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«Digerisco le sconfitte e riparto subito» - A tu per tu con la deputata socialista che lunedì diventerà presidente del Nazionale

24.11.2018

Corriere del Ticino, 24 novembre 2018 di Giovanni Galli

Lunedì 26 novembre Marina Carobbio Guscetti diventerà presidente del Consiglio nazionale. Intervista a tutto campo con la futura prima cittadina svizzera: la passione per la politica, gli esordi, la famiglia, il Ticino visto da Berna, il nuovo ruolo istituzionale.

Si sente già addosso il peso della responsabilità?
«Un po' lo sento, anche perché oltre alla mia nomina sono previsti dibattiti importanti e difficili, unitamente all'elezione di due nuovi consiglieri federali. Bisogna essere preparati.»

C'è la possibilità che il 5 dicembre vengano elette due donne.
«Potrebbe essere un momento storico. L'elezione di un membro del Governo è un evento importante a prescindere. Seguirla da presidente in questa particolare occasione avrà un sapore speciale».

Si è sempre battuta per una maggiore presenza femminile in politica. La probabile elezione di due donne non è forse la dimostrazione che le capacità vengono comunque premiate?
«In generale c'è ancora molta strada da fare e purtroppo vediamo dei passi indietro. In Ticino e a Lucerna non abbiamo donne in Governo, nel Consiglio degli Stati molte deputate hanno annunciato di non volersi ricandidare. C'è sempre un tetto di cristallo difficile da superare. Una rappresentanza dei sessi più equilibrata è profondamente democratica e consente una visione più ampia dei temi da affrontare, indipendentemente dal partito di cui si fa parte. Il fatto che anche i partiti di centro presentino finalmente candidature femminili dimostra che le donne ci sono, basta cercarle e sostenerle». 

La sinistra non tende ad usare strumentalmente la questione femminile? Nel 2011 ha preferito Schneider-Ammann a Keller-Sutter. E se un domani l'UDC proponesse Martullo-Blocher?
«La sinistra non ha mai strumentalizzato questo tema. Ha mostrato la via da percorrere, ossia di promuovere le candidature femminili dando loro delle chance reali. Fintantoché non ci sarà una parità effettiva, per avere una donna in Consiglio federale un partito deve presentare due candidate per quel posto. Come abbiamo fatto noi socialisti e come fa ora il PPD. Non penso che delle donne debbano essere elette solo perché sono donne; come per gli uomini contano ovviamente anche le loro proposte politiche. Vedremo quindi al momento opportuno chi e con quali contenuti candiderà l'UDC». 

Il PSS è critico sul nuovo corso della politica estera e su Ignazio Cassis. Come valuta personalmente il suo operato?
«Ignazio Cassis sta rafforzando la presenza dell'italianità nell'amministrazione federale e questo è un passo importante. Su certe scelte di politica estera come PSS però siamo effettivamente molto critici proprio perché la politica estera deve tener conto di quanto avviene attorno a noi. Ritengo che si debba rafforzare la cooperazione allo sviluppo nei Paesi del sud del mondo e non diminuire gli interventi della Svizzera e che la questione migratoria non può essere regolata solo a livello nazionale».

Perché ha deciso di condurre le sedute in italiano?
«L’italiano merita di essere trattato alla pari delle altre lingue nazionali. Nel 2009 Chiara Simoneschi-Cortesi aveva già condotto in parte i dibattiti in italiano. Ora ci sono le condizioni per farlo interamente. Ho trovato molta disponibilità sia da parte dei servizi del Parlamento sia dei colleghi parlamentari. Quelli che lo capiscono sono molti più di quanto pensassi. Questo cambiamento non resterà simbolico. Abbiamo preso decisioni legate al mio anno di presidenza che dovrebbero avere effetto anche dopo». Fa politica a Berna da più di 11 anni.

