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N1 - 2017

Frontiera

foto Elizabeth La Rosa

Autori: Oliver Broggini
Data: 12 gennaio 2017

«Ci serve un piano per i prossimi decenni»

Il nuovo Cancelliere dello Stato Arnoldo Coduri racconta la sua storia e i suoi obiettivi

Incontriamo Arnoldo Coduri al rientro da una delle uscite podistiche del mezzogiorno, alle quali non rinuncia neanche a pochi giorni dal fine settimana delle feste di Natale. Cogliamo l’occasione per una chiacchierata, a un centinaio di giorni dalla sua entrata in servizio come nuovo Cancelliere dello Stato.

Cancelliere, come è andata la corsa di oggi?

«Ci sono giorni in cui uno si sente di volare e altri come oggi, in cui il fisico semplicemente non risponde. Sono fluttuazioni che uno impara ad accettare, dopo i 50 anni – ma per onestà devo ammettere che neanche in giovane età, da calciatore, ero un gran corridore».

A proposito di fluttuazioni: i recentissimi colpi di scena sul Preventivo del Cantone – il primo che si trova ad accompagnare come Cancelliere – le hanno procurato qualche timore in vista del futuro?

«Certi colpi di testa forse sono l’effetto delle bollicine natalizie… ma, al di là delle battute, credo si sia trattato di inciampi più che di una tendenza che deve preoccuparci. Sul Preventivo 2017 mi sembravano tutti d’accordo e lo considero uno stop tecnico; anche la Legge stipendi del personale dello Stato è considerata un passo avanti, che dota il Cantone di uno strumento di politica del personale al passo con i tempi. Confido che si risolva tutto al più presto».

La parola-chiave attorno alla quale ruota questa edizione di Argomenti è «frontiera»: qual è il primo tema al quale le viene spontaneo associarla?

«Più che a un tema preciso, l’idea della frontiera mi fa tornare alla mia infanzia. Sono cresciuto a Mendrisio, alcuni miei amici sono italiani, e Como e Varese erano le destinazioni normali per le gite del sabato pomeriggio. Anche quello che oggi chiamiamo “mercato del lavoro transfrontaliero” ha sempre fatto parte della mia vita: di dipendenti frontalieri ce n’erano sia nella falegnameria di mio padre sia nella macelleria dei miei zii. Per noi la frontiera è sempre stato un elemento di unione, più che di divisione».

Lei è rientrato nell’Amministrazione cantonale dopo un periodo nell’economia privata: condivide l’impressione che in Ticino sia più difficile costruire ponti fra queste due dimensioni della società?

«È un’idea seducente, che ad alcuni fa comodo diffondere, ma si tratta di un conflitto più percepito che reale: pubblico e privato rimangono complementari, e non possono sopravvivere da soli. È vero che il processo democratico ha “i suoi tempi” – e magari si concede qualche deviazione dal criterio della massima efficienza possibile – ma occorre riconoscere che nessuna forma di libero mercato può prosperare, in assenza dello Stato. Mi sembra che la strategia del Cantone per adeguarsi alle conseguenze della Riforma III federale, sulla fiscalità delle imprese, rifletta bene questo approccio: il Governo ha cercato di avvicinarsi il più possibile all’obiettivo di sviluppare l’economia, ma senza perdere di vista la dimensione sociale».

La sua entrata in carica coincide con la fine di una gestione di eccezionale durata: raccogliendo l’eredità di Giampiero Gianella ha scelto di puntare sulla continuità o sulla trasformazione?

«Per anagrafe, di sicuro non eguaglierò la militanza del mio predecessore, dal quale ho ereditato un’impostazione chiara del lavoro, con valori che dovranno essere portati avanti. Ovviamente intendo aggiungere un tocco personale, legato alla mia esperienza e alla mia filosofia di gestione della cosa pubblica – ad esempio imprimendo un’accelerazione ai progetti che mi stanno particolarmente a cuore, come quelli legati al “Governo elettronico”».

Il Cancelliere è una figura con un mansionario piuttosto vasto. La nuova funzione le ha già riservato qualche sorpresa?

«La più grande sorpresa di questi primi mesi è stata scoprire di non potere accendere lo storico camino della sala del Consiglio di Stato per la seduta pre-natalizia… senza finire affumicati. Ce ne siamo accorti durante la giornata di porte aperte a Palazzo delle Orsoline, il 15 ottobre, e poi abbiamo dovuto occuparci di sistemare la cosa per tempo. In poche parole, posso dire che nel 2017 questo problema non si porrà più…».

Passando ai suoi compiti più noti, uno dei primi passi che ha compiuto consiste nella riorganizzazione dell’Area delle relazioni esterne: come giudica la situazione dei rapporti fra il Ticino e la vicina Italia?

