Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana

374 FAVGN FÁVOLA veniva dré el vént favógn da fala desfass, verso il diciotto è caduto mezzo metro di neve, ma è durata poco, o che il vento la spazzava via o che gli faceva seguito il favonio da farla squagliare (Mesocco [4]). Dal lat. FAVōNIU(M) ‘favonio’ [5]. L’inserimento di -g- seguito alla caduta di -v- intervoc., frequente nei dial. it. sett. [6], è pure di alcuni dial. grig. rom. [7]. La tonica -é- delle var. lavizz. fauégn e favégn, notata a Menzonioda Salvioni come «singolare» [8] e avvicinata a quella di técc‘tolto’ [9], sarà piuttosto dovuta a cambio di suff., cfr. il borm. foégn[10] e il gros. fuégn[11] e v. foín2‘favonio, scirocco’; analoga spiegazione potrebbero avere l’uscita -gldella var. di Cavergno eAurigeno (corrispondente a -i di altri dial. tic.), gli esiti calanc. in -ónc e -ónsc e il favǘgn di Lavertezzo, nel quale la qualità della tonica risulta forse influenzata anche dal contatto con la pal. finale. B i b l.: MONTI 391. [1] LAMPIETTI BARELLA100. [2] BEFFA367. [3] LURATI-PINANA229. [4] NIGRIS, Lettere ms. 4 aprile 1905. [5] REW 3227, FEW 3.439. [6] ROhLFS, GrIt. 1.215. [7] DRG 6.176. [8] SALVIONI, AGI 9.251 n. 3, Scritti 1.76 n. 3. [9] SALVIONI, AGI 9.202 n. 4, Scritti 1.27 n. 4. [10] RINI, Bormio 129. [11] DEEG 590-591. Moretti FÁVOLA (fávola) s.f. Bandita, riserva. V a r.: fáola (Lavizz.), fáula (VMa., Ons., Melezza), fáura(Riv., Ble., Lev., Moghegno, Crana, Intragna, Navegna, Brione Verz.), fâura(circ. Castro), fávola (Menzonio, Brissago), favra(Biasca, Giornico), fávula(Ons.), fèura, fèuvra(Olivone). –Do c.: «fabullam» (Olivone 1205 [1]), «fabulam» (Olivone 1219 [2]), «fabra» (Faido 1407 [3]), «faura» (Faido 1489 [4]), «faula» (Fusio 1583 [5]). 1. Il termine indica generalmente una porzione di territorio di ragione pubblica, nel quale viene vietato o limitato l’esercizio di determinate modalità di godimento quali il pascolo, lo sfalcio di fieno selvatico, il taglio o lo sfrondamento degli alberi, la raccolta di legna morta o di strame, ecc. Tali misure interessano in particolare i boschi protettori, mirando a conservarne il potenziale economico e a mantenerli integri a difesa degli abitati, dei coltivi e delle vie di comunicazione da valanghe e smottamenti. Per l’evoluzione storica dei vari aspetti giuridici legati alla protezione integrale o parziale dei boschi, sempre dipendenti dalle norme e dagli usi locali e in seguito anche dalle varie cornici legislative federali e cantonali, v. boschai par. 2.3.3., 2.3.4. e 2.3.5 [6]. Bósch an fáura, bosco chiuso al pascolo del bestiame (Bodio); in la fáula l’èrba l’èra faulada da sgiugn e lui, il stram l’èra faulòo da lui e vóst, nella riserva lo sfalcio era vietato in giugno e luglio, la raccolta dello strame in luglio e agosto (Cavigliano); cuntagnaa in la fáula, condannare nella bandita: multare le trasgressioni alle normative in essa vigenti (Cavigliano); i rasaní i faséumded tiarn, pròpi tiarn ded la fáura sü  o la fáura da Vigéira, i évan p una resisténza che i piant d’in u l’ann piǘ, i montanti della rascana li facevamo di pino silvestre, proprio pini del bosco protetto qui sopra o di quello di Vigéira[n.l.], avevano poi una durata che le piante di oggi non hanno più (Osco [7]); sgiürèi d fáura, giurati della bandita: guardaboschi, incaricati anche della sorveglianza di altri beni comunali oltre che del pignoramento degli animali che vi sconfinano (Bodio). – Qua e là anche nel sintagma fávola sacra, bosco sacro, porzione di territorio boschivo protetto da divieti o limitazioni permanenti: la comunità di Calpiogna, oltre a partecipare al patriziato promiscuo con Campello, disponeva di un ufficio patriziale specifico dedicato esclusivamente alla gestione della fáura sacra, il bosco sovrastante il villaggio destinato alla sua protezione; nella sua circoscrizione era permessa unicamente la raccolta della legna morta caduta spontaneamente dagli alberi, mentre erano proibiti sotto la minaccia di pesanti multe qualsiasi taglio, la raccolta di strame e l’estirpazione delle ceppaie. A Leontica con i fâurasi designavano i prati situati sui monti alti, sui quali la fienagione era consentita solo a partire da una certa data fissata dal municipio: quand dai fâura, al tempo della fienagione, ná ai fâura, salire ai monti per lo sfalcio. Nel circolo di Castro il termine si è specializzato in riferimento alla raccolta dello strame nei boschi patriziali, consentita a partire dal primo di novembre: a munn i daséva i fâura … i fissâv’i dí, sui monti concedevano i boschi, fissavano i giorni (Castro [8]), pissè ch’i tacâva lit l’éra sü da munn … quânn che gh’éra ra fâura, le liti maggiori avvenivano sui monti, nel periodo durante il quale era permessa la raccolta dello strame (Marolta [9]). 2. Modi di dire Véss sǘ par la fáura, trovarsi nel bosco protetto (Quinto [10]), véi sǘ na creatüra pala fáura, avere un bimbo su nel bosco (Airolo [11]): essere incinta; tí ti sévat amò int pala fáura da Varénz a fè scuitt, tu ti trovavi ancora nel bosco di Varenzo a fare scopetti: non eri ancora nato (Quinto [12]). 3. Toponimi L’appellativo è ampiamente diffuso nella toponomastica sopracenerina, in particolare nei distretti di Blenio e Leventina e nelle valli superiori

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