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N4 - 2018

equilibrio

«Sempre pronti a intervenire sul suolo cantonale»

A colloquio con Ryan Pedevilla, a capo della Sezione del militare e della protezione della popolazione

Autori: Oliver Broggini
Data: 10 ottobre 2018

Ryan Pedevilla, la Sezione del militare e della protezione della popolazione è un servizio del Cantone che ha davvero molti compiti: come se la cava quando le capita di dovere descrivere il suo lavoro in poche parole?

«Non è facile, anche per la varietà dei nostri compiti: raramente un tema arriva sulla mia scrivania per due volte. Con una formula accattivante, potrei perciò iniziare dicendo che – per quanto riguarda la protezione della popolazione – siamo formatori e “factotum” a fronte di qualsiasi evento straordinario che intervenga su suolo cantonale Cantone: flussi migratori, epidemie umane o animali, incendi di bosco, siccità, lotta alla zanzara tigre… Il nostro servizio svolge poi altri due compiti principali: gestire gli affari militari per gli astretti al servizio residenti nel cantone e autorizzare le attività delle Regioni di Protezione civile».

Parliamo delle attività legate alla vita militare. Voi siete gestite gli obblighi di tutte le persone che vivono in Ticino: che evoluzione avete osservato negli ultimi anni?

«L’esperienza che ho accumulato in questi cinque anni mi permette, per prima cosa, di sfatare qualche luogo comune: i 17enni che incontriamo ogni anno alla giornata informativa – che in Svizzera rappresenta il primo contatto di ogni cittadino con i suoi obblighi costituzionali – sono persone tranquille e curiose. La ribellione e la repulsione totale, piuttosto frequenti fino a qualche anno fa, si sono insomma fatti più rari: questo, forse, è anche merito dell’approccio orientato alle persone, grazie all’uso di moderatori che provengono dall’ambiente scolastico e poco “militaresco” che abbiamo deciso di adottare».

Il passo successivo, per i nostri giovani di sesso maschile, è poi il reclutamento.

«È un percorso che deve essere inizializzato durante le Giornate informative, durante le quali bisogna stimolare l’interesse dei giovani in base alle loro capacità e abilità. Infatti il Centro di Reclutamento che si occupa dell’incorporazione: cerca sempra più di personalizzare le esigenze dei giovani.. In altre parole, nell’Esercito del XXI secolo non vedremo più chi nella vita è cuoco diventare meccanico, o viceversa. Le qualità e le predisposizioni personali sono oggi al centro dell’attenzione, anche perché la vita militare è ormai fatta di funzioni specialistiche, anche di altissimo livello – come i famosi “cyber soldati”, alcuni dei quali ticinesi, che hanno iniziato pochi giorni fa la loro scuola reclute».

Ha qualche cifra per descrivere la situazione attuale?

«Ogni anno coinvolgiamo circa 1.600 ragazzi ticinesi che hanno compiuto 17 anni, ai quali si aggiunge quasi un 10% di ragazze che segue volontariamente i nostri programmi di orientamento. Nel 2017, su 1.580 giovani, abbiamo avuto un 65% di idonei al servizio militare, poi principalmente incorporati nelle scuole reclute che garantiscono l’italianità: fanteria, artiglieria e salvataggio. Un centinaio di ragazzi sono invece stati rimandati all’anno successivo, quasi 300 sono stati inseriti come militi nei ranghi della Protezione civile e 163 sono invece risultati inabili – per una percentuale pari al 10% del totale, che non risulta dunque allarmante».

«Nel 2017, su 1.580 giovani ticinesi, abbiamo avuto un 65% di idonei al servizio militare»

Torniamo alle ragazze: il loro interesse per l’Esercito è in crescita?

«Noi ogni anno scriviamo a tutte le 17enni residenti nel Cantone e ci impegniamo molto per stimolare la loro curiosità. Per questo, a partire da quest’anno, organizziamo anche due sabati di informazione dedicati solo a loro, nel Centro cantonale del Monte Ceneri, durante i quali offriamo uno sguardo anche su altre attività nel campo della sicurezza, come la scuola di polizia, la formazione per diventare pompieri e il servizio ambulanza. Avere organizzato questi incontri attorno alla dimensione pratica ci ha permesso di ottenere un certo successo, e li riproporremo di certo anche in futuro».

Un tema di attualità è la consultazione, al momento in corso, sulla proposta di revisione della Legge federale sul servizio civile. Quale sarà la posizione del nostro Cantone?

«Per prima cosa, va ricordato che secondo la legge il servizio civile è sostitutivo: possono quindi richiederlo solo i ragazzi che sono risultati abili al servizio militare. Detto questo, è vero che le regole attuali sono ritenute insoddisfacenti dallo stesso Consiglio federale, che ha quindi ideato sette misure per tentare di riequilibrare la situazione. Il Canton Ticino, al di là delle valutazioni su quanto proposto da Berna, intende formulare due suggerimenti originali. Il primo consiste nell’esaminare più attentamente il mansionario dei civilisti, che per legge non possono sostituirsi ai normali lavoratori: la nostra idea è di creare un organo paritetico di controllo, per evitare che qualcuno sia tentato di risparmiare sulla manodopera oppure impieghi civilisti al di fuori delle mansioni previste».

