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"Berna parla 4 lingue"

10.06.2010

Allocuzione di Corina Casanova, Cancelliera della Confederazione, in occasione della giornata di studio : "Aspettative e carte vincenti delle società plurilingui" Università della Svizzera Italiana, Lugano, 8 giugno 2010

Egregio Segretario generale,
egregio Decano della Facoltà di scienze della comunicazione,
Gentili signore e signori,
desidero anzitutto ringraziare gli organizzatori per la scelta del tema, per averlo previsto molto opportunamente a qualche giorno dalla decisione del Consiglio federale in merito all'ordinanza sulle lingue ufficiali e la comprensione, e per avermi dato la possibilità di riferirne in questa sede, poiché questa tematica non solo mi coinvolge per ragioni di funzione, ma mi sta anche particolarmente a cuore da sempre.
Il titolo assegnatomi - "Berna parla 4 lingue" - allude anzitutto al plurilinguismo nel quotidiano e vi potremmo rispondere in vario modo: per la Berna federale in senso lato o rispetto al Paese intero, o per la Berna dell'amministrazione federale e il suo funzionamento interno. Per rispondervi, potrei ripercorrere la mia esperienza personale, la rinuncia pressoché sistematica a parlare romancio per poter comunicare con i colleghi in tedesco, in francese o in italiano, evocare aneddoti o situazioni precise ... Potrei anche riproporvi una serie di dati o esaminare con voi un certo numero di meccanismi procedurali, ma credo che, dopo le minuziose analisi del Piano nazionale di ricerca 56 (PNR 56), molto già sia stato detto e commentato.
Preferisco dunque introdurre e affrontare il tema da un'altra angolazione, nell'intento di collocare in una prospettiva più contestuale la nuova ordinanza, cui vorrei dedicare le mie considerazioni finali.

Il 9 dicembre scorso, il consigliere nazionale Ricardo Lumengo ha presentato un postulato intitolato "Encourager la diversité ethnique dans l'administration publique", in cui si chiedeva al Consiglio federale di studiare misure adatte per rafforzare l'assunzione di persone immigrate tra gli effettivi dell'amministrazione federale.

Rispondendovi, il 17 febbraio di quest'anno, il Consiglio federale ha posto l'attenzione su alcuni dati interessanti e poco noti. Risulta ad esempio che, in seguito all'introduzione della nuova legge sul personale federale, avvenuta nel 2002, e grazie alla possibilità di assumere cittadini di altre nazionalità, - senza considerare il personale locale delle nostre rappresentanze all'estero- la presenza di collaboratori stranieri si aggira oggi attorno al 4,1 %, in rappresentanza di 110 Paesi, e significa che nell'amministrazione federale, accanto alle nostre 4 lingue nazionali, vi sono anche locutori di altre 40 lingue diverse, parlate da circa 1000 dipendenti della Confederazione.

Vista da questa angolazione e senza entrare nel merito delle funzioni svolte da queste persone, possiamo almeno rilevare che anche l'amministrazione federale, sebbene in misura ancora molto mitigata rispetto all'economia privata, riflette in modo inatteso ed emblematico l'evoluzione avvenuta nella società intera.

Potrebbe essere una prima maniera di rispondere alla vostra domanda: Berna - la Berna federale - sa molte lingue anche se, per lavorare, ne utilizza in prevalenza solo due.

Su quest'ultimo punto, le cifre parlano chiaro e i meccanismi interni, attentamente esaminati anche dal PNR 56, lo dimostrano.

Sorgono eventualmente nuovi interrogativi.

Sappiamo ad esempio che anche tra i tedescofoni dell'amministrazione federale aumenta la componente di Germanici, ma non sappiamo ancora che tipo di plurilinguismo portino. Che profilo linguistico hanno? Conoscono il francese o l'italiano, oppure sanno solo l'inglese?

Il multilinguismo, inteso come coesistenza di più lingue in seno ad un certo gruppo sociale, è dunque presente non solo nella società ma anche nell'amministrazione federale. Seppur del tutto marginali, oltre che impensabili ancora fino al 2002, i dati che ho evocato lasciano intravedere anche nell'amministrazione i grandi cambiamenti intervenuti nella società negli ultimi due decenni.

