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N3 - 2017

appartenenza

Autori: Oliver Broggini
Data: 03 settembre 2017

«Il tiro è parte della nostra società»

Il Segretario generale del DI Luca Filippini è anche Presidente della quarta più grande federazione sportiva della svizzera

L’ufficio del 49enne Luca Filippini, al quarto piano della Residenza governativa corrisponde all’immagine del posto di lavoro di un alto funzionario dell’Amministrazione cantonale. L’unica concessione alla vita privata, oltre alla foto dei due figli, è qualche documento che parla della sua altra grande responsabilità: dallo scorso mese di aprile il Segretario generale del Dipartimento delle istituzioni ha infatti assunto anche la carica di Presidente nazionale della Federazione sportiva svizzera di tiro, organismo che in tutta la Confederazione conta ben 130.000 membri. Abbiamo quindi colto l’occasione per discutere con lui della sua passione, intrattenendoci in una piacevole chiacchierata alla scoperta di una delle più longeve tradizioni elvetiche, non dimenticando alcune questioni di attualità.

E proprio a proposito di attualità, qualche giorno fa sono stati resi noti i risultati del primo censimento ufficiale secondo il quale, in Svizzera, ci sono oggi esattamente 876.000 armi registrate, fra pistole e fucili – anche se il Consiglio federale, nel 2013, valutava il numero reale attorno ai due milioni di esemplari. Possiamo davvero sentirci al sicuro, con tutte queste armi in circolazione?

«Dalla nascita dell’Esercito federale, nel 1874, la Svizzera ha adottato fra i propri principi politici la scelta di consentire ai propri cittadini-soldati di mantenere al termine del proprio servizio militare la propria arma da fuoco, nella certezza che ne faranno un uso responsabile; siamo nati e cresciuti con questa filosofia, che non ha certo impedito di fare del nostro Paese uno dei più sicuri al mondo. Anche le apparenti discrepanze fra le cifre non devono preoccupare: la registrazione è stata introdotta solo nel 2008, e nei prossimi anni anche le armi acquisite prima di quella data, passando di mano, “riemergeranno” nelle statistiche ufficiali».

Luca Filippini, proseguiamo lo sforzo di… seduzione: come convincere chi ci legge che questa non sarà a una conversazione fra «esaltati di guerra»?

«Il tiro è uno sport che, al pari di tutti gli altri, fa parte della nostra società: lo dimostra il fatto che figura fra le discipline riconosciute dai programmi federali Gioventù e Sport. È vero che si pratica con fucili e pistole, però questo non dovrebbe essere un problema in sé; nessuno si sognerebbe di etichettare tutti gli appassionati di go-kart, o delle altre discipline di velocità, come pirati della strada. C’è poi anche un aspetto spesso dimenticato ma molto bello, che riguarda l’unione fra generazioni: lo stand è uno dei rarissimi impianti sportivi dove un nipote e un nonno possono sfidarsi – e dove l’anziano spesso riesce a battere il giovane».

Visto che uno dei temi del momento sono le differenti sensibilità all’interno del contesto federale, cosa può dirci in proposito dal suo osservatorio? Immaginiamo che anche nel tiro l’approccio di svizzero-tedeschi, romandi, romanci e ticinesi si differenzi in modo significativo…

«In effetti il nostro sport non è un’eccezione: all’interno del movimento è ben rappresentata la pluralità di approcci che contraddistingue le regioni del nostro Paese, una ricchezza che va compresa e valorizzata. Per esempio, sappiamo che nei Cantoni piccoli e in quelli rurali – come quelli della Svizzera centrale – il tiro è la prima attività sportiva giovanile per numero di partecipanti, mentre nelle città la concorrenza di altre discipline è molto più forte».

Restando all’attualità, in più parti del Cantone la vostra attività suscita non di rado conflitti con chi vive attorno agli stand di tiro, a causa dei rumori molesti…

«È un problema che condividiamo con altri sport e altre manifestazioni che hanno effetti collaterali, come il rumore o la capacità di attirare grandi folle: pensiamo solo alle discussioni che hanno preceduto il recente passaggio del Rally nel Mendrisiotto, oppure ai dibattiti sugli eventi serali e notturni. Un dato che mi ha molto confortato l’ho trovato in una recente statistica federale sulle attività che la popolazione ritiene più moleste, nella quale il tiro non veniva nemmeno menzionato. È chiaro comunque che a livello locale ci sono situazioni che creano insoddisfazione: a medio termine contiamo però che il futuro Poligono regionale del Monte Ceneri – e un‘analoga struttura nel Locarnese – possano risolvere definitivamente il problema».

Il tiro è una grande tradizione sportiva elvetica, ma è pur vero che non si tratta della prima attività per il tempo libero alla quale pensiamo, come ticinesi: cosa l’ha spinta, quando aveva 12 anni, ad avvicinarsi a questa disciplina?

«In realtà, cimentarsi nel tiro è possibile già a partire dall’età di otto anni, con le armi ad aria compressa. Io mi sono avvicinato per interesse, facendo le mie prime prove con i bersagli a 50 metri allo stand di Cureglia, poi la passione non mi ha mai abbandonato. Negli anni, è sempre stata una lotta con me stesso, uno sforzo per conoscere e controllare al meglio le mie emozioni e migliorare costantemente le mie prestazioni».