E la seconda proposta?

«È di carattere conoscitivo: proponiamo di verificare in modo scientifico quanto spesso il servizio civile viene scelto da persone che sono disoccupate. Se esistesse una correlazione significativa, dovremmo probabilmente agire per evitare che la scelta del servizio militare sia penalizzata da considerazioni di opportunità professionale».

Come diceva in apertura, il vostro servizio di protezione della popolazione si occupa invece prevalentemente dei preparativi per i casi di emergenza e di catastrofe. Su quali scenari vi state concentrando in questi anni?

«Dal 2014 abbiamo iniziato a valutare in modo sistematico i pericoli e le minacce alle quali è soggetto il nostro territorio, scegliendo tuttavia di concentrarci solo sui più probabili».

Non siamo quindi preparati alla caduta di un meteorite sul nostro Cantone?

«No, e probabilmente abbiamo fatto bene a non dedicare troppo tempo a studiare situazioni del genere. Il nostro approccio si è infatti rivelato pagante, perché gran parte degli eventi che invece abbiamo preso in esame si sono poi puntualmente verificati: grandi flussi migratori, trasporti di merci pericolose, malattie altamente contagiose, blackout, attacchi informatici, siccità…».

La vostra analisi permette dunque di ridurre i rischi reali ai quali siamo esposti?

«In realtà molti pericoli e minacce che gravano sul nostro territorio non possono essere veramente prevenuti: avendoli analizzati, più che altro oggi ci siamo messi nella condizione di mitigarne l’effetto. Prendendo l’esempio della cybersicurezza, in base alle nostre conclusioni abbiamo capito quanto fosse importante creare “ridondanze” per i sistemi informatici del Cantone, in modo da assicurare la continuità dei nostri strumenti anche di fronte a un attacco. Così, a partire dal 2015 abbiamo iniziato a lavorare concretamente per trovare una soluzione a fronte di questa necessità».

«Ci siamo chiesti come armonizzare il compito originale del rifugio con un utilizzo civile sensato, in grado di arricchire la vita della comunità»

Anche il vostro servizio costruzioni è molto vicino alla vita quotidiana della popolazione, visto che si occupa di tutte le strutture di Protezione civile che sorgono nei nostri Comuni. Come lavora il Ticino in questo ambito, regolato da una legge federale?

«Quando sono entrato in servizio, nel 2014, mi sono reso conto che i rifugi pubblici continuavano a essere costruiti secondo concetti ormai superati, con il risultato di essere poco utili in tempo di pace. Per evitare questo spreco di risorse abbiamo così lavorato a fondo, analizzando tutti i margini di manovra concessi dalle norme federali: il risultato è un ripensamento completo del modo di investire questi milioni di denaro pubblico, che ci ha permesso di creare sinergie con i proprietari creando locali molti spazi preziosi, utili per 365 giorni l’anno e soprattutto capaci di un’accolta immediata grazie alla loro prontezza elevata e standard adeguati alle attuali necessità».

Come vi siete mossi?

«Ci siamo chiesti come armonizzare il compito originale del rifugio – accogliere tutta la popolazione, in caso di guerra – con un utilizzo civile sensato, in grado di arricchire la vita della comunità. Abbiamo quindi stabilito, per prima cosa, che per ogni struttura esiste un fabbisogno ragionevole di una cinquantina di posti letto confortevoli, di prima necessità, che va garantito sempre: nel caso in cui occorra evacuare una palazzina, vogliamo per esempio che tutti i residenti abbiamo a disposizione in poche ore un posto per dormire al caldo e con servizi igienici all’altezza».

E per quanto riguarda invece il resto degli spazi?

«Abbiamo stabilito criteri e trovato accorgimenti per permettere a queste strutture di essere realmente vissute dalla popolazione, restando comunque facilmente convertibili in alloggi di emergenza. Detto così sembra banale, ma si è trattato di un cambiamento completo di mentalità, che ci permette oggi di suscitare entusiasmo ovunque andiamo, grazie ai margini di manovra che concediamo ai Comuni e alla riserva strategica di spazi che possono creare con il nostro aiuto».

Dove vedremo inaugurare le prossime strutture?

«I prossimi festeggiamenti sono previsti a Pianezzo per la fine dell’anno a cui a ruota seguiranno quelli di Cresciano, poi nei prossimi anni dovrebbero arrivare le strutture protette di Taverne-Torricella, Terre di Pedemonte, Vernate – e, ovviamente, quella prevista sotto la nuova pista di ghiaccio della Valascia a Quinto».