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Autori: Giovanna Ceccarelli
Data: 20 dicembre 2011

La centralità rappresentata dal Natale nel vissuto religioso e in quello popolare si riflette in numerose usanze che, in parte, si perdono tra le pieghe del tempo

Reminiscenze natalizie

La centralità rappresentata dal Natale nel vissuto religioso e in quello popolare si riflette già nelle denominazioni dialettali del mese di dicembre, chiamato més da Denedaa, més dal Bambín o ancora més dala fèsta, il mese della festa per antonomasia. A Brè prende anche il nome di més di regái, quasi un presentimento della recente manipolazione in senso commerciale del Natale (oggi la stagione degli acquisti natalizi comincia addirittura a fine ottobre) a scapito dei valori prettamente spirituali legati a questa solennità.

Dicembre era per più versi il mese dell'attesa, delle aspettative, dei pronostici. Accanto ai contenuti religiosi e all'atmosfera vagamente favolosa e un po' arcana, il Natale era la vera grande festa della famiglia; gli emigranti stagionali ritornavano a casa dopo quasi un anno di assenza, portando con sé i loro guadagni: la ricomposizione del nucleo familiare costituiva, soprattutto per le donne, un fattore di tranquillità e di sicurezza, non solo economica.

L'ultimo mese dell'anno apriva una porta su altre dimensioni, legate all'andamento delle stagioni: in questo periodo i contadini cercavano di predire il tempo che avrebbe fatto nel corso dell'anno, perché da quello dipendeva la loro sopravvivenza; si traevano quindi pronostici per l'anno agricolo in base alle condizioni meteorologiche riscontrate a partire proprio dal giorno di Natale per 12 giorni. Un'altra parte importante delle previsioni concerneva la neve: s'a fiòca prim da Denedaa, la név la dura tutt l'invèrn (Losone), oppure la luna: pòca lüna da Nadá, pòca séila da mangiá, novilunio a Natale, poca segale da mangiare (Tegna). A questa festività si guardava anche come riferimento per l'andamento futuro del carnevale e della Pasqua: Natál al suu, carnevaa al fögh, Natale al sole, carnevale al fuoco (Mendrisio), Natál sul balcón, Pasqua davanti al carbón, Natale sul balcone, Pasqua accanto alla brace (Verscio): se fa bel tempo per Natale, per carnevale (o per Pasqua) c'è da aspettarsi un'ondata di freddo.

Altre credenze si sono sviluppate in ossequio a una concezione "magica" del mondo. Le circostanze legate alla nascita, ad esempio, potevano in parte condizionare la vita dell'uomo: si diceva che i figli nati il 25 dicembre sarebbero stati fortunati; di conseguenza, di una persona fortunata si commentava l'è nessüü u dí da Natál (Palagnedra). Qua e là si riteneva che i nati la notte di Natale non si sarebbero decomposti dopo morti: le ossa del loro scheletro sarebbero rimaste intatte fino al giorno del Giudizio Universale. Svariate altre credenze testimoniano della valenza quasi prodigiosa di questa festa: a Biasca, pare che fosse buona cosa indossare, per Natale, un capo di vestito nuovo per scongiüraa i brütt pianètt, scongiurare i brutti pianeti, ovvero la mala sorte. A Roveredo Grigioni, durante la veglia di Natale i pargoli avvolti in fasce venivano portati all'aperto e per alcuni istanti posati sulla neve o sul terreno gelato, nella convinzione che ciò li avrebbe aiutati a rinvigorirsi e dunque a scampare a lungo.

