Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana

262 fALC fALC la falc sgiá al primcanvòu, quand ca a sará sciá óra da segául fén, abbiamo continuato a ripulire i prati, è un lavoro da effettuare con cura per evitare di rovinare la falce già alla prima andana, quando arriverà il momento di tagliare il fieno (Sobrio [16]). La falce deve quindi venir costantemente ravvivata con la cote (cfr.  cód1), portata e mantenuta bagnata nell’apposito contenitore ( codée) appeso alla cintola: mòra la falsc che te féi man fadiga a seghèe, affila la falce che faimeno fatica a falciare (Lodrino [17]), unbunpradé al tén la falsc afil, unbuon falciatore mantiene la falce affilata (Brusio); prima di passarla ripetutamente sulla lama, questa deve venir ripulita servendosi di unmazzettodi erba. Sono ricordati diversi modi di ravvivare la falce con la cote, in particolare riguardo alla posizione nella quale viene tenuto l’attrezzo, riferiti al genere (le donne tenendonormalmente ilmanico appoggiato a terra e la lama inposizione orizzontale, gli uomini posandolo sulla coscia con la lama in verticale) o alla provenienza regionale degli addetti. L’impiego della falce fienaia era di per sé considerato prerogativamaschile, le donne occupandosi semmai dello sfalcio di rifinitura eseguito con la falciola; tuttavia in molte zone, soprattutto dove l’elemento maschile era assente durante il periodo estivo perché impegnato sugli alpeggi o emigrato all’estero, erano le donne a doversi incaricare della falciatura, eventualmente avvalendosi di strumenti a loroproporzionati, dalla lama e dal manico più corti. Precauzioni particolari venivano riservate alle falci: si evitava ad esempio di lasciarle al sole, onde evitare che il surriscaldamento rovinasse la tempra dell’acciaio; appare forse esagerato l’invito di Mesocco metiden miga dént la fauscián int el técc, che el selustra; el fèr el tira el trón, non riponete le falci nella stalla, che lampeggia; il ferro attira il fulmine. La lama della falce veniva usata fino al suo completo consumo: si sono viste lame ridotte quasi alla sola costa e tuttavia ancora sufficientemente operative. in caso di rottura, le lame venivano riparate saldandovi delle pezzemetalliche opotevano venir riutilizzate in diversi modi, ad esempio come rudimentali cardini di porte o, provviste di fori, come grattugie per il formaggio; una vecchia lama rovinata fissata suun supporto di legno poteva fungere da tritapaglia; a Leontica la falcéta consisteva in un moncone di lama di falce fienaia fissato a un cortomanico e usato come zappetta per la raccolta sotto i cespugli di muschio e aghi di conifere da impiegare come strame. La falce fienaia era adoperata quasi esclusivamente per il tagliodel fieno: inquéi témpas saghèva tütt cun la falc e as purtèva al fén e al rasdív ént al tublá cun la fraschéra e cul campacc, a quei tempi si falciava tutto con la falce e si portava il primo e il secondo fieno nel fienile con il telaio e la gerla a stecche rade (Vicosoprano [18]). L’attrezzo veniva usato anche sui ripidi pendii montani per il taglio del fieno selvatico: a n’u fècc passèe di scénsg cula falsc, ne ho fatte passare di cenge con la falce (Preonzo); per tale impiego la fauc l’éa na faucina …, una fauc pisna, e l rastéll l’éva l mèni piünda ört, la falce era una falcina, una falce piccola, e il rastrello aveva il manico più corto (Airolo [19]). Solo saltuariamente si accenna al suo impiego per la mietitura dei cereali (per la quale ci si serviva normalmente della falciola), eseguita allora con una tecnica differente rispetto a quella normalmente in uso per lo sfalcio: quan che la sa s taiava, a s daséva chéll cólp sécch cola fauc, mía cume siè ul fégn, che tu ciapat l’andadüra, quando la si tagliava [la segale], si dava un colpo secco con la falce, non come quando si falcia il fieno, che si segue un movimento regolare (Osco [20]). Come più in generale per tutti gli utensili da taglio, anche la falce è considerata attrezzo strettamente personale, conservata e curata gelosamente e per nessunmotivo ceduta in prestito a terzi. Perfino i fienaioli stagionali, quelli attivi nella Svizzera italiana provenienti soprattutto dalla Bergamasca e dal Bresciano, portavano nelle loro peregrinazioni il proprio strumento; negli spostamenti la lama veniva fissata ripiegata lungo ilmanico, posato sulla spalla e al quale veniva anche appeso il fagotto contenente i pochi indumenti ed effetti personali. Durante il lavoro, la falcemontata veniva pure portata appoggiandone il manico sulla spalla, con la lama però rivolta all’insù per diminuirne la pericolosità nel caso di cadute accidentali. il corretto impiego della falce fienaia non è di immediata facilità e richiede pratica ed esercizio prolungati al fine di giungere a fá balá la falc, far ballare la falce (Poschiavo), effettuando un movimento regolare e armonioso, garanzia di minore fatica e di falciatura ottimale: quéll ilò invéce da segá cul fil dala falsc al séga cul fil dala schéna, quel tale invece di falciare col filo della falce falcia con la spina dorsale: con troppa veemenza e stancandosi inutilmente (Brusio). La relativa abilità, evidenziata dalla regolarità delle andane che si vanno progressivamente formando sul prato, godeva pertanto di grande considerazione nella società tradizionale, e la sua acquisizione poteva costituire per i giovani una sorta di rito di iniziazione all’età adulta [21]; pur non avendo notizia per la Svizzera italiana di vere e proprie competizioni di sfalcio, attestate invece inaltre regioni del Paese, i falciatori potevano, come nel Poschiavino [22], misurarsi e cercare di superarsi per diletto durante il lavoro. All’impiego della falce fienaia possono essere legati aneddoti, talvolta forse almeno in parte fan-

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