Se pensiamo in astratto allo sport del tiro, lo associamo all’individualità più che a una dimensione di squadra. È veramente così, oppure esiste una sorta di senso di gruppo tra chi pratica la vostra disciplina?

«A differenza che in altri sport, nelle forme collettive del tiro si tratta comunque sempre di sommare prestazioni che rimangono individuali: non potrò mai aiutare il mio compagno durante la sua prova. È vero che, comunque, l’armonia all’interno del gruppo ha un proprio ruolo nel favorire i risultati».

Torniamo per un momento alla sua nomina a Presidente della Federazione sportiva svizzera di tiro: si è trattato di un’elezione combattuta o è stato scelto per acclamazione?

«La premessa è che questa nomina è giunta al termine di una lunga gavetta, iniziata a livello locale e poi cantonale, che nel 2010 mi aveva portato nel Comitato centrale svizzero e poi, tre anni fa, alla vicepresidenza. Nello scorso aprile i delegati si erano trovati di fronte a due candidati fra i quali scegliere, e alla fine hanno optato per assegnare la presidenza a un tiratore – quindi un tecnico – piuttosto che a un politico».

Fra le priorità che si è posto come Presidente c’è anche un aumento del coinvolgimento delle tiratrici, che oggi sono circa 15.000 in Svizzera: questa attenzione per la partecipazione femminile è centrale anche nel suo lavoro in Dipartimento?

«Credo che la nostra attenzione debba avere una portata più ampia, per abbracciare non solo le differenze di genere ma anche quelle regionali e generazionali; solo in questo modo è possibile avere risultati che siano maggiori della semplice somma delle parti».

Tracciando un altro parallelismo fra sport e lavoro, lei ha spiegato che quello dei tiratori è un ambiente molto conservatore, che spesso fatica ad accettare l’introduzione di discipline innovative come il Target Sprint, che combina unisce corsa e abilità nello sparare. Promuovere l’innovazione è più difficile fra in una Federazione nazionale o in un’impresa grande come l’Amministrazione cantonale?

«È difficile da dire… In entrambe le realtà mi sono confrontato a volte con una certa staticità, quasi sempre legata all’abitudine più che a cattiva volontà. È nella natura umana, del resto: quando le cose funzionano da tempo in un certo modo, siamo refrattari all’idea di modificare le nostre pratiche. È per questo che considero importante interrogare me stesso e chi mi sta intorno sui motivi che ci spingono a comportarci in un certo modo – perché magari ci sono alternative eccellenti, che aspettano solo di essere scoperte dal nostro sguardo».

È impossibile sfuggire alla dimensione politica, viste le discussioni in corso fra Svizzera ed Unione europea: secondo lei come finirà la vertenza sul diritto di custodire le armi da fuoco?

«La Direttiva sulla quale si stanno concentrando le discussioni politiche è nata come risposta ai tremendi attentati del 2015 a Parigi, ed è purtroppo stata l’unica risposta messa in campo dalle autorità europee. Si tratta infatti di una misura che non avrà nessun effetto sulla nostra sicurezza, perché colpirà solamente chi già rispetta le regole; è infatti evidente a tutti che un criminale non utilizza armi registrate, e quindi non sarà soggetto alle nuove norme. Non posso prevedere come finirà, ma sappiamo che il popolo svizzero ha respinto più volte e in modo chiaro – l’ultima nel 2011 – tutte le proposte che intendevano restringere gli attuali diritti in materia di armi da fuoco. Come tiratori, siamo dell’idea che la legge attuale sia più che sufficiente per assicurare la sicurezza dei cittadini, e che sia sufficiente garantirne il rispetto».

Approfitto di questa intervista per chiederle un commento tecnico su un recente evento bellico, premettendo che ovviamente stiamo esprimendo valutazioni sul contesto geopolitico nel quale è avvenuto. Un soldato canadese, in Iraq, ha stabilito un nuovo primato colpendo un nemico che si trovava a ben 3,5 chilometri di distanza. Può aiutarci a capire quanto sia difficile un tiro del genere?

«Più la distanza aumenta, più si moltiplicano i fattori dei quali occorre tenere conto: il vento, le differenze di temperatura lungo la traiettoria, l’eventuale movimento del bersaglio... Si tratta di elementi molto difficili da stimare, e quindi anche il ruolo della fortuna diventa tutt’altro che trascurabile. Ciononostante, si è trattato di una eccezionale dimostrazione di abilità: non solo del tiratore ma anche del suo osservatore, la persona chiamata a calcolare i parametri in base ai quali effettuare il tiro. Personalmente non mi sono mai spinto oltre i 5-600 metri, che – posso assicurarvelo! – sono già una distanza ragguardevole».

In una recente intervista al Tages Anzeiger lei ha ricordato che il tiro è una passione che condivide con il Consigliere di Stato Norman Gobbi, ma non ha rivelato chi sia il più forte fra voi…

«A dire la verità è un po’ che non gareggiamo l’uno contro l’altro, ma immagino che a questo punto io sia obbligato a cogliere l’occasione per sfidarlo, come sempre sulla distanza di 300 metri. Credo che l’appuntamento ideale sarà il Tiro storico del San Gottardo, al quale parteciperemo entrambi il prossimo 14 ottobre».