Come vede il Ticino dalla capitale?
«La politica ticinese è concentrata troppo su se stessa. Deve guardare di più a Berna e al di fuori dei nostri confini. Le grosse decisioni vengono prese a livello federale. Al tempo stesso però, vedo che a Berna resta difficile far capire le particolarità del nostro cantone, soprattutto per quanto riguarda il mondo del lavoro. Il Ticino è confrontato con problemi diversi da altre regioni di frontiera. Certo, ce se ne rende conto, ma si tende anche a dimenticare in fretta. Quello che capita al sud delle Alpi viene visto ancora come un po’ folcloristico ».

A parte i condizionamenti familiari, come è nata la sua passione per la politica?
«In casa abbiamo sempre parlato di politica, con mio padre militante nel PSA e mia mamma attiva nei movimenti femministi. Da piccola mi portavano ai congressi del partito. Mentre gli adulti discutevano venivano organizzate attività per i bambini. Al liceo ho cominciato a frequentare le associazioni degli studenti e all’università ho militato nei movimenti di solidarietà internazionale e femministi. La mia crescita politica è partita appunto dalle associazioni e dai movimenti. Lo dico perché la sinistra ha bisogno di ritrovare queste forme di partecipazione. Non che questa sia la sola risposta alla crisi della sinistra, ma è un aspetto importante. Anche dopo l’elezione a Bellinzona e a Berna sono sempre rimasta attiva, ad esempio, nell’Associazione degli inquilini, nell’Iniziativa delle Alpi e nell’Aiuto medico al Centro America».

Ci sarebbe potuta essere anche la possibilità di presiedere l’USS.
«Fare il presidente di una confederazione sindacale, soprattutto in questo periodo caldo per l’accordo quadro istituzionale, richiede una forte presenza politica. Il ruolo di presidente del Nazionale è diverso. Per questo non ho potuto accettare la proposta di candidarmi».

A proposito di accordo quadro con l’UE, il 2019 potrebbe essere decisivo. Il PS, che diceva di volerlo, ora rischia di essere l’ostacolo.
«Le misure d’accompagnamento ci vogliono e vanno ulteriormente rafforzate. La popolazione ha accettato la via bilaterale solo perché c’erano queste misure. Impensabile metterle in discussione. Il popolo non accetterà mai un accordo se sarà ridotta la tutela dei salari. Bisogna farlo capire all’UE. La Brexit insegna».

Torniamo agli esordi. Nel 1991 l’elezione in Gran Consiglio, seguita l’anno successivo dalla riunificazione della sinistra.
«Ero all’ultimo semestre di medicina. È stata una sorpresa. Francamente non mi aspettavo di essere eletta alla prima occasione. Sono cresciuta nell’ambiente del PSA. Le persone che vedevamo a casa da bambini erano le figure storiche del partito: Pietro Martinelli, Elio Galli, Virginio Pedroni, i coniugi Nicla e Marco Krähenbühl, i Gianferrari, Carla Agustoni, Tita Carloni, Luigi Snozzi e tanti altri. In quegli anni la politica coinvolgeva di più la famiglia».

Che cosa l’ha segnata di più?
«Accanto allo sciopero delle donne nel 1991 e a quello delle officine nel 2008, due momenti particolari. L’elezione in Governo di Pietro Martinelli nel 1987. Ricordo la gente in piazza e i festeggiamenti davanti alla vecchia sede del partito. E poi quando il PS ha riconquistato il secondo seggio a Berna nel 1995, con mio padre affiancato da Franco Cavalli. La perdita del seggio nel 2011, dopo il bel quadriennio trascorso a Berna con Fabio Pedrina, è stato un momento negativo. Un risultato dovuto alla mancata congiunzione con i Verdi. Questo deve far riflettere. In vista delle prossime elezioni federali auspico che ci sia una congiunzione del fronte rossoverde per riconquistare il secondo seggio della sinistra»

In aprile comunque per il PS non si profila una passeggiata.
«Ci sono le premesse per mantenere il seggio in Governo, se solo pensiamo a quanto è stato fatto grazie alla presenza socialista. Il lavoro verrà riconosciuto dalla popolazione. Certo bisognerà darsi da fare».