I materiali, scritti e orali, conservati al Centro di dialettologia e di etnografia consentono di tracciare una mappa significativa delle numerose usanze popolari, spesso fortemente intrise di simbolismo. La sera della vigilia veniva vissuta con particolare intensità, con riti e abitudini leggermente diversi a seconda delle regioni: nella parte occidentale del Sopraceneri, nel Mendrisiotto e in Mesolcina si bruciava nel camino un ramo secco di ginepro dicendo, come a Gordevio, che serviva alla Madonna per faa sciüaa i patüsc do Bambín, fare asciugare i pannolini del Bambin Gesù; per lo stesso motivo in Capriasca si metteva sul fuoco un grosso ceppo di faggio, rovere o betulla che doveva bruciare fino al mattino seguente. La Sacra Famiglia era attesa al pari di un congiunto che stava per tornare a casa dopo un lungo viaggio: a Riva San Vitale (e l'uso è ancora documentato attorno al 1965), in ogni cortile si teneva accesa una lampada per illuminare la via al Divino Infante; in Val Calanca, nelle case si era soliti lasciare acceso un lume per salutare la venuta del Redentore; e nella parte prealpina del Ticino e della Lombardia si rileva l'antica abitudine di collocare, la notte di Natale, tre seggiole davanti al focolare per la Madonna, San Giuseppe e il Bambino, perché la loro presenza avrebbe santificato la casa.

I regali andavano innanzitutto ai bambini (anche se, occorre ricordare, anticamente erano i Re Magi a portare i doni) i quali, prima di coricarsi, esponevano sul davanzale un piatto in cui il Bambín avrebbe lasciato noci, nocciole, un'arancia, un mandarino, qualche fico secco, un grappolo di uva sultanina, un bambolotto di zucchero. A Rovio si appendeva la calza alla catena del camino, mentre a Gorduno il Bambin Gesù legava i doni a un filo pendente sopra la testa del fanciullo. Gli adulti osservavano un rigoroso digiuno e si astenevano da qualsiasi attività lavorativa, poiché chi digiüna miga la vigilia da Natál l'é pégg chi n animál, chi non digiuna alla vigilia di Natale è peggio di un animale (Poschiavo). In questo contesto si inserisce la credenza secondo cui i lavori eseguiti durante la veglia natalizia si sarebbero tramutati in qualcosa di sgradevole: a Brissago le donne non filavano perché erano persuase che quel filo sarebbe poi stato rosicchiato dai topi.

La prima messa prevista dalla liturgia natalizia è quella di mezzanotte. A Stabio, quasi tutti vi partecipavano, poi, all'uscita, a i curévan in ustería, perchè gh'éra l'üsanza da mangiá la büséca e bév in cumpagnía un quai bicér da vin. Anche in altri villaggi era in uso uno spuntino sostanzioso da gustare a notte fonda, chiamato puscéna (Auressio), sabatina (Ronco s. Ascona) o culizzión dra vigilia (Grancia).

Il Natale richiede una preparazione e un raccoglimento particolari che in molte località si realizzavano nella Novena: una serie di nove funzioni religiose, annunciate da un brioso scampanio. Ancor oggi in alcuni villaggi dal 16 al 24 dicembre si suonano le campane secondo modalità diverse. A Morcote l'annuncio è affidato ad alcuni volontari, che si riuniscono all'interno del campanile della chiesa di S. Maria Maggiore, davanti al camino acceso: seduti su panche di legno, si ritrovano assieme ad amici, parenti e conoscenti per una scorpacciata a base di formaggio, lardo, luganighe, salame. A turno i concertisti salgono nella cella campanaria e con le due campane minori eseguono gradevoli sequenze ritmiche che si concludono con il rintocco del campanón. I visitatori, sempre numerosi, possono assistere da vicino a queste suggestive esecuzioni. Poi tutto tace, ma all'interno della torre campanaria le libagioni durano talora ben oltre la mezzanotte.

Le festività natalizie, che si collocano in concomitanza con il solstizio invernale, offrivano anche lo spunto per osservazioni di tipo astronomico: per Natál el dí u se slunga el pass d'un gall, il 25 dicembre le giornate si allungano di un po' (Montecarasso). Una volta superato il giro di boa del 21 dicembre, il percorso diurno del sole ricomincia ad alzarsi sulla linea dell'orizzonte. I popoli primitivi, e quelli pagani poi, associavano questo avvenimento alla rinascita della divinità solare, che veneravano affinché continuasse a dispensare luce ed energia. Il Cristianesimo si è appropriato di parte di questi elementi pagani e li ha rifunzionalizzati: i rituali dedicati al dio Sole vengono assimilati al Natale; l'arrivo della nuova luce è equiparato alla venuta di Cristo, Luce del mondo.