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Applicare il 9 febbraio: una soluzione sensata

16.12.2016

In Corriere del Ticino, 16 dicembre 2016

Ancorché tormentato, il parto è andato a buon fine. Dopo tre anni di travaglio, l’art. 121a della Costituzione federale ha una legge di attuazione. Diciamo subito, senza infingimenti, che la soluzione legislativa non rispetta il tenore letterale della modifica costituzionale. Non vi figurano infatti né i tetti massimi, né i contingenti. Una scelta voluta dalla maggioranza delle due Camere per evitare di compromettere l’associazione della Svizzera al programma europeo Horizon 2020 che con un fondo di oltre 80 miliardi è di importanza strategica per lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione nel nostro Paese, dunque per la nostra competitività internazionale.
Si fossero adottati tetti massimi e contingenti, non è scontato che l’UE avrebbe disdetto l’Accordo sulla libera circolazione delle persone, facendo così decadere gli accordi Bilaterali 1. Ma la ritorsione dell’esclusione dal programma Horizon 2020 non sarebbe mancata: una perdita dalle conseguenze incalcolabili per la Svizzera.


La revisione della legge sugli stranieri voluta dalla maggioranza del Parlamento è compatibile con il principio della libera circolazione e concentra la sua azione sul mercato del lavoro. Essa favorisce il ricorso alla manodopera indigena, in particolare promuovendo l’assunzione di persone registrate presso gli Uffici regionali di collocamento (URC). Lo fa attraverso tre provvedimenti che scattano, per un periodo limitato, quando la disoccupazione di un determinato settore professionale, ramo di attività e regione economica, si trova sopra la media. Il primo provvedimento consiste nell’obbligo dei datori di lavoro di notificare agli Uffici del lavoro i posti a disposizione; il secondo prevede l’obbligo degli URC di fornire ai datori di lavoro profili professionali adeguati e il terzo stabilisce il dovere dei datori di lavoro di invitare i candidati ritenuti idonei a un colloquio di assunzione. È caduta invece la proposta di obbligare i datori di lavoro a giustificare la mancata assunzione di un candidato: un obbligo gravoso ed inconciliabile con un ordinamento liberale del mercato del lavoro.


Nell’ordinanza di esecuzione, il Consiglio federale potrà stabilire deroghe all’obbligo di notifica, per tener conto della situazione particolare di imprese familiari o di persone che erano già state alle dipendenze del medesimo datore di lavoro. Prima di emanare le disposizioni esecutive, il Governo dovrà sentire i Cantoni ed i partner sociali: a questo punto sarà di fondamentale importanza un’azione coordinata con il Consiglio di Stato ticinese, affinché la situazione specifica del Cantone venga tradotta nelle relative norme. Inoltre il Consiglio federale allestirà periodicamente gli elenchi dei gruppi professionali e dei settori di attività che conoscono una disoccupazione superiore alla media e per i quali vige l’obbligo di notifica agli uffici del lavoro. Le sanzioni pecuniarie per i datori di lavoro che disattendessero intenzionalmente gli obblighi descritti sopra non sono certo indifferenti, potendo giungere fino a 40.000 franchi.
L’attuazione legislativa dell’art. 121a della Costituzione riserva un occhio di riguardo ai Cantoni, specialmente a quelli periferici e di frontiera, come il Ticino: dovessero infatti sorgere problemi rilevanti, in particolare a causa del frontalierato, essi potranno richiedere al Consiglio federale ulteriori e specifiche misure.


A chi obietta che la montagna ha partorito il classico topolino e che questa soluzione legislativa non rispetta la volontà popolare vanno dette almeno due cose. La prima è che quando le iniziative popolari sono scritte male (in modo impreciso, talvolta con disinvolta indifferenza nei confronti degli impegni internazionali della Svizzera) non ci si deve poi meravigliare che il legislatore debba correre ai ripari nell’attuazione (vedi per esempio l’iniziativa sulle residenze secondarie o sull’attuazione dell’espulsione degli stranieri condannati). Secondo: non esiste una volontà popolare di prima classe e una di seconda classe. La volontà espressa da Popolo e Cantoni quando hanno approvato per ben tre volte i Bilaterali non vale meno, solo perché antecedente, di quella manifestata «contro l’immigrazione di massa». Il 9 febbraio 2014 il Popolo non si è pronunciato contro la libera circolazione delle persone, bensì per un pilotaggio autonomo dell’immigrazione e per una preferenza indigena. Il Parlamento nazionale deve spesso attuare obiettivi contraddittori della Costituzione: lo ha fatto anche questa volta, convinto della necessità di preservare i Bilaterali, più volte sostenuti dal Popolo, e rispettando la volontà di introdurre una preferenza indigena. Come ogni legge, anche questa può essere sottoposta al voto popolare tramite referendum. A questo punto il Popolo avrebbe l’ultima parola. Ed è un bene che sia così.

 



 



Autori

Fabio Abate

Fabio Abate

Giovanni Merlini

Giovanni Merlini

Ignazio Cassis

Ignazio Cassis