere o lasciare.

Con lei però il Consiglio federale si sposterebbe a destra: è un dato di fatto.



Non posso dire né sì né no. Non ho mai partecipato alle sedute del Consiglio federale, non ho mai letto un verbale. Tutte queste speculazioni su come hanno votato i nostri consiglieri federali, non so quanto siano vere. I nostri due consiglieri federali mi hanno detto che la stragrande maggioranza delle decisione è presa senza voto. Questa grandissima discussione sullo spostamento a destra o a sinistra del Consiglio federale, francamente non la posso né confermare, né smentire. Quello che posso dire è che io sono di centro-destra, e che questa linea la manterrò anche in Consiglio federale se dovessi essere eletto. Sono liberale dal profilo economico, ma anche sul piano delle questioni di società. Il mio profilo politico è chiaro, la mia linea coerente: l’ho ribadito anche ieri [martedì per chi legge, ndr] nelle audizioni davanti ai gruppi Udc, Ppd e dei Verdi. Ripeto: ho imparato che qualunque cosa tu faccia, falla prima di tutto per te, perché sarai criticato comunque.

Autori

Ignazio Cassis

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