Come ha vissuto negli ultimi 8 anni la sua condizione di unica esponente di sinistra nella deputazione?
«Mi è capitato spesso di trovarmi da sola. Ma bisogna anche vedere le cose in un altro modo. Se prendiamo la votazione sul raddoppio del San Gottardo, il 37% della popolazione ticinese ha votato contro, eppure ero la sola ticinese a Berna contraria. Il fatto di avere solo un socialista su dieci non risponde sufficientemente ai bisogni espressi dalla popolazione. Al Ticino farebbe bene avere due rappresentanti del fronte rossoverde a Berna».

C’è stata anche la sconfitta sulla cassa malati pubblica nel 2014.
«Certo, è stata una sconfitta dura, ma sono abituata a digerire le sconfitte e a ripartire. Se non altro, delle tre votazioni, l’ultima è stata quella in cui la causa della cassa unica ha raccolto più consensi. Oggi, di fronte all’ennesimo aumento dei premi, credo che sia ancora aumentata nella popolazione la consapevolezza che occorra cambiare il sistema».

L’anno scorso è stato creato centro di consulenza per le parlamentari che possono essere vittime di molestie. Era il caso?
«Abbiamo deciso di prorogarlo per un anno, anche se finora nessuno vi ha ricorso, forse anche perché ha avuto un effetto preventivo. Le donne sono anche più soggette degli uomini ad attacchi sessisti tramite i social network. Ritengo che valga la pena mantenere questo servizio»

Quali sono state le persone che l’hanno ispirata politicamente?
«In primo luogo mio padre, col quale mi confronto spesso. Da lui ho imparato tanto, soprattutto a livello di metodo di lavoro: studiare a fondo i dossier prima di prendere la parola. Non mi presento a un dibattito se non sono preparata. E poi un ruolo lo hanno avuto le figure storiche del socialismo ticinese. Quando ero capogruppo in Gran Consiglio avevo collaborato molto con l’allora presidente Anna Biscossa con la quale ancora oggi anche c’è una bella amicizia».

E a livello federale?
«La figura di riferimento è stata la consigliera federale Ruth Dreifuss, che è sempre stata molto legata al Ticino. Si pensi a quello che ha fatto a livello di assicurazione maternità e di politica in materia di droga».

Come ha conciliato gli impegni politici, familiari e professionali?
«Sono stata fortunata. Mio marito e i miei genitori mi hanno aiutata tanto. Quanto alla professione, col passare degli anni il mio impegno è diminuito. All’inizio lavoravo ancora al 40-50%, poi sempre meno. Adesso ho sospeso del tutto fino al termine del 2019. Ho sempre voluto restare attiva, per tenere i contatti con la gente e per capire quali sono i problemi reali. Non si può vivere a Palazzo federale e pensare di capire cosa succede al di fuori».

Profilata ma mai sopra le righe. La politica gridata non fa per lei?
«Credo molto nel rispetto, sia degli avversari sia delle istituzioni. Il rispetto sarà uno dei temi che affronterò lunedì nel mio discorso. I dibattiti possono essere accesi, ma bisogna sempre rispettare le opinioni altrui. Da lunedì sarà anche il mio compito vegliare su queste cose».

Lei è in Facebook. Che rapporti ha con i social, dove spesso il dibattito deraglia e subentrano aggressività e maleducazione?
«Modero molto il mio profilo. Non faccio tutto da sola. C’è anche chi mi dà una mano. Se ci sono insulti e frasi razziste li tolgo. All’inizio scrivevo anche alle persone che usavano un linguaggio inappropriato. Adesso le stralcio semplicemente. Trovo che comunque i social restino un buon strumento per tenere i contatti con la popolazione. Nel dibattito sulla previdenza vecchiaia c’è stata una forte interazione. Il tema è complesso e molti mi chiedevano spiegazioni. Sono anche su Twitter e, da poco, su Instagram».

Interessi al di fuori della politica?
«La montagna. Mi piace tantissimo andare a camminare. Appena posso vado. Si fatica, ma è anche un modo per staccare e rilassarsi. E poi ho l’hobby della lettura. Dai romanzi ai saggi. Purtroppo durante le sessioni c’è solo il tempo di leggere i rapporti»

Autori

Marina Carobbio Guscetti

Marina Carobbio Guscetti