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N1 - 2020

attenzione, s. f.

Autori: Redazione DT
Data: 22 giugno 2020

«Le acque reflue non mentono»

Uno studio elvetico sta cercando di capire come gli scarichi possono indicare la presenza del Coronavirus tra la popolazione. Ce ne parla Mauro Veronesi, Capo dell'Ufficio della protezione delle acque e dell'approvigionamento idrico

È in corso uno studio promosso del Politecnico di Losanna (EPFL) e dall’EAWAG - l'Istituto Federale Svizzero di Scienza e Tecnologia dell'Acqua - con la collaborazione del Dipartimento del territorio (DT). A parlarci dello studio in corso è Mauro Veronesi, Capo dell’Ufficio della protezione delle acque e dell’approvvigionamento idrico.

Tracce di materiale generico del SARS-Cov2 sono state rinvenute in alcuni campioni prelevati dalle acque reflue europee. Anche in Svizzera sono in corso degli approfondimenti per capire se queste acque possono essere impiegate come sentinella per segnalare la presenza di un focolaio in un determinato territorio in anticipo rispetto alla rilevazione casi conclamati individuati tramite tampone. Come si è svolto lo studio?

All’indomani del primo caso svizzero, rilevato in Ticino il 25 febbraio, l’EAWAG ci ha contattati chiedendo di poter raccogliere dei campioni dai nostri nove più importanti impianti consortili (IDA, impianti di depurazione delle acque) con l’obiettivo di stabilire una correlazione tra la comparsa del primo caso confermato e la presenza di virus nelle acque di scarico. I primi campioni sono stati raccolti il 27 febbraio e il nostro è stato un ruolo di coordinamento: abbiamo fatto da tramite e abbiamo collaborato nella conduzione dei prelievi. Altri IDA svizzeri hanno partecipato allo studio, per un totale di 12 grandi impianti di depurazione, il che ha permesso di monitorare circa 2,5 milioni di persone.

A che punto siamo?

Le analisi preliminari hanno confermato la correlazione tra la presenza di virus nelle acque e l’inizio dei contagi. Residui di Coronavirus sono stati rilevati in tutti i campioni, con un’incidenza maggiore in quelli più recenti. A Lugano, già da febbraio, il virus era riscontrabile a bassa concentrazione.

Quali sono i limiti di questo studio?

Lo studio fornisce risultati semi-quantitativi e l’obiettivo (ambizioso) di riuscire a quantificare il numero di infetti non è raggiungibile; fattori concomitanti come la pioggia favoriscono infatti la diluizione del virus nelle acque di scarico. Inoltre, non tutte le persone presentano (e di conseguenza espellono) la stessa carica virale. È però possibile dire se il virus è presente e in quale concentrazione: ciò che conta è l’andamento. Nel caso di Losanna si è riusciti a tracciare l’incremento del virus tra marzo e aprile, con una concentrazione da 10 a 100 volte superiore.

Si tratta quindi di un sistema di preallarme?

Le acque reflue non mentono, poiché riflettono in poche ore le escrezioni fisiologiche della popolazione. Una “sentinella” di questo tipo offre un vantaggio temporale importante. Se questo sistema dovesse venire confermato, a fronte di nuovi fattori di rischio - come la presenza di nuovi focolai in territori vicini - verrebbe attivato nell’immediato con l’obiettivo di circoscrivere l’area interessata. Gli IDA sono caratteristici di una regione, un rilevamento positivo permetterebbe di intervenire in modo mirato senza attivare un lockdown esteso.

C’è rischio di contagio bevendo l’acqua potabile?

L’acqua di scarico depurata non è mai potabile. L’approvvigionamento di acqua potabile avviene da pozzi in falda, da sorgenti, da laghi e solo raramente dai fiumi; in particolare, in questi ultimi due casi vi è un trattamento molto spinto. L’IDA è un grande reattore che degrada anche i microorganismi, tra cui il Coronavirus. La VSA, (Associazione svizzera dei professioni della protezione delle acque) ha escluso il rischio.

Possiamo affermare lo stesso per le acque balneabili?

Già attualmente, d’estate, l’impianto di Lugano tratta le sue acque con acido peracetico a titolo cautelativo poiché in prossimità della foce del Vedeggio vi sono diversi punti di balneazione. È quindi possibile affermare con ragionevole certezza che l’acqua non propaga l’epidemia.