«In generale, il problema delle trattative politiche con le autorità italiane è sempre legato alla complessità dei livelli decisionali oltre confine: per essere chiari, l’interlocutore con il quale parliamo non è quasi mai colui che poi è in grado di decidere. Gli esempi di risultati positivi ottenuti non mancano, ma certamente questo problema di fondo rimane. Ricordo per esempio l’annosa questione delle automobili aziendali immatricolate in Ticino, che corrono il rischio di essere sequestrate in dogana se vengono guidate da un cittadino italiano che rientra nel proprio Paese: la soluzione esiste ed è condivisa da tutti, ma applicarla si è dimostrato un rompicapo quasi irrisolvibile».

E per quanto riguarda le relazioni Ticino-Berna?

«Quest’anno il nostro Cantone ha avuto un’attenzione eccezionale da tutto il Paese, grazie all’apertura di AlpTransit, ma da Berna c’è sempre stata grande apertura verso il Ticino; forse in passato l’abbiamo sfruttata troppo poco. C’era probabilmente una certa resistenza all’idea di spostarsi fisicamente verso nord, per discutere con le autorità federali, ma posso dire che ora le cose sono radicalmente cambiate. Abbiamo Consiglieri di Stato che sono a Berna anche tre volte a settimana, l’Antenna nella capitale lavora bene e i risultati si vedono. Anche la nostra affiliazione alla Conferenza dei Governi della Svizzera centrale è un passo molto significativo: dopo anni in cui abbiamo cercato – spesso invano – di innescare la “solidarietà latina”, ora il primo obiettivo è di tessere relazioni con i Cantoni che ci sono più vicini a livello geografico».

Il 2017 porterà con sé l’impatto di alcune decisioni cruciali prese a livello federale, da quelle sull’immigrazione alla riforma della fiscalità delle imprese. Quale probabilità c’è che queste trasformazioni favoriscano gli interessi del Ticino?

«La crescita economica di questo Cantone è sempre stata favorita da positive relazioni con l’estero, tanto verso nord quanto verso sud. Credo sia fondamentale prendere atto di questa situazione, per uscire da una situazione che oggi è contraddittoria: da un lato cerchiamo di favorire le imprese, adattandoci alla riforma fiscale federale, ma poi limitiamo la loro libertà con nuovi ostacoli tecnici».

Lei ha vissuto un’esperienza di lavoro e di vita come ticinese all’estero. Alcuni temono che entro qualche anno, un po’ come accade oggi in Italia, per i nostri giovani espatriare sia l’unica soluzione per costruirsi una carriera. Condivide?

«Forse bisognerebbe per prima cosa capire se si tratti di una prospettiva che va temuta o accolta come un’opportunità; in ogni caso non siamo ancora in una situazione così critica, perché fortunatamente viviamo in un Paese che continua a creare posti di lavoro. Certo, è innegabile che ai giovani oggi sia richiesta più flessibilità rispetto a venti o trent’anni fa; non esiste più il “posto di lavoro sotto casa e per tutta la vita”, del quale la mia generazione ha senz’altro approfittato. Se la scelta è fra lamentarci e adattarci, io non ho dubbi: è sempre bene osare e provare a uscire dalla propria “zona di comfort”. Per me è accaduto quando si è trattato di partire per gli USA insieme a mia moglie e… un figlio e mezzo; dubbi e momenti di incertezza non sono mancati, ma è stata un’esperienza che alla fine ho scelto e che si è rivelata indimenticabile».

In questi primi cento giorni ha ormai preso confidenza con il Consiglio di Stato e il suo modo di lavorare. Se dovessimo paragonarlo a un’automobile, qual è il primo modello che le viene in mente?

«Un fuoristrada 4x4 molto solido, con motore ibrido: si sta dimostrando capace di superare egregiamente – e consumando poco – tutti gli ostacoli: quelli che trova sul proprio cammino e quelli che ogni tanto… si crea da sé».

Visto che è un appassionato sportivo, potremmo paragonare questi primi mesi a una fase di riscaldamento: quali sono i primi obiettivi che ha potuto individuare per il 2017, quando il suo gioco entrerà nel vivo?

«Beh, a dire la verità il riscaldamento è durato molto poco perché siamo partiti subito forte. Proprio per questo, nel 2017 vorrei riuscire a ricavare qualche spazio di sosta, da dedicare alla riflessione strategica in una prospettiva a lungo termine. A questo Cantone serve una visione per i prossimi 25/30 anni: è l’esercizio che una volta veniva svolto nel “Rapporto sugli indirizzi”, la cui ultima edizione però risale a quasi 15 anni fa. Non sto pensando a un progetto di ricerca colossale, perché gli strumenti statistici e di analisi delle “megatendenze” sono già stati sviluppati, soprattutto a livello federale: per noi si tratterà quindi di ricavare priorità e assi strategici che siano adeguati al contesto ticinese. Sarà comunque cruciale il coraggio per osare, lanciando proposte innovative che ci indichino la direzione verso la quale incamminarci».