Dal rifiuto dello Spazio Economico Europeo agli Accordi bilaterali e la libera circolazione delle persone, dall'accettazione dell'Uruguay Round del GATT all'adesione all'ONU, senza dimenticare le migrazioni legate a conflitti vicini e lontani, la crescita economica della Cina e dei Paesi asiatici, la creazione della zona Euro o la nostra adesione allo spazio Schengen-Dublino, abbiamo vissuto una straordinaria evoluzione in termini di mondializzazione, accompagnata dall'evoluzione altrettanto straordinaria dei mezzi di comunicazione e di Internet.

Quest'evoluzione fa da sfondo a tutta la nostra riflessione in materia linguistica e identitaria, ha influenzato le discussioni sui principali temi che qui ci interessano ed ha accompagnato la lunga gestazione della legge sulle lingue ufficiali e sulla comprensione.

Anche sul piano dei comportamenti linguistici, questo periodo ha determinato nuovi fenomeni: l'euforia della globalizzazione ha modificato l'atteggiamento di molti verso l'inglese; inversamente, una certa reazione identitaria e localistica tenta ora di riportare l'attenzione sullo Schwitzerdütsch e i dialetti.

La scorsa settimana, a Berna, l'onorevole Gendotti ha parlato molto opportunamente di un "prima Buschor" e di un "dopo Buschor", alludendo alla decisione di Zurigo di anteporre l'insegnamento dell'inglese a quello delle altre lingue nazionali (1998-2006). Come ricordate, la decisione ha fatto scalpore e nel contempo ha posto con urgenza il problema in tutta la sua crudezza e novità:

  • cedere, per forza maggiore, alla seduzione della cultura egemone, alcuni direbbero alla monucultura o al mainstream che accompagna il modello americano, e dare la priorità all'inglese per renderci competitivi nel nuovo mondo;
  • oppure reagire alla sfida e affiancare l'inglese alle nostre lingue nazionali, senza sacrificare la nostra identità, ma rendendoci ancora più competitivi sul piano europeo e oltre?

Come sapete, il quesito non ha lasciato indifferenti né il mondo politico, né il mondo accademico.

Sul versante accademico, lo sguardo esterno, analitico e critico, portato dalla ricerca universitaria nei trent'anni circa che ci separano dalla conclusione del Piano Nazionale di Ricerca 21 (PNR 21) -che pure aveva segnalato altri grandi cambiamenti in atto all'inizio degli anni '80 - è stato molto importante.

I recenti studi del PNR 56 (2008-2010) in particolare, hanno permesso di reagire alle decisioni politiche prese nel frattempo, di approfondire le discussioni, di convalidare le basi e le qualità del sistema attuale, ma anche di focalizzare punti deboli e comunque perfettibili, oppure aspetti già performanti che tuttavia racchiudono un potenziale di sviluppo ulteriore.

Questo contributo ha rilanciato la riflessione fra le associazioni culturali, in particolare fra quelle più attente ai temi identitari e federalistici, e in pari tempo ha ridato slancio dialettico al mondo politico e parlamentare, provocando una serie di interventi parlamentari, puntuali e propositivi, che hanno dato un impulso molto utile agli addetti ai lavori, legittimando scelte significative.

Globalmente si è avviata una "dinamica virtuosa" attorno al concetto stesso di plurilinguismo, tale da mostrare che la tematica mantiene una sua forte attualità, scuote, solleva passioni e coinvolgimento, e che non si tratta solo di parole vuote o discorsi pretestuali.

Visto col senno di poi, questo aspetto resta pur sempre un segnale complessivo molto positivo e gratificante.

Sul versante politico, la 'battaglia delle lingue' è stata infatti altrettanto intensa e appassionante, ma per finire ci ha riservato buone sorprese. Vorrei ricordare brevemente almeno due episodi, due punti forti: la legge sulle lingue ufficiali, morta e rinata nel 2004, poi approdata in Parlamento nel 2007 e la Convenzione UNESCO sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, conclusa a Parigi il 20 ottobre 2005 e adottata dalla Svizzera nel 2008.

