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Autori: Milko Del Bove
Autori: Mauro Martinoni
Data: 20 settembre 2006

Intervista di Milko Del Bove a Mauro Martinoni, che da poco ha lasciato il suo incarico di capoufficio studi universitari al DECS per andare in pensione

La scuola di oggi, il Ticino di domani

Ricorre quest'anno il decennale dalla fondazione dell'USI: cogliamo l'occasione per discutere su alcuni aspetti dell'educazione in Ticino.

L'Università della Svizzera italiana, istituita nel 1996, ha incontrato paradossalmente maggiori difficoltà in Ticino, nel corso della lunga e travagliata fase della sua nascita, di quante ne abbia avute poi nel farsi riconoscere fuori dai confini cantonali; questa almeno è l'impressione che il cittadino si è fatta. In realtà dietro l'apparente cordialità con cui il Ticino è stato accolto fra i cantoni universitari c'è il lavoro lungo e attento di persone che hanno saputo superare gli ostacoli, le difficoltà e gli attacchi che un'operazione di queste dimensioni ha comportato.

Forse per capire questa apparente anomalia bisogna ricordare come l'USI è nata.
L'USI non è nata a Lugano. Non è nata a Bellinzona.
Non è nata nei salotti buoni degli intellettuali.
Qualsiasi progetto importante necessita la convergenza di piú forze, nello stesso momento: come per l'osservazione di certi fenomeni astrali devono coincidere vari fattori, deve aprirsi una finestra temporale, l'unica che permette l'osservazione.

Perché un progetto complesso come un'università abbia successo ci vogliono convergenze locali, ma soprattutto condizioni nazionali e internazionali.
Le radici dell'USI non sono locali, sono per fortuna molto ampie e traggono linfa da terreni ben piú fertili di quelli locali, costantemente inquinati da piccole polemiche.
La prima radice la dobbiamo cercare a Zurigo, con i contatti personali tra Giuseppe Buffi e l'allora presidente del Politecnico di Zurigo, Hans Buhlmann: si incomincia con la convenzione per il Centro Seminariale del Monte Verità, con il Centro svizzero di calcolo scientifico di Manno e si conclude, sulla base della reciproca stima e fiducia, nel progetto dell'USI.

La seconda radice va cercata a Berna, nella cordiale intesa con l'on Ruth Dreifuss e i suoi collaboratori: un'idea discussa assieme, cresciuta in appassionate discussioni durante la presenza in Ticino per il Festival di Locarno o al Centro di Biologia alpina di Piora, il giorno della sua inaugurazione.
Oppure nel Consiglio delle scuole politecniche federali che dà un mandato all'architetto Botta di preparare un progetto di formazione per architetti: progetto trasmesso nel 1992 al Consiglio di Stato ticinese con la raccomandazione di volerlo concretizzare, perché progetto interessante, ma non compatibile con gli ordinamenti delle scuole politecniche.
O a Pavia, con Roberto Schmid, Rettore dell'Università degli studi, vicino alla realtà culturale ticinese e protagonista dell'USI fin dalla prima ora. O al Politecnico di Milano, o alla Bocconi di Milano. O all'Università di Friburgo o in quella di Ginevra.
Potrei continuare, ma credo basti per dire che la rete di contatti accademici ha assorbito molta parte dei lavori preparatori ed è stata la condizione fondamentale del suo successo.
Le convergenze locali hanno permesso di evitare l'ennesima guerra in famiglia, con la scontata conseguenza di trasformare le rivalità in argomenti scientifici e i pettegolezzi in ideologie: solo le alleanze esterne hanno permesso di trovare il consenso nazionale e internazionale, di affrontare la valutazione di tre commissioni internazionali, di essere riconosciuto Cantone universitario, di collocare l'USI in molte reti di ricerca nazionali e internazionali, di avere il 54% di studenti da fuori cantone, un corpo di docenti stabili provenienti da università svizzere e estere, nominati dopo una rigorosa selezione.
Poteri aggiungere altri dati: chiudo perché si sa che i fatti non hanno mai influito sui teoremi ideologici.
Per fortuna nell'estate del 1995 qualcuno ha capito che si apriva una "finestra temporale" e ne ha saputo approfittare.