Un tema del quale ha già anticipato di volersi occupare è la transizione verso il «Governo elettronico»: quanto è digitale oggi lo Stato?

«Il bilancio al momento è ambiguo: ci sono servizi che si sono mossi in anticipo, con intraprendenza, e altri che arrancano. Quel che oggi manca è di sicuro una regia superiore, che dia uniformità alle prestazioni offerte ai cittadini, e a occuparsene, secondo me, non potranno che essere la Cancelleria dello Stato e il Centro sistemi informativi. Un primo passo per il 2017 sarà l’adozione della firma digitale per le comunicazioni fra i servizi dello Stato, la trasformazione non potrà avvenire senza sforzi: per dare un’idea, il Canton Berna ha previsto un investimento di circa 20 milioni di franchi per il suo progetto di “Amministrazione cantonale senza carta”».

Guardando ora alla situazione internazionale, l’«antipolitica» sembra attecchire un po’ ovunque, anche se in Ticino l’ostilità è spesso rivolta – più che verso i politici eletti – verso i funzionari. È possibile migliorare l’immagine dello Stato?

«L’Amministrazione cantonale è spesso stata oggetto di attacchi frontali ingiusti e irriverenti che ne hanno danneggiato la reputazione. Inoltre una manciata di casi negativi non hanno aiutato a recuperare consensi. È una dinamica tutto sommato naturale, che conoscono bene anche certi ristoratori confrontati a recensioni terribili su TripAdvisor – ma poche disfunzioni non possono screditare il buon lavoro di migliaia di funzionari, così come un cliente scontento non basta per cancellare una stella Michelin..

A proposito di rapporti istituzionali… Come abitante di Maggia, lei conosce bene la realtà di una delle valli ticinesi: anche nel nostro Cantone dobbiamo temere un crescente scollamento fra Città e campagna?

«Parlare di Città e campagna per il Ticino è forse eccessivo, se confrontiamo la nostra situazione con quella della Svizzera tedesca. Nel nostro caso le periferie rimangono un elemento imprescindibile per lo sviluppo delle aree urbane, e non solo per il loro patrimonio di attrazioni naturali; la storia recente ci insegna che certi processi – come le aggregazioni – maturano prima e funzionano meglio nelle valli, che possono quindi costituire un laboratorio dove sperimentare idee innovative, a beneficio di tutto il Cantone».

Come genitore di tre figli adolescenti, le capiterà senz’altro di chiedersi che tipo di Mondo (e di Svizzera) ci stiamo preparando a lasciare loro in eredità. C’è qualcosa che la preoccupa particolarmente?

«Tutte le decisioni che prendiamo avranno effetto sulle future generazioni, e richiedono quindi un grande senso di responsabilità da parte nostra. Ai miei figli auguro di riuscire a non restare con lo sguardo troppo fisso sugli schermi dei loro dispositivi mobili, che offrono sì l’accesso a un universo di informazioni – che alla loro età io avrei potuto cercare solo in una biblioteca, o forse in dieci – ma proprio per questo sembrano nel contempo invitare a restare fermi, come spettatori passivi. Spero che i giovani conservino la voglia di scoprire attivamente la vita, a cominciare dai luoghi che li circondano e che sono pieni di un potenziale che deve essere esplorato».

Abbiamo detto della corsa quotidiana, ma c’è un’impresa per la quale si sta preparando – o un sogno in particolare che coltiva per il suo tempo libero?

«Lo scorso anno ho per la prima volta affrontato una vera scalata, in cordata, sul massiccio del Monte Rosa: la forza del gruppo mi ha infuso quel pizzico di incoscienza giovanile che serve per cimentarsi in certe imprese. Il sogno che realizzerò nel 2017 è sempre all’insegna delle attività all’aria aperta: una settimana di sci-escursionismo in Norvegia, con un gruppo di buoni amici».

Concludiamo con gli auguri per il nuovo anno: per il 2017 il Ticino e i ticinesi cosa possono sperare?

«Mi viene in mente una pubblicità della nostra Agenzia turistica cantonale, che utilizza lo slogan Discover Ticino. È un invito rivolto agli ospiti stranieri, ma forse dovremmo essere i primi a riscoprire i luoghi, i gusti e le tradizioni della nostra terra. Non si tratta di coltivare illusioni di autarchia, ma di capire il valore del radicamento: per me succede ad esempio durante i turni estivi come guardiano della capanna Masnée, un grappolo di rustici ristrutturati oltre i duemila metri, cinque ore di cammino sopra Maggia. Riscoprire la “vita dura” dei nostri antenati ci aiuta a capire certe dinamiche del mondo di oggi, perché non dobbiamo mai dimenticare di essere stati anche noi un popolo di emigranti, non troppo tempo fa – come mio nonno spazzacamino a Parigi, o il nonno di mia moglie cameriere a San Francisco».