Dal momento che siamo in sede di bilancio, permettetemi due parole su entrambe e una breve considerazione finale che mi sembra opportuna.

La genesi della legge sulle lingue ufficiali meriterebbe un racconto a parte tanto è 'elvetica', emblematica della complessità del nostro Stato federale e dei sottili equilibri che lo reggono, proprio in questi aspetti culturali e identitari.

Basti dire che l'inizio ufficiale risale al 1985, con una mozione Bundi (85.516) che si preoccupava per il futuro del romancio. Seguirono, come sapete, le discussioni e la votazione sull'articolo costituzionale sulle lingue, l'articolo 116 (116a; 10 marzo 1996), ripreso poi e ampliato nella Costituzione del 18 aprile 1999 (art. 70), con l'aggiunta di un cpv. 4, a sostegno dei Cantoni plurilingui. Nel frattempo, il rigetto dello Spazio economico europeo, nel 1992, aveva drammatizzato i problemi di 'comprensione' tra le regioni del Paese e posto l'esigenza di elaborare una legge non solo sulle lingue ufficiali, ma anche sulla comprensione. Conoscete il seguito: dopo una faticosa preparazione, con il concorso dei Cantoni, il progetto di legge giunge infine in Consiglio federale il 28 aprile del 2004 ed è clamorosamente respinto. Dopo lo sconcerto iniziale e a distanza di pochi giorni, il 7 maggio, Christian Levrat presenta un'iniziativa parlamentare in cui propone di riprendere con pochi ritocchi il testo di legge precedente, affinché il Parlamento lo discuta e se possibile lo adotti. È quanto avviene il 5 ottobre del 2007: la Svizzera ha così finalmente una legge sulle lingue ufficiali e questo grazie alla determinazione del Parlamento!

Parallelamente a queste vicende, erano in corso le trattative per l'elaborazione della cosiddetta 'Convenzione sulla diversità culturale' e la Svizzera vi ha svolto un ruolo particolarmente attivo, unitamente alla Francia e al Canada.

Questo testo, considerato uno strumento capitale per lottare contro la "monocultura globalizzata", è sufficientemente noto e il titolo stesso ne chiarisce l'idea di fondo. La diversità linguistica e culturale vi figura quale valore da difendere, componente identitaria fondamentale, vettore essenziale della cittadinanza democratica, di tolleranza e di rispetto delle minoranze.

Considerate queste finalità, quasi naturalmente - potremmo dire geneticamente - la Svizzera si è dunque schierata per la diversità e per la sua salvaguardia.

Se già la Costituzione del 1999 riaffermava taluni principi fondanti, tanto sul fronte culturale, cito dall'articolo 2: "... per promuovere in modo sostenibile la comune prosperità, la coesione interna e la pluralità culturale ...", fine citazione; quanto sul fronte linguistico: negli articoli 4 e 70, nell'ultimo decennio, seppur dopo accese discussioni e fasi alterne, ci siamo dunque saldamente collocati in una dinamica multiculturale e plurilingue.

La Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, adottata a Parigi il 20 ottobre 2005, è stata approvata dall'Assemblea federale il 20 marzo 2008 ed è entrata in vigore per la Svizzera il 16 ottobre 2008. La legge federale sulle lingue nazionali e la comprensione tra le comunità linguistiche, adottata il 5 ottobre 2007, è entrata in vigore il 1° gennaio 2010.

A questo punto, la seconda risposta possibile, altrettanto innegabile, potrebbe essere: Berna sa che il plurilinguismo significa ricchezza e, malgrado qualche esitazione, decide di difenderlo.

Mi è sembrato giusto insistere su questi due importanti testi, poiché le scelte di fondo e i principi che li reggono improntano anche l'ordinanza appena adottata, ne fanno la forza e chiariscono la linea che il Consiglio federale intende seguire anche per implementarne i tre principali ambiti d'azione.

L'ordinanza decisa venerdì dal Consiglio federale entrerà in vigore il 1° luglio prossimo; comprende 31 articoli, è suddivisa in sette sezioni e segue quasi in simmetria la struttura della legge, per cui vi possiamo effettivamente isolare tre direzioni d'intervento:

  • lingue ufficiali nella Confederazione, trattate nella sezione 1;
  • promozione della comprensione e degli scambi tra le comunità linguistiche, nella sezione 2;
  • sostegno ai Cantoni plurilingui, nonché salvaguardia e promozione delle lingue e culture italiana e romancia, nei cantoni Grigioni e Ticino (sezioni 3, 4 e 5).

