322 FARINA FARINA pólt da farina dólcia, polenta di farina di castagne (Cavigliano), ala sira l’è un piatt da minèstra: quand ch’i la fèva da verdura con dént ana farina, alóra i la ciamèva bòba, alla sera c’era un piatto di minestra: quando la facevano con la verdura e con anche farina, allora la chiamavano bòba(Losone [15]), bóia da farina, zuppa di farina, talvolta addolcita con zucchero (Bondo), bröd farina, sorta di pappa a base di farina bianca arrostita e spenta nell’acqua o nel brodo (Malvaglia), farina e zücch, minestra fatta di farina cotta nell’acqua con zucche e fagioli (Rovio). La farina di castagne, in tempo di guerra, serviva anche a preparare un surrogato del cioccolato, v. cicolatt. 1.4. Farina e macinati diversi erano largamente utilizzati nell’alimentazione degli animali, in particolare del maiale o di quelli da cortile: per fá bév in bianch i cavái a s dòpra farina da ségra, per preparare il beverone bianco ai cavalli si usa farina di segale (Solduno); dòpo, quan ch’u vegnéa sgiǘ d l’èlp, u i éa póm e farina, farina d furmantón, chèla l’éva l méi ded tücc, poi, quando [il maiale] scendeva dall’alpeggio, c’erano patate e farina, farina di granoturco, quella era il meglio di tutti [gli alimenti] (Airolo [16]), varda l porscéll, ... cóm la l trata de sciór: trè vòl al dí menèstra, lazzerón, bóna coróbia con dént tanta farina, guarda il maiale, come lo tratta da signore: tre volte al giornominestra, siero, un buon beverone con dentro tanta farina (Lumino [17]); a Olivone, invece, si ingrassava il maiale con un pastone di farina d’édra, farina di sorbe; quan ch’i alözz i éra bèi sè, i sa sgranèva par fè farina da dègh ai alégn, quando le pannocchie di granoturco erano belle secche, si sgranavano per fare farina da dare alle galline (Ludiano). – Lo Schinz informa che, nel Settecento, quando la primavera tardava ad arrivare, gli apicoltori ticinesi usavano preparare una miscela di acqua, miele e farina di castagne per nutrire le loro api [18]. 1.5. Dalle testimonianze dei corrispondenti del VSI emergono ulteriori notizie riguardo a impieghi particolari dei vari tipi di farina. 1.5.1. I metéva i év in d’om scaff pién de gran e de farina per tigníi frèsch, mettevano le uova in un cassetto pieno di grano e di farina per tenerle fresche (Roveredo Grig. [19]); baslött, padèli e padelín da ram ..., mía żía Lucía ... la sgéa al büi a i lüstrá con farina sgialda e aséid e sal, scodelle, padelle e pentolini di rame, mia zia Lucia andava alla fontana a lucidarli con farina gialla e aceto e sale (Poschiavo); la còla la favan sǘ cula farina bianca e na quai góta d’aqua, la colla la facevano con la farina bianca e qualche goccia d’acqua (Mendrisio [20]), cfr. cadassa, còla1. A Locarno si usava mettere un poco di farina come esca nella trappola per i topi. 1.5.2. Applicazioni di impacchi di farina di segale sono documentate a Monteggio e similmente a Coldrerio, dove si usava aggiungere pure una moneta al cataplasma, quale rimedio contro le irritazioni cutanee; a Brissago, ai bambini affetti da convulsioni si ponevano sotto le piante dei piedi impiastri di farina di segale, fuliggine, aceto e aglio, bolliti per qualche minuto; nella stessa località si usava ammollare sacchetti contenenti farina di granoturco o zolfo che venivano applicati per ammorbidire la pelle o curarne le screpolature; a Mergoscia, per lenire i dolori reumatici si ricorreva ai bagn de farina, impacchi di farina; a Losone, per combattere l’affezione orale che colpiva le vacche (v. barbèla), si utilizzava un intruglio a base di farina di segale, che veniva sfregato all’interno della loro bocca con l’ausilio di uno strofinaccio. 1.5.3. In virtù delle sue numerose proprietà curative (emollienti, diuretiche, antitussive [21]) era molto apprezzata dalla medicina popolare la farina di lino, farina d smint lign(Someo) o … da linósa (Verscio), utilizzata principalmente nella preparazione di cataplasmi: métt lá sul fégh el padelín con un pò d’acu e una branchéta de farina de lin, … bútela fòra su una pèzza de téila …, métela sú bègn calda sul pòst indó gh’é l má, metti sul fuoco il pentolino con un po’ d’acqua e una manciatina di farina di lino, versala su un panno di tela, mettila ben calda dove hai male (Mesocco [22]), ra polentina da farina da linusa la sa gh métt sǘ sura ar bügnón par fall isbotaa, la polentina di farina di lino si mette sul foruncolo per farlo suppurare (Comano). Con l’abbandono della coltivazione della pianta nella Svizzera italiana la linosa, pure molto apprezzata quale ricostituente per il bestiame, veniva acquistata nelle farmacie [23]. 1.6. La produzione cerealicola locale era spesso insufficiente per coprire il fabbisogno alimentare delle famiglie della Svizzera italiana [24]. Per questa ragione, non di rado esse erano costrette ad acquistare farine di importazione, magari barattandole con derrate quali le castagne o i prodotti della macellazione casalinga: u i éa l murín a Altèna: purtáum int lè nüi la séira. Però u capitáa ch’u n manava, i n’éum mía asbacch: cume nüi, ch’i séum p na pía, tucáa nè amò a tönn a Quint, ded farina, c’era il mulino ad Altanca: noi portavamo là la segale. Però capitava che ne mancasse, non era sufficiente: come nel caso nostro, che eravamo poi in molti, ci toccava scendere ancora [dalla frazione di Ronco] a comprare farina a Quinto (Quinto [25]); i baratèva col massèe castégn sè in cambi da farina da carlón par la polénta, barattavano con il mezzadro castagne secche in cambio di farina di mais per la polenta (Maggia),
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