Un altro importante elemento di successo è stata la costante preoccupazione di avere una visione globale della politica universitaria: l'USI è stata da subito considerata con la SUPSI, con gli istituti di ricerca, con le borse di studio e in seguito con l'ASP e l'ISPFP: anche in questo sforzo non sono mancate le difficoltà, in quanto è piú facile lasciarsi prendere dal proprio progetto particolare e considerare gli altri come concorrenti o peggio avversari. Salvo qualche momento difficile è prevalsa la collaborazione e la consapevolezza che la concorrenza non si fa tra Lugano e Manno, ma tra la Svizzera come piazza scientifica e il resto del mondo: visti da questa angolazione i conflitti locali si rivelano appunto come tensioni da sciogliere per trovare una soluzione comune.

Lei ha una profonda conoscenza del mondo della scuola: è stato ed è tuttora insegnante e ha vissuto in prima persona l'aspetto forse piú problematico di quel mondo quando ha lavorato con le classi speciali, un eufemismo dentro al quale si nascondono le situazioni piú difficili e gli allievi che la scuola cosiddetta normale non riesce a integrare. Ricordando che lei è stato anche docente alle scuole magistrali, cosa ci può dire della situazione attuale dell'insegnamento in Ticino dal punto di vista di chi vi opera, dei ragazzi e delle famiglie che, con partecipazione o con distacco, ne vivono sulla pelle i benefici ma anche a volte i piccoli drammi personali?

Fare un discorso globale della scuola è molto difficile: posso solo testimoniare di un cambiamento enorme dal 1959, primo anno di insegnamento, a oggi. Ho un nipotino che incomincia la prima elementare a settembre: il giovedí prima sono invitati a scuola per conoscere la maestra e i compagni: forse qualcuno ricorda o ha letto del primo giorno di scuola, con il distacco in lacrime del bambino dalla mamma, quasi andasse in chissà che luogo di tormenti. Il bambino, l'allievo ha sicuramente un posto diverso, la formazione dei docenti molto piú approfondita, l'attenzione alle diversità individuali accentuata: quarant'anni fa nessuno parlava di bambino dislessico, le sue difficoltà lo collocavano tra gli asini, gli eterni ripetenti.

C'è un altro lato della medaglia, come sempre: oggi la scuola ha assunto una importanza molto maggiore che nel passato. Alla fine dell'obbligo il giovane e la giovane trovavano posto di tirocinio in base alla volontà di lavorare bene: quando nel 1960 presentando un allievo per un tirocinio di falegname segnalai che era debole in italiano e in francese, il padrone mi guardò stupito le finestre non si costruiscono mica scrivendo. Temo che oggi lo stesso allievo troverebbe maggiori difficoltà.

Con la sua partenza si chiude anche l'esperienza dell'Ufficio degli studi universitari, i cui compiti sono stati assunti dalla direzione della divisione cultura del DECS: le chiedo di tracciare un consuntivo dell'attività svolta dall'Ufficio e di fare una previsione (o un auspicio) sul futuro del Ticino cantone universitario.

Non mi piace fare consuntivi, quasi si fosse alla fine di un progetto. Per la politica universitaria dieci anni sono un tempo breve, vuol dire che i primi studenti non hanno ancora concluso la loro carriera per diventare professori: non si è insomma ancora creata una scuola, una tradizione.
Abbiamo assistito a una crescita continua dell'USI e della SUPSI: nuove Facoltà , nuovi Dipartimenti, nuovi Istituti: un incremento notevole del volume della ricerca. Non siamo sicuramente giunti alla fine del loro sviluppo: la Svizzera italiana ha cominciato con secoli di ritardo rispetto ai cantoni universitari: sappiamo però che lo sviluppo della formazione e della ricerca è oggi la condizione essenziale per lo sviluppo economico e per il benessere, non solo economico, della popolazione.
Sono convinto che il popolo ticinese e le autorità politiche sapranno dare anche in futuro il necessario sostegno a uno sviluppo che non interessa piú solo un minoranza di persone colte, ma concerne da vicino tutta la popolazione.

Niente consuntivi quindi: ci sembra di capire che per Mauro Martinoni la pensione non rappresenti un punto di arrivo ma una semplice tappa di un cammino che prosegue ancora, come prosegue il suo impegno a vantaggio di quel capitale bene comune rappresentato dall'istruzione delle nuove generazioni. Ci limitiamo a un augurio: buon lavoro.

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