Ovviamente non è possibile esporvi tutti i contenuti dell'ordinanza in pochi minuti. Vorrei tuttavia trattare brevemente i due ultimi ambiti citati e poi passare con più attenzione all'amministrazione federale.

I. Scambi e comprensione

L'articolo 70 della Costituzione assegna alla Confederazione e ai Cantoni un mandato globale di politica linguistica, volto a conservare il quadrilinguismo e favorire la comprensione e lo scambio tra le comunità linguistiche. L'ordinanza vi risponde con una serie di misure di promozione del plurilinguismo individuale e sociale, partendo dall'idea che la cultura è frutto di scelte individuali e collettive costanti e si costruisce nell'interazione e lo scambio con gli altri.

Non a caso dunque, si prevede un sostegno rinnovato agli scambi tra regioni linguistiche in ambito scolastico, tanto per gli allievi che per i docenti, raddoppiando progressivamente l'attuale volume da circa 15'000 a 30'000 giovani; ma si vuole anche la promozione delle lingue nazionali nell'insegnamento, con progetti innovativi sul piano didattico atti anche a favorire l'integrazione di alloglotti, e il sostegno a un centro di competenza scientifico per la promozione del plurilinguismo, cui affidare progetti e mandati puntuali e il compito di gestire in rete le conoscenze acquisite. Un sostegno potrà essere concesso anche ad agenzie di stampa, organizzazioni e istituzioni o progetti di enti pubblici che difendono il pluralismo culturale e svolgono attività d'informazione, approfondimento o promozione suprallocale.

II. Sostegno alle minoranze

Con coerenza e determinazione, la diversità culturale e linguistica resta al centro delle preoccupazioni anche riguardo alla salvaguardia e la promozione dell'italiano e del romancio nel canton Grigioni e in Ticino. Su questi due importanti capitoli, il testo attuale abroga l'ordinanza del 1996 sugli aiuti finanziari e ne riprende i contenuti. In questo senso possiamo parlare sostanzialmente di continuità, rilevando tra le novità che l'Osservatorio linguistico della Svizzera italiana vi compare espressamente (art. 24), vi ottiene una meritata visibilità e si colloca in una rete più vasta di centri di competenze.

Venerdì scorso, presentando l'ordinanza, l'onorevole Burkhalter ha parlato di 'grande progetto nazionale', che a medio termine dovrebbe consentire di sfruttare al meglio la ricchezza data da più culture e il plusvalore offerto dalle competenze plurilingui, ivi compreso l'inglese, per rafforzare le nostre chances e la competitività dei nostri giovani sul mercato internazionale del lavoro.

Riferendosi al servizio pubblico, ha aggiunto, questo processo dovrebbe anche qualificare le istituzioni del nostro Paese, in particolare quelle dei cantoni plurilingui, e non da ultimo l'amministrazione federale, che in tal modo dovrebbe divenire un modello.

Vediamo dunque come, e tentiamo di dare una terza risposta al quesito iniziale.

III. Lingue ufficiali nella Confederazione

Le lingue ufficiali nella Confederazione sono trattate nella prima sezione dell'ordinanza con 8 articoli ed è bene aggiungere subito, per chiarire questa apparente sproporzione, che questi articoli non esauriscono la materia, ma sono completati da altre disposizioni presenti solo nella legge (come ad esempio l'articolo 6, sulla scelta della lingua con cui comunicare con le autorità, o il famoso articolo 9, che consente di lavorare nella propria lingua) o in altri atti normativi, come ad esempio quelli sulle pubblicazioni ufficiali o sulle traduzioni, che pure contengono preziose indicazioni operative.

a. Plurilinguismo itituzionale

Il rafforzamento del plurilinguismo istituzionale passa attraverso molteplici misure, diversamente onerose o problematiche.

Merita particolare attenzione, come hanno giustamente rilevato i media e la stampa scritta, l'articolo 7, ossia la rappresentanza delle minoranze in seno all'amministrazione federale, tanto dal profilo qualitativo che quantitativo. L'ordinanza adotta per la prima volta valori soglia indicativi (70 % per il tedesco, 22 % per il francese, 7 % per l'italiano e 1 % per il romancio) e in questo si scosta dalla prassi finora seguita dal Consiglio federale, attenta ai soli cittadini svizzeri residenti, tiene conto delle richieste dei parlamentari, e rivede verso l'alto le cifre, ridistribuendo equamente il 9% circa di "altre lingue" accertato dal censimento federale del 2000. Il tutto è un po' complicato, ma tien conto meglio, e anche per l'amministrazione federale, di una realtà linguistica ormai più complessa e multietnica, come abbiamo visto all'inizio del mio intervento. La misura è accompagnata da altri accorgimenti: si precisa che le rappresentanze latine possono anche superare questi valori soglia (cpv. 3); si chiede un'attenzione particolare nella procedura di scelta e valutazione delle candidature (cpv. 4-5), si vuol seguire l'evoluzione nel dettaglio (cpv. 6) e si istituisce un "delegato al plurilinguismo", incaricato tra le altre cose di vigilare sulle modalità d'assunzione del personale e adottare misure incitative. La legge, dal canto suo (art. 20 cpv. 2), chiede un'equa rappresentanza anche tra le autorità federali e nelle commissioni extraparlamentari.

Un'attenzione particolare è pure riservata al rafforzamento delle risorse attuali, per colmare le lacune ancora esistenti nell'offerta di testi ufficiali in lingua italiana, in particolare quelli che accompagnano le procedure legislative, e soprattuto per migliorare drasticamente l'offerta di testi plurilingui in Internet e nei siti dei dipartimenti (art. 4). Lo sforzo in questo senso è anche più vasto, include un'adeguata offerta di testi in romancio (art. 3), una rinnovata attenzione per la qualità dei testi ufficiali (art. 2), e intende preparare l'amministrazione federale ai cambiamenti in atto, alle nuove forme di trasparenza, alla cittadinanza numerica e alle nuove strategie di comunicazione tramite i media elettronici, viepiù determinanti per la vita politica.

b. Plurilinguismo individuale

Altre risorse volte a rafforzare il volume di traduzione dal francese o dall'italiano verso il tedesco, mirano ad estendere progressivamente la possibilità di lavorare nella propria lingua per un numero crescente di collaboratori (art. 9 della legge). L'obiettivo è ambizioso e va sostenuto anche in altri modi. Primo fra tutti, il rafforzamento del plurilinguismo individuale, con corsi di lingua e formazione, strumenti di lavoro adeguati e infine con una maggiore attenzione ai requisiti di assunzione. In particolare per le funzioni medio alte, in futuro si chiederà la conoscenza attiva di due lingue ufficiali e almeno passiva per la terza (art. 6), con possibilità di perfezionamento nell'anno successivo alla nomina.

Per comodità di descrizione abbiamo distinto i provvedimenti volti a definire e rafforzare il plurilinguismo istituzionale da quelli volti a rafforzare il plurilinguismo individuale. Ovviamente entrambi, in ultima analisi, si completano a vicenda e concorrono a sostanziare la crescita qualitativa e l'evoluzione verso un'amministrazione federale effettivamente muticulturale e plurilingue.

L'entrata in vigore di legge e ordinanza sono l'esito di un lungo periodo di preparazione, segnano un momento di accelerazione in un processo di lunga durata, un momento in cui - per riprendere le parole dell'onorevole Burkhalter - la volontà dell'esecutivo è di nuovo in sintonia con quella del legislativo.

La diversità culturale è ricchezza, certo implica impegno - per lottare contro la soluzione facile o utilitaristica e contro l'indifferenza - ma è ricchezza effettiva, misurabile, individuale e collettiva.

La nostra terza risposta al quesito iniziale può dunque essere:

Faremo tutto il possibile affinché a Berna si parlino almeno 4 lingue!

Vi ringrazio per la vostra attenzione.

 (Foto: Corriere del Ticino/Nicola Demaldi)

Autori

Corina Casanova

Corina Casanova